Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17505 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17505 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7023-2024 proposto da:
ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA M. COGNOME, in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4618/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/01/2024 R.G.N. 1556/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.7023/2024
Ud 21/05/2025 CC
Fatti di causa:
1. Con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, NOME COGNOME dipendente dal 2009 dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle regioni Lazio e Toscana M. COGNOME esponeva: di aver sempre prestato la propria attività con la qualifica di Dirigente sanitario biologo nell’ambito della struttura complessa (UOC) denominata Direzione operativa chimica successivamente denominata UOC Chimica; che nel 2013 il Direttore della struttura complessa Direzione operativa chimica aveva proposto alla Direzione strategica dell’Istituto di conferire alla ricorrente l’incarico di Struttura Semplice relativamente al Laboratorio chimica degli alimenti con esito infruttuoso pur avendo ella svolto le attività proprie del superiore incarico di responsabile della struttura semplice (UOS) denominata Laboratorio chimica degli alimenti. La ricorrente chiedeva, pertanto, la condanna dell’ente convenuto Istituto zooprofilattico sperimentale delle regioni Lazio e Toscana M. COGNOME al pagamento delle differenze retributive a titolo di indennità di posizione e di retribuzione di risultato e relativo adeguamento economico, oltre al risarcimento del danno da perdita di chance per l’impossibilità di documentare lo svolgimento per oltre un quinquennio di tale incarico di direzione di struttura semplice e la conseguente impossibilità di avere accesso ad altre procedure selettive interne o esterne all’I stituto nonché alla regolarizzazione della posizione contributiva. L’Istituto zooprofilattico sper imentale delle regioni Lazio e Toscana NOME COGNOME si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 3339/2021 dell’08/04/2021, accoglieva la domanda condannando l’Istituto a corrispondere alla ricorrente la somma di euro 77.762,68 oltre interessi legali a titolo di differenze
retributive, rigettava la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance e dichiarava l’inammissibilità della domanda di condanna alla regolarizzazione della posizione contributiva.
L’Istituto zooprofilattico sperimentale delle regioni Lazio e Toscana NOME COGNOME proponeva appello. NOME COGNOME si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione principale e spiegando appello incidentale insistendo per il risarcimento del danno da perdita di chance e per la conseguente regolazione delle spese di lite. Con la sentenza n. 4618/2023 depositata l’08/01/2024 la Corte di Appello di Roma, sezione lavoro, rigettava l’appello principale e l’appello incidentale.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle regioni Lazio e Toscana M. COGNOME articolando cinque motivi di impugnazione. NOME COGNOME si costituiva in giudizio contestando l’impugnazione e chiedendone il rigetto.
La parte controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 21 maggio 2025.
Ragioni della decisione:
In via preliminare va esaminata l’eccezione del la parte controricorrente che ha dedotto l’improcedibilità del ricorso in ragione del mancato deposito della notifica della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 369, secondo comma, cod. proc. civ.. L’eccezione è infondata. Occorre, in proposito, rilevare come la sentenza impugnata sia stata depositata in data 08/01/2024 e come il ricorso per cassazione sia stato notificato in data 08/03/2024, quindi entro il termine breve di sessanta
giorni. Si applica, per questa via, il principio di diritto secondo il quale: «la previsione dell’art. 369, comma 2, c.p.c. non consente di distinguere tra il deposito della sentenza impugnata e quello della relazione di notificazione della stessa, con la conseguenza che la mancanza di uno dei due documenti determina l’improcedibilità del ricorso, a meno che il deposito del documento mancante avvenga entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione, o detto documento sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o presente nel fascicolo d’ufficio senza che, però, ove tale fascicolo manchi, ancorché richiesto, se ne debba attendere l’acquisizione. L’improcedibilità non sussiste altresì quando il ricorso per cassazione è notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza, perdendo rilievo in questo caso la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 08/11/2024, n. 28781; Cass. 30/04/2019, n. 11386).
Sempre in via preliminare la parte controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di jus postulandi ai sensi dell’art. 82 cod. proc. civ. Secondo la parte controricorrente mancherebbe nel ricorso qualsiasi riferimento al pur necessario provvedimento del Direttore Generale dell’Istituto ricorrente per l’affidamento dell’incarico di difesa al difensore costituito in giudizio, provvedimento da assumersi in questa forma ai sensi dell’art. 3, comma 1 -quater, d.lgs. 502/1992. L’eccezione è infondata atteso che l’Istituto ricorrente non risulta costituito in persona del Direttore Generale, bensì del commissario straordinario p.t. nominato in ragione di conforme decreto del Presidente della Regione Lazio che è citato nella procura ad litem senza che l’eccezione si sia
confrontata con l’effettivo legale rappresentante dell’Ente e senza che abbia dunque effettuato una contestazione dei relativi poteri.
Prima di esaminare specificamente i motivi di ricorso si impone una breve ricognizione della disciplina rilevante in materia incarichi di dirigenza sanitaria.
3.1 L’art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, come novellato dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 229/1999, ha previsto che la dirigenza sanitaria sia collocata in un ruolo unico distinto per profili professionali; trattasi di dirigenza caratterizzata «dall’autonomia tecni co-professionale delle proprie funzioni e mansioni i cui ambiti di esercizio, attraverso obiettivi momenti di valutazione e verifica sono progressivamente ampliati», con affidamento al dirigente, all’atto della prima assunzione, di «compiti professionali con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi del dirigente responsabile della struttura e sono attribuite funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione dell’attività….», e successivamente, decorsi cinque anni di attività con valutazione positiva, di «funzioni di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettive, di verifica e controllo nonché possono essere attribuiti incarichi di direzione di strutture semplici».
3.2 Ai sensi del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15 quinquies comma 5: «Gli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo. Per struttura ai fini del presente decreto, si intende l’articolazione organizzativa alla quale è prevista, dall’atto aziendale di cui all’articolo 3, comma 1 -bis, responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche o finanziarie»; il successivo
comma 6 dispone che: «Ai fini del presente decreto, si considerano strutture complesse i dipartimenti e le unità operative individuate secondo i criteri di cui all’atto di indirizzo e coordinamento previsto dall’articolo 8 -quater, comma 3. »; in linea con le sopra indicate previsioni normative l’art. 27 del c.c.n.l. 8.6.2000 per la dirigenza sanitaria professionale tecnica ed amministrativa del servizio sanitario nazionale prevede che al dirigente possono essere conferite quattro diverse tipologie di incarico ossia: a) incarico di direzione di struttura complessa (tra essi è ricompreso l’incarico di direttore di dipartimento, di distretto sanitario e di presidio ospedaliero di cui al d.lgs. 502/1992); b) incarico di direzione di struttura semplice; c) incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo; d) incarichi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività; la posizione dirigenziale, pertanto, non implica necessariamente la responsabilità della struttura, perché la dirigenza sanitaria può essere solo di tipo professionale, e diviene anche gestionale qualora al dirigente siano conferite funzioni di direzione delle strutture sem plici o complesse; sempre l’art. 27 del c.c.n.l. prevede, al comma 3, che: «Per struttura si intende l’articolazione interna dell’azienda alla quale è attribuita con l’atto di cui del d.lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 1 bis, la responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche o finanziarie», e, al comma 4, che: «Per struttura complessa sino all’emanazione dell’atto di indirizzo e coordinamento previsto dall’ art. 15 quinquies, comma 6 del d.lgs. n. 502 del 1992 e del conseguente atto aziendale si considerano tutte le strutture già riservate in azienda ai dirigenti di ex II livello»; ed ancora, al comma 5 stabilisce che: «Tra le strutture complesse
per Dipartimento si intendono quelle strutture individuate dall’azienda per l’attuazione di processi organizzativi integrati.
I Dipartimenti sono articolati al loro interno in strutture complesse e strutture semplici a valenza dipartimentale »; infine, il comma 7 prevede che: «Per struttura semplice si intendono sia le articolazioni interne della struttura complessa sia quelle a valenza dipartimentale o distrettuale, dotate della responsabilità ed autonomia di cui al comma 3 ».
3.3. In termini generali, dunque, sono strutture complesse quelle articolazioni organizzative affidate ad un Direttore alle quali è attribuita la gestione delle risorse umane, tecniche e finanziarie dedicate, coordinate a livello dipartimentale; sono, invece, strutture semplici quelle articolazioni organizzative all’interno di strutture aziendali – complesse o dipartimentali affidate a un Responsabile, alle quali è attribuita la gestione di risorse umane, tecniche e finanziarie dedicate, coordinate a livello di Struttura complessa o di Dipartimento;
il Direttore di Struttura complessa: 1) negozia il budget; 2) definisce i piani di attività in relazione agli obiettivi assegnati; 3) effettua la valutazione dei propri collaboratori; 4) avvia i procedimenti disciplinari; 5) definisce i protocolli e ne accerta la applicazione; 6) assicura la formazione professionale; 7) concorre alla definizione dei programmi aziendali; 8) definisce ed assegna gli obiettivi ai dirigenti della sua struttura; 9) predispone una relazione annuale sui risultati conseguiti, le criticità riscontrate, le opportunità da cogliere; 10) governa le risorse assegnategli;
il Responsabile di Struttura semplice: 1) coadiuva il direttore della Struttura complessa o del Dipartimento nella valutazione del personale assegnatogli; 2) negozia con il Direttore della Struttura cui appartiene il budget e lo gestisce; 3) dirige il
personale assegnatogli; 4) definisce i piani di attività in relazione agli obiettivi assegnatigli; 5) predispone una relazione annuale sui risultati conseguiti, le criticità riscontrate, le opportunità da cogliere; 6) concorre alla definizione dei programmi aziendali; 7) definisce ed assegna gli obiettivi ai dirigenti della sua struttura.
3.4. I l sopracitato c.c.n.l. 8.6.2000, poi, all’art. 26 richiama, quanto alla graduazione delle funzioni ed alla tipologia degli incarichi, i criteri dettati dall’art. 50 del c.c.n.l. 5.12.1996 che, a sua volta, demanda alle aziende la individuazione delle «articolazioni aziendali individuate dal d.lgs. n. 502 del 1992» da effettuarsi tenendo conto dei seguenti criteri e parametri di massima: «complessità della struttura in relazione alla sua articolazione interna, con particolare riguardo ai Dipartimenti; grado di autonomia in relazione anche ad eventuale struttura sovraordinata; affidamento e gestione di budget; consistenza delle risorse umane, finanziarie e strumentali ricomprese nel budget affidato; importanza e delicatezza della funzione esplicitata da espresse e specifiche norme di legge; svolgimento di funzioni di coordinamento, indirizzo, ispezione e vigilanza, verifica di attività direzionali; grado di competenza specialisticofunzionale o professionale; utilizzazione nell’ambito della struttura di metodologie e strumentazioni significativamente innovative e con valenza strategica per l’azienda od ente; affidamento di programmi di ricerca, aggiornamento, tirocinio e formazione in rapporto alle esigenze didattiche dell’azienda o ente; produzione di entrate proprie destinate al finanziamento generale dell’azienda od ente; rilevanza degli incarichi di cui all’art. 54 e 55 interna all’unità operativa ovvero a livello aziendale; ampiezza del bacino di utenza per le unità operative caratterizzate da tale elemento e reale capacità di
soddisfacimento della domanda di servizi espressa; valenza strategica della struttura rispetto agli obiettivi aziendali, purché collegata oggettivamente con uno o più dei precedenti criteri»;
3.5 Orbene, così tracciato il perimetro normativo e contrattuale di riferimento, può procedersi all’esame delle censure mosse dalla ricorrente alla sentenza impugnata.
Con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in riferimento al documento numero 8 della produzione di primo grado di parte ricorrente, oggetto di discussione tra le parti, il cui contenuto sarebbe stato ignorato dalla Corte d’Appello di Roma che si sarebbe limitata a riportarne l’intestazione, il tutto in riferimento all’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.. La parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare il documento n. 8 (Allegato C – disciplina recante criteri e modalità di graduazione e valorizzazione delle funzioni dirigenziali di affidamento e revoca degli incarichi dirigenziali), trascurando che si trattasse di una bozza priva di efficacia e di sottoscrizione che non poteva costituire l’elemento centrale in ragione del quale attribuire la natura di Unità Operativa Semplice al Laboratorio di chimica degli alimenti e, di qui, valutare come fondata la pretesa di NOME COGNOME.
4.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Circa la natura di Unità Operativa Semplice del Laboratorio di chimica degli alimenti vi è una pronuncia conforme di entrambe le sentenze di merito. Il motivo non spiega per quali profili le due pronunce si siano differenziate circa l’accertamento del medesimo fatto storico e per questo è inammissibile: nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di
fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 28/02/2023, n. 5947). Peraltro con il primo motivo nemmeno si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ma l’omesso esame di un documento che non è di per sè decisivo atteso che, nell’attribuire al Laboratorio di chimica degli alimenti la natura di unità operativa semplice, la sentenza impugnata, contrariamente a quanto esposto nel motivo ricorso, si fonda sull’esame di una serie di documenti e non solo di quello in contestazione. Si consideri, poi, che: il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. 13/06/2024, n. 16583).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 3, comma 1 bis, 15, 15 bis e 15 ter d.lgs. n. 502 del 1992; dell’art. 2, comma 1, del d .Lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 27 commi 3 e 7 CCNL 8.6.2000 Dirigenti del ruolo Sanitario, Professionale, Tecnico e Amministrativo dipendenti dalle Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Nazionale, nonché dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte di Appello di Roma definito quale struttura semplice il laboratorio dove la dott.ssa COGNOME prestava servizio, il tutto in riferimento all’art. 360 comma 1, n. 3 , c.p.c..
5.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui non contesta la violazione o la falsa applicazione delle norme invocate ma tende, in sostanza, a infirmare la valutazione del materiale
istruttorio che il Tribunale prima e la Corte di Appello poi hanno condotto per definire il Laboratorio di chimica degli alimenti quale Unità operativa semplice. Si tratta di una valutazione riservata al giudice di merito e irriferibile alla Corte di legittimità. Si consideri in proposito, che: «il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. 22/11/2023, n. 32505).
5.2. Il ragionamento probatorio condotto dalla Corte di Appello, che sul punto conferma le conclusioni raggiunte dal Tribunale, si fonda sulla disamina dei documenti, convergenti, provenienti dallo stesso Istituto e che definiscono letteralmente il laboratorio di Chimica degli alimenti quale Unità operativa semplice. La motivazione appare, dunque, logica, coerente e priva di vizi e non emerge alcuna violazione delle norme invocate, in specie dell’art. 27 commi 3 e 7 CCNL 8.6.2000 Dirigenti del ruolo sanitario, professionale, tecnico e amministrativo dipendenti dalle Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Nazionale, che sia censurabile in questa sede di legittimità.
5.3. Non sussiste la dedotta violazione di legge, alla luce della ricostruzione del quadro normativo innanzi svolta, perché il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi regolatori della materia in quanto, ai sensi degli artt. 3, comma 1 bis, 15, 15 bis e 15 ter del d.lgs. n. 502/1992. Deve ritenersi che è proprio l’atto aziendale (nella specie Reg. di org. interna del 2003) a disciplinare l’organizzazione e il funzionamento delle unità operative, individuando quelle dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, riconducibile all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, sicché esso costituisce elemento imprescindibile per il conferimento dell’incarico dirigenziale e per l’attribuzione del relativo trattamento economico, che la contrattazione collettiva di comparto correla alla tipologia dell’incarico stesso ed alla graduazione delle funzioni (così Cass., Sez. L, n. 27400/2018); con la richiamata decisione, alla quale si intende dare continuità, si è ribadito che è l’atto aziendale a individuare «le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica» (art. 3, comma, 1-bis del d.lgs. n. 502 del 1992); e, attraverso di esso, è possibile sviluppare soluzioni in grado di valorizzare e razionalizzare i punti di erogazione delle prestazioni nel rispetto dei criteri della qualità, dell’appropriatezza, della sostenibilità economica e dei vincoli di bilancio;
consegue a quanto appena osservato che la formale istituzione, attraverso l’atto di macro-organizzazione di cui all’art. 3, comma 1-bis, del richiamato d.lgs. n. 502 del 1992, riconducibile all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, della struttura organizzativa dotata di autonomia gestionale o tecnico professionale costituisce elemento indefettibile per il conferimento dell’incarico dirigenziale e per l’attribuzione al
dirigente del trattamento economico, stabilito dalla contrattazione collettiva, correlato alla specifica posizione organizzativa individuata dall’Azienda (Cass. 19040/2015, 6956/2014); Cass., Sez. L, n. 4812/2019 ha precisato, poi, che i principi suesposti, più volte affermati, sono valevoli per l’intera area della dirigenza sanitaria, medica e non medica.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 27, comma 1, lett. b), CCNL 8.6.2000 Dirigenti del ruolo sanitario, professionale, tecnico e amministrativo dipendenti dalle aziende ed enti del servizio sanitario nazionale, nonché dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte d’Appello di Roma riconosciuto l’incarico di direttore di struttura semplice senza l’attestazione ovvero la prova della prevalenza della gestione delle risorse umane e strumentali da parte della dott.ssa COGNOME il tutto in rif erimento all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.. Secondo la parte ricorrente: «nello svolgimento dei due gradi di giudizio è apparso evidente come la Dott.ssa COGNOME (titolare del diverso incarico professionale di cui all’art. 27 lett. C – incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo – conferitogli con deliberazione n. 241 del 16.5.2013 non abbia minimamente provato di aver svolto in maniera prevalente rispetto a questi ultimi, i compiti di gestione delle risorse umane e strumentali e ciononostante la Corte d’Appello le abbia riconosciuto le chieste mansioni superiori».
6.1. Appare evidente, fin dalla formulazione del motivo, come lo stesso tenda a contestare e a provocare la ripetizione della valutazione probatoria riservata al giudice di merito e irriferibile alla Corte di legittimità. Assume rilievo, ai fini dell’inammissib ilità del motivo, il principio giurisprudenziale recato da Cass. 22/11/2023, n. 32505 e già riportato in sede
di delibazione del secondo motivo di ricorso. La sentenza afferma, poi, in proposito: «dai sopra evidenziati documenti emerge inequivocabilmente la titolarità della struttura semplice RAGIONE_SOCIALE in capo alla appellata, posta all’int erno della UOC Direzione Operativa Chimica. Dai documenti 12-22 si evince, poi, v. in particolare il n. 22, che la COGNOME si qualificava quale dirigente di struttura senza che alcuno abbia mai sollevato questioni al riguardo e ciò è sufficiente per ritenere lo svolgimento di mansioni superiori». Si tratta di un accertamento in fatto, riservato al giudice di merito, irriferibile alla Corte in sede di legittimità. La parte ricorrente nemmeno ha dedotto elementi dai quali possa trarsi una ipotesi di travisamento della prova documentale posta dalla Corte territoriale a fondamento della decisione. Assume rilievo, in proposito, il principio secondo il quale: «in tema di ricorso per cassazione, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare non è mai sindacabile nel giudizio di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte» (Cass. 04/03/2022, n. 7187 ).
Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 3, comma 1-bis, 15, 15-bis e 15-ter d.lgs. n. 502 del 1992; dell’art. 2, comma 1, del d.l gs. n. 165 del 2001, dell’art. 2697 c.c. per aver la Corte d’Appello di Roma ritenuta provata l’esistenza della UOS Laboratorio Chimica degli Alimenti in totale
mancanza del percorso normativo costitutivo dell’unità operativa in questione, il tutto in riferimento all’art. 360 , primo comma, n. 3, c.p.c.. La parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere la sussistenza dell’Unità operativa semplice costituita dal Laboratorio di chimica degli alimenti perché sarebbe mancato il presupposto e cioè che «l’azienda, nell’esercizio del discrezionale potere organizzativo, individui, nell’atto aziendale, le strutture dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, come tali richiedenti una figura apicale al proprio vertice».
7.1. Il motivo non attinge la motivazione adottata sul punto dalla Corte di Appello che ha convalidato e fatto proprio il ragionamento probatorio già svolto dal Tribunale in primo grado. Dall’esame della documentazione allegata in atti, proveniente dallo stesso Istituto, emerge come il Tribunale ebbe a trarre il convincimento che il Laboratorio di chimica degli alimenti operasse come Unità operativa semplice, che come tale fosse descritto nel regolamento e negli atti organizzativi in vigore fino al 2019 (essendo entrato in vigore solo in quella data il nuovo regolamento che diversamente provvedeva) e che NOME COGNOME operasse quale preposta e titolare della Unità, gestisse il personale e si qualificasse senza contestazione alcuna, e per anni, responsabile del Laboratorio stesso. Alla luce di questo accertamento in fatto, svolto da entrambe le sentenze di merito e non efficacemente contestato in questa sede, la sentenza impugnata riposa su una motivazione che rimane non superata dal motivo di ricorso che, pertanto, è da respingere.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 115 e 416 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 3, comma 1 bis, 15, 15-bis e 15-ter d.Lgs. n. 502 del 1992; dell’art. 2, comma 1, del d.Lgs. n. 165 del 2001, per aver la
Corte d’Appello di Roma ritenuto provato lo svolgimento di mansioni superiori da parte della dott.ssa COGNOME dalla mera allegazione di documenti nei quali la stessa si qualificava come dirigente di struttura senza che alcuno abbia mai sollevato questioni al riguardo, il tutto in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c..
8.1. Il motivo di ricorso, lungi dal contestare la violazione ovvero la falsa applicazione delle norme invocate, si riduce alla proposizione di una diversa lettura del compendio probatorio posto -ancora una volta da entrambe le sentenze di merito -a fondamento delle rispettive decisioni. Peraltro, la decisione della Corte di Appello nella sua motivazione valorizza un complesso di circostanze in gran parte autonome da quelle riportate nel motivo di impugnazione che, per questa via, non appare in grado di infirmare la reale ratio decidendi della sentenza impugnata proprio perché riferito ad uno solo degli elementi probatori valorizzati dalla Corte di Appello. Si consideri ancora una volta che «il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass.,
22/11/2023, n. 32505). Ne discende, ad avviso del Collegio, l’inammissibilità dello strumento di gravame.
Il ricorso deve, allora, essere integralmente respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi e rimborso spese generali nella misura del 15%;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro della Corte Suprema di cassazione, del 21 maggio 2025.
Il Presidente
(NOME COGNOME