Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33711 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33711 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19905-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, del 07/07/2022 R.G.N. 38161/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Fallimento
R.G.N. 19905/2022
COGNOME
Rep.
Ud.30/10/2024
CC
RILEVATO CHE
1. Con decreto del 24.11.2017 il Tribunale di Roma respingeva l’opposizione allo stato passivo della RAGIONE_SOCIALE, proposta da NOME COGNOME con la quale questi chiedeva, in riforma del decreto emesso dal Giudice Delegato su istanza di insinuazione tardiva, l’ammissione al passivo del suo credito, pari ad € 24.499,10, per differenze retributive conseguenti al superiore inquadramento derivante dallo svolgimento di fatto di mansioni corrispondenti a quelle previste dal CCNL RAGIONE_SOCIALE -Area Professionale 3 Manutenzione impianti e officine -operatore tecnico parametro 170 a fronte delle somme già riconosciute a seguito di domanda tempestiva, calcolate sulla base dell’inquadramento inferiore, parametro 130, riconosciuto dal datore di lavoro. A fondamento della domanda il COGNOME deduceva di aver svolto mansioni di livello superiore a quello di formale titolarità e di avere diritto al pagamento delle differenze retributive corrispondenti alle mansioni rientranti nel par. 170 CCNL RAGIONE_SOCIALE a far data dal 2002. Esponeva di aver avviato apposito giudizio innanzi al competente Tribunale del Lavoro di Roma perché fosse accertato detto espletamento, e fossero, quindi, riconosciute in suo favore le differenze retributive spettanti e che il procedimento, istruito con prova testimoniale, era stato interrotto a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa e successivamente riassunto fino alla pronunzia di improcedibilità del ricorso. Affermava di aver proposto domanda tempestiva di ammissione allo stato passivo della procedura concorsuale per il credito relativo al pagamento degli stipendi non versati, delle ferie maturate e non godute, dei ratei della XIII e XIV mensilità nonché del TFR maturato, e che tale credito era stato integralmente ammesso allo stato passivo, in data 24.7.2015. Evidenziava che, a seguito della sentenza con la quale il giudice del lavoro aveva dichiarato improcedibile il ricorso per il riconoscimento delle mansioni superiori e del corrispondente trattamento economico, si era determinato a formulare istanza di ammissione tardiva allo stato passivo per rivendicare in sede concorsuale le somme richieste in quel giudizio ma che la richiesta veniva rigettata. Con il decreto di rigetto il Tribunale ha ritenuto inammissibile la domanda tardiva, rilevando che si era formato il giudicato interno a seguito dell’ammissione al chirografo, sulla base della domanda tempestiva fatta valere, non potendo ritenersi che la domanda tardiva fosse diversa per petitum e causa petendi rispetto alla domanda tempestiva.
Con ordinanza n. 4506/2020 depositata il 25 febbraio 2019, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal COGNOME e cassava con rinvio detta ultima pronuncia ritenendo erroneo il rilievo della Corte d’appello di preclusione della domanda tardiva a ragione del giudicato endofallimentare formatosi a seguito della domanda tempestiva accolta, stante la parziale diversità del titolo oltre che del petitum tra le due domande. Escludeva, altresì, la configurabilità di un ingiustificato frazionamento della domanda, stante l’interesse della parte ad ottenere l’ammissione al passivo con la domanda tempestiva sulla base dell’inquadramento risultante dalle stesse buste paga ed incontestato.
Con decreto del 7.7.2022 il Tribunale di Roma, in sede di rinvio dalla Cassazione, rigettava nuovamente l’opposizione in quanto ‘ l’opponente non ha fornito prova adeguata dello svolgimento delle mansioni superiori e del diritto di credito maturato in dipendenza del relativo espletamento. La produzione documentale in atti, comprensiva dei verbali di assunzione delle prove testimoniali nel corso del giudizio
instaurato innanzi al giudice del lavoro, non fornisce invero elementi di valutazione decisivi nel senso dello svolgimento di fatto di mansioni superiori rispetto al formale inquadramento del lavoratore ‘.
Avverso tale decreto propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a due motivi.
La liquidazione coatta di RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso.
Parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta ‘ violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ed in particolare degli art. 2697, 115 e 116 c.c.. ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 ‘ e censura la sentenza ‘per avere attribuito alle testimonianze utilizzate per la decisione una affermazione decisiva esattamente contraria al loro contenuto’. Deduce il ricorrente che il Tribunale aveva omesso di riportare e vagliare integralmente le testimonianze rese dai testi ed anzi aveva riportato le dichiarazioni dei testi in maniera completamente stravolta e contraria alle parole verbalizzate, posto che mentre i testi avevano voluto sottolineare che il ricorrente aveva un grado di autonomia decisionale e responsabilità proprio e tipico del parametro 170, aveva ricondotto le mansioni svolte solamente a quelle di riscontro e non anche a quelle di sostituzione per poi giungere alla conclusione che tali operazioni non richiedevano particolari perizie tecniche e adeguata esperienza e professionalità, con autonomia operativa in linea.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce: ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. omessa insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio art. 360 comma 1 n. 3 e 5 cpc ‘ e censura la pronuncia impugnata per aver omesso di considerare il seguente fatto decisivo: ‘risulta dagli atti, differentemente da quanto riportato in sentenza, che il COGNOME provvedesse non solo a riscontrare i danni ma anche alla sostituzione/riparazione e in ogni caso ad intervenire su parti meccaniche e di carrozzeria con l’unico limite di effettuare tutte quelle riparazioni che si possono effettuare sul posto’. Lamenta altresì che il Tribunale aveva omesso di considerare le dichiarazioni testimoniali dalle quali emergeva lo svolgimento, da parte del COGNOME, ‘di una serie di mansioni che non possono non appartenere ad una particolare perizia tecnica e professionalità di cui al parametro 170. Si contesta l’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di una parte (in alcuni casi della medesima frase riportata solo parzialmente) delle dichiarazioni testimoniali, la cui esistenza risulta dai verbali di udienza del giudizio davanti alla sezione lavoro, che sono stati oggetto di discussione tra le parti nel detto giudizio ed hanno, evidentemente, carattere decisivo, difatti, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia, proprio per il tenore letterale delle frasi dichiarate dai testimoni escussi.
Il ricorso è inammissibile, essendo inammissibili entrambi i motivi di censura sui quali è fondato.
I motivi di ricorso in esame, infatti, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella prima parte dell’intestazione, attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte d’appello, omettendo di considerare che
tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento -ad esso funzionale -delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499). Per giurisprudenza costante di questa Corte, infatti, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.; la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Laddove si deduca, invece, che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. Un. n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02, cfr Cass. n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 -01).
Quanto alla deduzione di omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., va osservato che detta norma, come riformulata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 17005 del 20/06/2024, Rv. 671706 -01).
Nella specie i motivi di ricorso si limitano a chiedere un diverso apprezzamento del materiale probatorio raccolto, e omettono di confrontarsi con la costante affermazione di questa Corte secondo la quale (Cass. n. 10927 del 23/04/2024, Rv. 670888 -01; Cass. n. 37382 del 21/12/2022, Rv. 666679 -05) la valutazione del materiale probatorio -in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla
valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le già menzionate valutazioni.
In proposito si osserva che la sentenza impugnata ha mostrato di aver tenuto conto delle dichiarazioni rese dai testi nella loro globalità, atteso che, dopo aver integralmente riprodotto il contenuto testuale delle testimonianze menzionate, comprese le frasi che il ricorrente deduce essere state omesse o ‘stravolte’, ne ha valutato il valore probatorio unitamente agli altri elementi istruttori ed in particolare ai documenti prodotti dalla controparte. A fronte di ciò il ricorrente lamenta che il giudice, in base alle dichiarazioni testimoniali, non abbia riconosciuto lo svolgimento di mansioni di fatto superiori ma in tal modo egli non prospetta né un vizio di violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. né un vizio motivazionale bensì una propria contrapposta ricostruzione dei dati di fatto. In particolare, il ricorrente pretende di dedurre dal contenuto di quelle testimonianze conclusioni circa il grado di autonomia operativa e di perizia tecnica richieste per lo svolgimento delle mansioni riferite dai testi. Si tratta evidentemente, come accennato, di una impostazione che non tiene conto del principio per cui in tema di accertamento dei fatti storici allegati dalle parti a sostegno delle rispettive pretese, i vizi motivazionali deducibili con il ricorso per Cassazione non possono consistere nella circostanza che la determinazione o la valutazione delle prove siano state
eseguite dal giudice in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché a norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale -e come tale insindacabile -del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti con l’unico limite di supportare con adeguata e congrua motivazione l’esito del procedimento accertativo e valutativo seguito.
Il giudice di merito, peraltro, ha accertato la natura delle attività lavorative svolte dal dipendente alla luce delle mansioni affidategli, ha individuato, con corretta applicazione dei criteri ermeneutici legali, la portata della disciplina collettiva sugli elementi tipizzanti sia il parametro 170 invocato dal COGNOME che i parametri 123, formalmente attribuito sino al 2009, e 130, attribuito dal 2009 in poi, ha escluso, con motivazione adeguata e coerente, che le mansioni di fatto svolte dal COGNOME fossero caratterizzate da ‘particolare perizia tecnica, adeguata esperienza e professionalità, specifica responsabilità e non implicavano conoscenze polifunzionali’, tipiche del parametro 170, valorizzando in tal senso sia la circostanza che i moduli redatti dal COGNOME venivano sottoscritti al rientro anche dal Capo Operaio sia quella che gli interventi di riparazione eseguiti ‘in autonomia’ dal COGNOME ‘attenevano a piccole riparazioni che non esigevano una specifica esperienza professionale’.
Ne deriva che le censure svolte si rivelano portatrici esclusivamente di una propria, diversa lettura delle risultanze processuali, congruamente e correttamente apprezzate in sede di merito.
Il ricorso in conclusione, va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso
condanna il ricorrente COGNOME COGNOME al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE in l.c.a. delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della