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Mansioni superiori: no differenze se pagati di più

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un dipendente comunale che, pur svolgendo mansioni superiori, richiedeva differenze retributive. La Corte ha stabilito che, poiché il lavoratore percepiva già una retribuzione di livello B4, superiore a quella (B3) rivendicata per le mansioni superiori svolte, non sussisteva alcun diritto a ulteriori compensi. La retribuzione più alta già in godimento è stata considerata ‘assorbente’ rispetto a qualsiasi differenza richiesta.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mansioni Superiori: Quando la Retribuzione Superiore Assorbe le Differenze

Nel contesto del pubblico impiego, la questione delle mansioni superiori e del relativo compenso è spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 32481/2024, offre un chiarimento fondamentale: se un dipendente percepisce già una retribuzione superiore a quella prevista per le mansioni più elevate che svolge, non ha diritto ad alcuna differenza retributiva. Questo principio, basato sulla logica della sufficienza del compenso, pone la sostanza economica al di sopra della forma contrattuale.

I Fatti del Caso: La Richiesta del Dipendente Comunale

Un dipendente di un Comune, inquadrato come accompagnatore di scuolabus (livello B1), ha svolto per oltre sei anni le mansioni superiori di autista per disabili, riconducibili al livello B3. Per questo motivo, ha citato in giudizio l’ente locale per ottenere il pagamento delle differenze retributive maturate.

L’elemento cruciale della vicenda, tuttavia, era un altro: il lavoratore, già dal 2005 e quindi da prima del periodo in questione, percepiva un trattamento economico corrispondente al livello B4, ancora più vantaggioso di quello (B3) che rivendicava. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua domanda, ritenendo che la retribuzione effettivamente percepita fosse già più che adeguata.

L’Analisi della Cassazione sulle Mansioni Superiori

La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, rigettando il ricorso del lavoratore. I giudici hanno sottolineato che il diritto alla differenza retributiva per lo svolgimento di mansioni superiori nasce dalla necessità di colmare un divario economico tra la retribuzione percepita e quella dovuta per il ruolo effettivamente svolto.

Nel caso specifico, questo divario non solo non esisteva, ma la situazione era addirittura invertita: il dipendente riceveva già uno stipendio superiore a quello che gli sarebbe spettato. La Corte ha definito la circostanza come “assorbente”, ovvero un fatto talmente decisivo da rendere irrilevante ogni altra argomentazione. Il concetto di “differenza retributiva”, per sua stessa natura, presuppone che il compenso ricevuto sia inferiore a quello dovuto, una condizione del tutto assente in questa fattispecie.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un’interpretazione logica e sostanziale delle norme contrattuali. L’art. 8, comma 5, del CCNL Regioni ed Enti Locali, invocato dal ricorrente, prevede il diritto alla “differenza tra il trattamento economico iniziale” del proprio profilo e quello delle mansioni superiori. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tale meccanismo non possa operare in modo avulso dalla realtà economica del rapporto di lavoro.

Se lo scopo della norma è garantire una giusta retribuzione, questo scopo è ampiamente raggiunto (e superato) quando il lavoratore gode già di un trattamento economico più favorevole. Pertanto, non può residuare alcuna differenza da corrispondere se il compenso percepito è uguale o superiore a quello dovuto. La Corte ha inoltre respinto i motivi procedurali del ricorso, confermando che la compensazione delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e che la conferma di una sentenza di primo grado implica una pronuncia implicita su tutti i motivi d’appello, inclusi quelli sulle spese.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di notevole importanza pratica: nella valutazione del diritto alle differenze retributive per mansioni superiori nel pubblico impiego, è il trattamento economico complessivo effettivamente percepito dal lavoratore a essere dirimente. Qualsiasi richiesta di adeguamento salariale è destinata a fallire se il dipendente già gode di una retribuzione che supera quella prevista per le mansioni più qualificate che sta svolgendo. Questa decisione privilegia un approccio basato sulla realtà economica del rapporto, evitando che l’applicazione formale delle norme contrattuali possa portare a risultati irragionevoli e a ingiustificati arricchimenti.

Un dipendente pubblico che svolge mansioni superiori ha sempre diritto alle differenze retributive?
No, secondo questa ordinanza, il diritto non sussiste se la sua retribuzione effettiva è già uguale o superiore a quella prevista per le mansioni superiori svolte.

Cosa significa che la retribuzione superiore è “assorbente”?
Significa che il trattamento economico più vantaggioso già percepito dal lavoratore “assorbe”, e quindi annulla, qualsiasi potenziale diritto a ulteriori differenze retributive derivanti dallo svolgimento di mansioni superiori.

Il calcolo delle differenze per mansioni superiori si basa sulla retribuzione iniziale o su quella effettiva?
La Corte ha dato prevalenza alla retribuzione effettiva. Se questa è già sufficiente a coprire il livello superiore, non spetta alcuna differenza, indipendentemente dai calcoli basati sui livelli retributivi iniziali previsti dal contratto collettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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