Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1820 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1820 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5434/2020 R.G. proposto da: COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, SEGRETARIATO GENERALE DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
Nonché contro
MINISTERO DELL’INTERNO
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1000/2019 depositata il 2/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME, dipendente del MINISTERO DELL’INTERNO inquadrato nell’area III con profilo di funzionario informatico e comandato presso il Consiglio di Giustizia Amministrativa ( in prosieguo, anche C.G.A.) -per il pagamento delle differenze di retribuzione maturate nel periodo dal 28 giugno 2010 all’8 maggio 2013, in ragione dello svolgimento delle funzioni dirigenziali di Segretario Generale del C.G.A.
2.La Corte territoriale osservava che il lavoratore, pur evidenziando i compiti a lui assegnati dal Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa in costanza della perdurante vacanza del posto di direttore dell’Ufficio di Segreteria, non aveva descritto le mansioni del profilo di appartenenza né specificato le mansioni svolte prima e dopo il periodo di causa. Tale omissione allegatoria era solo apparentemente sanata nella memoria di costituzione in appello, nella quale egli, pur riportando, per la prima volta, la declaratoria del profilo di funzionario informatico ( di cui al contratto integrativo 2006/2009) si limitava a dedurre di avere svolto compiti strettamente tecnici inerenti al settore, senza descriverli adeguatamente.
Altra carenza era relativa alla natura prevalente o esclusiva delle mansioni asseritamente dirigenziali rispetto a quelle della categoria di appartenenza. Lo COGNOME si era limitato ad elencare i compiti assegnatigli in assenza del Segretario COGNOME senza nulla dedurre circa la frequenza, la distribuzione temporale e la gravosità contenutistica del proprio impegno quale funzionario informatico, comparazione invece necessaria all’accertamento della prevalenza delle mansioni dirigenziali rispetto a quelle di funzionario.
4.Non erano utili alla esatta identificazione dei compiti espletati dallo COGNOME quale funzionario le generiche -e sul punto parzialmente
lacunose -dichiarazioni dei testi ed a conclusione non diversa conduceva la documentazione prodotta.
Con ordine di servizio del 17 gennaio 2003 il Segretario Generale del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana aveva incaricato lo COGNOME di svolgere in sua assenza una serie di incombenze, attinenti alla ordinaria gestione della segreteria e caratterizzate da una limitata autonomia decisionale, poi attribuitegli allo stesso modo in epoca successiva ed in attesa della nomina del nuovo dirigente.
La ulteriore documentazione attestava attività occasionali o comunque non caratterizzate dalla autonomia gestionale propria delle funzioni dirigenziali.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza COGNOME, articolato in sette motivi di censura; hanno resistito con unico atto di controricorso la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, il SEGRETARIATO GENERALE DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA ed il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA; è rimasto intimato il MINISTERO DELL’INTERNO. 8. Il collegio si è riservato il deposito della ordinanza nel termine di
sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
1.Va disattesa la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso opposta dalle parti resistenti, sotto il profilo della omessa impugnazione della autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata consistente nel mancato assolvimento dell’onere di allegazione dei fatti rilevanti al decidere; nell’assunto delle parti resistenti, le censure proposte in questa sede riguarderebbero soltanto la ulteriore ratio decidendi consistente nel difetto di prova dello svolgimento in modo prevalente delle mansioni dirigenziali.
2.La eccezione è infondata.
3.Le ragioni del ricorso investono congiuntamente il profilo probatorio e quello delle allegazioni; il ricorrente sostiene, infatti, che si verterebbe in una fattispecie di reggenza di un ufficio dirigenziale privo di titolare sicché i suoi oneri di allegazione, prima ancora che di prova, avrebbero dovuto essere individuati sulla base dei principi enunciati da questa Corte in
tema di reggenza di un ufficio dirigenziale e non già secondo i criteri generali relativi all’ esercizio di mansioni superiori, applicati dal giudice dell’appello.
Tanto premesso, il ricorso appare complessivamente infondato.
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. -l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, consistente nel conferimento della delega per «regolare lo svolgimento delle normali attività di Segreteria del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana», giusta nota del Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa in data 28 giugno 2010, epoca in cui, come era pacifico tra le parti, il posto di Segretario Generale era vacante, così come in tutto il periodo di causa. Il provvedimento in questione era stato espressamente adottato ai sensi dell’art. 4 DPR n. 580/95, che, alla lett. d ), prevede la facoltà del Presidente di delegare funzioni a presidenti di sezioni staccate, segretari generali e agli altri dirigenti. Tale fatto avrebbe, nell’assunto di parte ricorrente, rilievo decisivo, giacché ne derivava l’applicazione dei principi elaborati da questa Corte in ordine ai limiti della reggenza ed all’esercizio delle superiori mansioni dirigenziali nelle ipotesi di mancata copertura del posto in tempi ordinari.
6.Il motivo è infondato.
7.Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la Corte territoriale ha esaminato il fatto della vacanza del posto di Segretario generale, del quale dà conto nel richiamare (alla pagina 4 della sentenza, primo capoverso) le allegazioni del ricorso. Nella parte motiva (alla pagina 5, capoverso terzo) la sentenza ritorna a descrivere i compiti delegati, che, come risulta dalla sentenza e dalle stesse allegazioni di parte ricorrente, erano gli stessi già delegati dal precedente Segretario ad interim con ordine di servizio del 17 gennaio 2003. In relazione a tali compiti la sentenza afferma: «si trattava, dunque di una serie di incombenze, le stesse che saranno successivamente attribuite all’appellato in attesa della nomina del nuovo dirigente, attinenti alla ordinaria gestione della
segreteria e caratterizzate da una limitata autonomia decisionale». Non sussiste, dunque, il denunciato vizio di omesso esame ma, piuttosto, una valutazione dei contenuti della delega del Presidente del C.G.A. diversa da quella prospettata dalla parte : il giudice del merito ha escluso che ricorresse una ipotesi di reggenza dell’ufficio dirigenziale.
8.Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.
9.Con la seconda critica viene dedotta -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione dell’art. 2697 cod.civ.; si assume che la assegnazione dell’incarico di reggenza è prova dell’esercizio di mansioni superiori ove siano superati i limiti di tale istituto, sicché sarebbe stato onere della amministrazione dimostrare che egli aveva agito sotto il controllo e la direzione dei vertici della amministrazione e del Presidente del C.G.A.
10.Il terzo mezzo è proposto -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ.per falsa applicazione dell’ art. 52 d.lgs. n. 165/2001. Si torna a lamentare la mancata applicazione dei principi elaborati da questo giudice di legittimità in tema di limiti della reggenza di un ufficio dirigenziale momentaneamente sprovvisto di titolare, superati i quali si configura l’esercizio di mansioni superiori.
I due motivi sono inammissibili, in quanto muovono dal presupposto della assegnazione allo COGNOME, nel periodo di causa, dell’incarico di reggenza dell’ufficio di Segretario Generale del C.G.A.
Trattasi di un fatto non conferente all’ accertamento compiuto dalla Corte di merito, la quale ha osservato che la delega conferita dal Presidente del C.G.A. non riguardava la reggenza dell’ufficio ma, piuttosto, come si è già esposto in riferimento al primo motivo, attività attinenti alla ordinaria gestione della segreteria e «caratterizzate da una limitata autonomia operativa».
La quarta censura è proposta -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -per violazione e falsa applicazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001 in combinato disposto con l’art. 11 d.lgs. n. 373/2003, l’art. 17 d.lgs. n. 165/2001 e l’art. 24 decreto del Presidente del Consiglio di Stato
15.2.2005 (Regolamento di organizzazione degli uffici amministrativi della giustizia amministrativa).
14.Si contesta la sentenza per avere affermato non essere stati assolti dal ricorrente gli oneri di allegazione e prova a suo carico.
15.Si espone che ai sensi dell’art. 11 d.lgs. n. 373/2003 il posto di Segretario generale è coperto da un dirigente. Si aggiunge che il Regolamento di organizzazione degli uffici amministrativi della giustizia amministrativa annovera tra le funzioni dirigenziali la gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici -compiti allegati in ricorso -e, tra i compiti del segretario generale, la direzione della segreteria giurisdizionale, compito pure dedotto in ricorso. Si ricorda, da ultimo, che le mansioni indicate in ricorso erano quelle descritte dall’art. 17 d.lgs. n. 165/2001.
16.Con il quinto mezzo si lamenta -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione degli artt. 115 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ., assumendo che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha rilevato la unicità o occasionalità delle mansioni documentate, avrebbe violato il principio di non contestazione.
17. Il ricorrente ha esposto che la Amministrazione non aveva contestato le sue funzioni di direttore dell’ufficio di segreteria, limitandosi a sostenere che esse erano riconducibili al profilo di appartenenza. Solo a titolo esemplificativo erano stati indicati i compiti di gestione del personale, di organizzazione delle segreterie giurisdizionale e consultiva, di gestione dei beni strumentali e delle risorse finanziarie, di rappresentanza della parte pubblica in sede di contrattazione decentrata.
18.I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
19. Come si è già detto, la sentenza di merito ha escluso che lo COGNOME avesse ricevuto un incarico di reggenza dell’ufficio di Segretario Generale sicché resta priva di decisività la censura fondata sulla natura dirigenziale delle funzioni di Segretario Generale del C.G.A. 20.Nel resto le critiche investono, con la formale deduzione di un errore di diritto, un tipico accertamento di merito ovvero la valutazione, compiuta dal giudice dell’appello, della carenza di allegazione e prova dello svolgimento in via prevalente di funzioni dirigenziali. Ed invero il
ricorrente non pone una questione di interpretazione delle norme ma assume, piuttosto: con il quarto motivo di avere assolto ai propri oneri di allegazione e prova; con il quinto che le amministrazioni non avrebbero contestato le sue funzioni di direzione dell’ufficio di segreteria generale.
21.In tal modo si devolve a questa Corte un non-consentito riesame del merito.
22.Il sesto motivo è proposto -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ.per violazione degli articoli 421 e 437 cod.proc.civ.; si contesta la sentenza per avere ritenuto la mancanza di prova della prevalenza delle mansioni dirigenziali.
23. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale, preso atto che i documenti prodotti avevano rilievo meramente esemplificativo delle mansioni dirigenziali svolte, qualora avesse ritenuto la prova insufficiente avrebbe dovuto ordinare la produzione in giudizio della intera documentazione inerente i compiti svolti, nell’esercizio del suo potere -dovere istruttorio.
24. Il motivo è inammissibile. Invero parte ricorrente non si duole della mancata ammissione di specifici documenti aventi ex se attitudine dimostrativa, la cui esistenza risultava dagli atti di causa ma della mancata acquisizione dei documenti che proverebbero tutti i compiti dirigenziali svolti, imputando, in sostanza, alla Corte territoriale di non avere di propria iniziativa riaperto l’intera fase istruttoria.
25.La settima censura è proposta -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. -per violazione e falsa applicazione dell’art. 91,comma 1, cod.proc.civ. ed afferisce alla liquidazione a proprio carico degli onorari di avvocato per il giudizio di primo grado, nel quale il Segretariato Generale del C.G.A. ed il C.G.A. era rappresentato e difeso da propri funzionari.
26.Il motivo è infondato.
27. Trova applicazione nella fattispecie l’articolo 152 -bis disp. att. cod.proc.civ., inserito dall’art. 4, comma 42 l. 12 novembre 2011 n. 183 ed applicabile alle controversie insorte successivamente alla data di entrata in vigore della legge (1^ gennaio 2012). Il giudizio di primo grado è infatti iniziato nell’anno 2014.
28. La norma, nel testo modificato dall’art. 1, comma 31 l. 24 dicembre 2012 n. 228, dispone che nelle liquidazioni delle spese ex articolo 91 cod.proc.civ. a favore delle pubbliche amministrazioni assistite da propri dipendenti, ai sensi dell’articolo 417bis cod. proc.civ., si applica il decreto adottato ai sensi dell’articolo 9, comma 2, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con modif. dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto.
Correttamente, pertanto, il giudice dell’appello ha liquidato alla amministrazione il compenso professionale anche se assistita da propri funzionari; non è stata dedotta, invece, una violazione del limite massimo del compenso, come ridotto dal citato art. 152 bis.
In conclusione il ricorso deve essere nel complesso respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 5.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della