Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16156 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 16156 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33250/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente – contro
NOME COGNOME
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato – Svolgimento mansioni superiori – Differenze retributive
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Ud. 22/05/2024 CC
-intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello Roma n. 3676/2019 depositata il 29/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 22/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3676/2018, pubblicata in data 29 ottobre 2018, la Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c., a seguito della sentenza di questa Corte n. 4923/2016, ha accertato il diritto di NOME COGNOME alla corresponsione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE della somma di € 4.493,73. oltre interessi legali, a titolo di differenze retributive tra il livello C1 e il livello C3, con riferimento al periodo 1° luglio 1998-31 ottobre 1999.
La Corte territoriale ha, preliminarmente, disatteso l’eccezione di difetto di procura sollevata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della ricorrente in riassunzione NOME COGNOME, escludendo che quest’ultima dovesse conferire, in sede di riassunzione, una nuova procura e comunque affermando che l’eventuale assenza di procura non avrebbe determinato la nullità del ricorso in riassunzione.
La Corte territoriale, poi, richiamata la sentenza di questa Corte n. 4923/2016 -la quale aveva accolto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE osservando che, nella valutazione dell’effettivo svolgimento di mansioni superiori da parte della lavoratrice, la precedente decisio ne della Corte d’appello non aveva correttamente seguito il procedimento logico-giuridico trifasico, limitandosi al richiamo acritico delle declaratorie contenute nel contratto integrativo ed omettendo di procedere alla verifica delle mansioni concretamente svolte dalla lavoratrice -ha rilevato che:
-quanto all’accertamento dell’attività lavorativa in concreto svolta, lo svolgimento delle mansioni di capo contabile da
parte della lavoratrice risultava sia dagli ordini di servizio sia dalle schede personali, oltre che dalla stessa memoria di costituzione dell’originario datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE, che non l’aveva contestato ;
-quanto alla individuazione e valutazione delle qualifiche, la stessa doveva avvenire sulla scorta del CCNL Comparto Enti pubblici non economici 1994-1997, concludendo che la differenza tra le due qualifiche funzionali in rilievo (VII ed VIII qualifica funzionale) doveva essere individuata nel fatto che i lavoratori della VII qualifica funzionale potevano essere preposti a settori comportanti lo svolgimento di attività semplici nell’ambito di prescrizioni generali contenute in norme o procedure definite o in direttive di massima “, mentre l’VIII qualifica era attribuita a lavoratori preposti a settori comportanti attività complesse con autonoma determinazione dei processi;
-quanto al raffronto tra qualifiche e mansioni effettivamente svolte, le mansioni effettivamente svolte dalla lavoratrice come Capo Contabile erano da ricondursi nell’VIII qualifica, successivamente divenuta profilo C3, come indirettamente confermato dal fatto che il precedente Capo Contabile era inquadrato nell’VIII qualifica e che la stessa COGNOME era stata successivamente inquadrata nel profilo C3, mantenendo le stesse mansioni.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre RAGIONE_SOCIALE.
È rimasta intimata NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione/falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in particolare, degli artt. 75 e 83 c.p.c., nonché dell’art. 4 D.L. n.193/09, del D.M. n.44/11 e del provvedimento 16/4/14 e segg.mm. Ministero della Giustizia (…) in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. ed, in particolare, del comma 7, in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU’ .
Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ha disatteso l’eccezione di difetto di valida procura in relazione al ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c. di NOME COGNOME, escludendo che quest’ultima dovesse conferire, in sede di riassunzione, una nuova procura.
Argomenta l’Ente ricorrente che tutti gli atti della fase di riassunzione sono attribuibili all’ AVV_NOTAIO, il quale non era stato difensore nel precedente giudizio di appello ma solo nel giudizio svoltosi innanzi a questa Corte, mentre l’ AVV_NOTAIO -che invece aveva assistito l’odierna intimata nel precedente giudizio di appello non avrebbe svolto concreta attività difensiva nella fase in riassunzione.
Deduce, ulteriormente, il ricorrente che la procura allegata al ricorso ex art. 392 c.p.c. sarebbe priva di valida firma digitale.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la ‘nullità della sentenza o del procedimento (…) in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. ed, in particolare, del comma 2 in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU’ .
Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ha disatteso l’eccezione di difetto di valida procura in relazione al ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c. di NOME COGNOME, affermando che l’eventuale assenza di procura non avrebbe determinato la nullità del ricorso in riassunzione, potendo il difetto di procura essere sanato.
Rileva che la Corte territoriale, al di là dell’affermazione di principio, non ha tuttavia proceduto in concreto a disporre la sanatoria.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione/falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in particolare, degli artt. 384 e 394 c.p.c. (….) in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. ed, in particolare, de l comma 7, in una lettura integrata con l’art. & CEDU’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe omesso di rispettare le indicazioni contenute nella decisione di questa Corte, in quanto avrebbe omesso sia di esaminare le mansioni svolte in concreto dall’odierna intimata sia di analiz zare le declaratorie contrattuali.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la ‘nullità della sentenza o del procedimento (…) in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. ed, in particolare, del comma 2 in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU’ .
Secondo l’Ente ricorrente la Corte territoriale avrebbe esorbitato dai limiti del decisum fissato dalla decisione di questa Corte, ‘creando una acritica correlazione tra la figura del capo contabile e la posizione C3’ .
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Lo stesso, infatti, non viene a rispettare il canone di specificità e completezza di cui all’art. 366 c.p.c., dal momento che parte ricorrente
ha omesso di produrre e localizzare le procure dalle quali si dovrebbe evincere la fondatezza delle asserzioni in fatto su cui il motivo di ricorso si viene a basare, ed anzi giunge, nella ricostruzione dei fatti processuali, a sconfinare nella vera e propria indeterminatezza, come nel caso dell’affermazione per cui ‘l’AVV_NOTAIO (…) non risulta avere apposto alcuna firma’ (pag. 9 ricorso), vera e propria asserzione apodittica lasciata priva del benché minimo riferimento o riscontro.
Va, invero, osservato che parte ricorrente -che pure ha interpolato il proprio ricorso con una notevole mole di documenti -non risulta aver prodotto (o localizzato) né la procura rilasciata per i gradi di merito né la procura relativa al precedente giudizio di cassazione ed anzi ha interpolato nel ricorso la solo prima pagina di un ‘ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c. e segg.’ recante a margine una procura rilasciata dall’intimata sia all’AVV_NOTAIO sia l’AVV_NOTAIO, e con autentica di firma apposta da entrambi i procuratori.
Le carenze del motivo di ricorso, quindi, valgono a precludere l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, atteso che tale potere presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021) e che, in assenza di detta ammissibilità, vengono meno i presupposti per l’esercizio del medesimo potere-dovere (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012).
Il secondo motivo di ricorso diviene, a questo punto, inammissibile, in quanto diretto nei confronti della seconda ratio decidendi della decisione impugnata, avendo la Corte territoriale
disatteso l’eccezione di difetto di procura, da un lato, affermando che l’odierna intimata non era tenuta conferire, in sede di riassunzione, una nuova procura al legale che l’aveva assistita nel precedente giudizio di appello e, dall’altro lato, che l’eventuale assenza di procura non avrebbe determinato la nullità del ricorso in riassunzione potendosi procedere alla sanatoria del vizio.
Disatteso il primo motivo di ricorso -diretto nei confronti della prima ratio decidendi -per quanto attiene il presente motivo trova applicazione il principio per cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019) ed inoltre l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata ( cfr. fra le tante Cass. Sez. 3 n. n. 15399 del 13 giugno 2018).
4. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
L’Ente ricorrente, infatti, imputa alla decisione impugnata la violazione del precedente decisum di questa Corte, cui, invece, la Corte d’appello di Roma risulta essersi pienamente conformata.
Nel cassare la precedente decisione della Corte capitolina, invero, questa Corte aveva rilevato l’omesso rispetto di quella procedura trifasica che, per costante indirizzo di questa Corte, costituisce
meccanismo imprescindibile per la verifica dello svolgimento di mansioni superiori (tra le altre Cass. Sez. L – Ordinanza n. 30580 del 22/11/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 18943 del 27/09/2016; Cass. Sez. L, Sentenza n. 26234 del 30/10/2008; Cass. Sez. L, Sentenza n. 26233 del 30/10/2008; Cass. Sez. L, Sentenza n. 5128 del 06/03/2007).
Contrariamente a quanto -invero assertivamente – dedotto nel motivo di ricorso, la Corte d’appello di Roma risulta essersi conformata al decisum , procedendo, appunto, allo svolgimento del giudizio trifasico, non potendosi ravvisare vizio della decisione nella sua sola sinteticità, avendo questa Corte chiarito che il rispetto di tale giudizio non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, purché risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio e sussistendo vizio della decisione solo nella diversa ipotesi in cui una delle fasi del giudizio venga omessa, o comunque della stessa non si dia conto nella sentenza impugnata (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 32707 del 12/12/2019; Cass. Sez. L Ordinanza n. 30580 del 22/11/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 18943 del 27/09/2016).
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Lo stesso, infatti, non si confronta assolutamente con il decisum della sentenza della Corte d’appello di Roma, la quale, come appena visto, si è pienamente conformata alle indicazioni precedentemente impartite da questa Corte, non senza rilevare -per completezza -che la citazione riprodotta a pag. 16 del ricorso -dal ricorrente presentata come asserzione contenuta nella precedente decisione di questa Corte -costituisce la mera sintesi di uno dei motivi di ricorso in quella sede
formulati da RAGIONE_SOCIALE, e non certo contenuto diretto della decisione di questa Corte.
6. Il ricorso deve quindi essere respinto.
Non vi è luogo a statuire sulle spese, in quanto la parte evocata è rimasta intimata.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 22 maggio