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Mansioni superiori: no paga extra senza posto in organico

Un operatore sanitario ha svolto per anni compiti dirigenziali, ma la Corte di Cassazione ha negato il suo diritto a una retribuzione maggiore per mansioni superiori. La ragione fondamentale è stata l’assenza di una corrispondente posizione dirigenziale nell’organigramma ufficiale dell’azienda ospedaliera. La Corte ha ribadito che, senza un posto formalmente istituito, non sorge alcun diritto a differenze retributive.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mansioni superiori: la paga extra spetta solo se il posto esiste in organico

Svolgere compiti di maggiore responsabilità dà sempre diritto a una retribuzione più alta? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16044/2024, ha fornito una risposta chiara: il riconoscimento economico per mansioni superiori è strettamente legato all’esistenza di una specifica posizione nella pianta organica dell’ente. Approfondiamo una vicenda che chiarisce i confini di questo importante principio del diritto del lavoro.

Il caso: un decennio di incarichi direttivi senza retribuzione adeguata

Un operatore del settore sanitario ha ricoperto per oltre dieci anni (dal 2000 al 2011) il ruolo di Dirigente del Servizio Infermieristico presso un’azienda ospedaliera. Nonostante le responsabilità gestionali e direttive, la sua retribuzione è rimasta quella della qualifica di inquadramento originaria.

Di fronte a questa situazione, il lavoratore ha citato in giudizio l’azienda chiedendo il pagamento di cospicue differenze retributive, sostenendo di aver svolto di fatto mansioni superiori. In primo grado, il Tribunale gli ha dato ragione, condannando l’ospedale a un risarcimento di oltre 220.000 euro. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato completamente la decisione, rigettando tutte le domande del lavoratore. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La questione delle mansioni superiori e la pianta organica

Il cuore della controversia giuridica risiede nell’interpretazione dell’articolo 52 del D.Lgs. 165/2001, che regola lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego. La norma prevede che il lavoratore adibito a mansioni di livello superiore abbia diritto al trattamento economico corrispondente.

La Corte d’Appello, però, ha rilevato un elemento decisivo: durante il periodo in questione, nell’organigramma (pianta organica) dell’azienda ospedaliera non esisteva una struttura dirigenziale autonoma per il servizio infermieristico, né un posto formalmente istituito. Sebbene i compiti svolti dal lavoratore fossero di natura direttiva, essi, in assenza di una posizione specifica, rientravano giuridicamente nella sua categoria di appartenenza. La struttura dirigenziale è stata infatti creata solo in un momento successivo.

La decisione della Corte di Cassazione sulle mansioni superiori

La Suprema Corte ha confermato la sentenza d’appello, respingendo il ricorso del lavoratore e chiarendo in modo definitivo il principio applicabile.

I motivi del rigetto

I giudici hanno dichiarato inammissibili i motivi del ricorso che miravano a un riesame dei fatti. Il ricorrente, infatti, chiedeva alla Corte di valutare nuovamente delibere e documenti aziendali per dimostrare l’esistenza di una struttura dirigenziale, un’operazione che esula dalle competenze della Cassazione, la quale si pronuncia solo sulla legittimità e sulla corretta applicazione del diritto.

La Corte ha poi ribadito il suo orientamento consolidato: il diritto al trattamento economico superiore presuppone non solo lo svolgimento di fatto delle mansioni, ma anche l’esistenza di una posizione organizzativa corrispondente, prevista dall’atto aziendale e dal provvedimento di graduazione delle funzioni. L’assegnazione di fatto di un funzionario non dirigente a una posizione dirigenziale è rilevante solo se tale posizione è formalmente prevista nella pianta organica.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio di legalità e di certezza organizzativa, specialmente nel settore pubblico. Riconoscere differenze retributive per ruoli non formalmente istituiti creerebbe una situazione di incertezza e potrebbe aggirare le procedure concorsuali previste per l’accesso alle qualifiche dirigenziali. In assenza di una struttura dirigenziale e di un relativo posto in pianta organica, i compiti svolti, per quanto complessi e di responsabilità, devono essere considerati come un’espressione qualitativamente elevata delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza, ma non come l’esercizio di una funzione superiore.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale per i lavoratori, in particolare del pubblico impiego: per poter rivendicare il diritto a una retribuzione superiore non è sufficiente dimostrare di aver svolto compiti più complessi, ma è necessario che tali compiti corrispondano a un posto di lavoro formalmente esistente e vacante nell’organigramma dell’ente. La sentenza sottolinea l’importanza della struttura formale dell’organizzazione del lavoro e pone un limite chiaro alle richieste di adeguamento economico basate esclusivamente sullo svolgimento di fatto di determinate attività.

È sufficiente svolgere compiti di livello più alto per avere diritto a una retribuzione maggiore?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non è sufficiente. È necessario che tali mansioni corrispondano a una posizione dirigenziale formalmente prevista nella pianta organica dell’ente.

Cosa succede se un dipendente svolge mansioni superiori ma il posto non esiste formalmente nell’organigramma aziendale?
In questo caso, il lavoratore non ha diritto alle differenze retributive. La Corte ha stabilito che, in assenza di una struttura dirigenziale e del relativo posto in pianta organica, i compiti svolti rientrano nella categoria di appartenenza del dipendente, anche se di natura direttiva.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti accertati nei gradi di giudizio precedenti?
No. Il ricorso per cassazione è inammissibile se mira a una rivalutazione dei fatti già accertati dal giudice di merito. La Suprema Corte può pronunciarsi solo su questioni di violazione o falsa applicazione di norme di legge (questioni di diritto).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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