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Mansioni superiori: diritto alla retribuzione giusta

Una lavoratrice ha ottenuto il riconoscimento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, nonostante la qualifica non fosse prevista dal contratto collettivo applicabile. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del datore di lavoro, affermando che il diritto alla giusta retribuzione, basato sull’articolo 36 della Costituzione, prevale sulla formale classificazione. La sentenza chiarisce che, se un ente prevede una posizione nella propria pianta organica e vi assegna un dipendente, deve corrispondere la paga adeguata, usando il CCNL come parametro per il calcolo.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Svolgimento di Mansioni Superiori: Diritto alla Giusta Retribuzione anche senza Previsione Contrattuale

Il riconoscimento economico per lo svolgimento di mansioni superiori è un tema centrale nel diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto prevale anche quando la qualifica corrispondente non è esplicitamente prevista nel contratto collettivo di riferimento. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: La Dipendente e le Mansioni non Riconosciute

Una dipendente di un consorzio autostradale, formalmente inquadrata come agente tecnico esattore (categoria C), si trovava a svolgere di fatto le funzioni di “Operatrice Punto Blu”. Queste mansioni, che includevano la gestione di pratiche amministrative complesse, corrispondevano a una qualifica superiore (categoria B, posizione B1) prevista nella pianta organica dello stesso consorzio, ma non nel contratto collettivo regionale (CCRL) applicabile.

Nonostante la dipendente fosse stata assegnata a tali compiti, il datore di lavoro non aveva mai formalizzato il suo inquadramento superiore, né corrisposto la relativa maggiore retribuzione. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla lavoratrice, condannando il consorzio al pagamento delle differenze retributive.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il consorzio ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato, poiché la qualifica B1 rivendicata era inesistente nel CCRL e, pertanto, non poteva essere attribuita.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno chiarito che il punto focale della questione non era l’esistenza della qualifica nel contratto collettivo, ma il diritto della lavoratrice a ricevere una giusta retribuzione per il lavoro effettivamente prestato.

Le Motivazioni: il Principio Costituzionale delle Mansioni Superiori

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un pilastro del nostro ordinamento: l’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro. Il ragionamento dei giudici può essere così sintetizzato:

1. Rilevanza della Pianta Organica: È stato considerato decisivo il fatto che il datore di lavoro avesse autonomamente previsto quella specifica posizione organizzativa nella propria pianta organica, destinandovi un certo numero di posti.
2. Effettiva Adibizione: La lavoratrice era stata effettivamente assegnata a quelle mansioni superiori, peraltro dopo aver superato una prova selettiva interna che ne attestava l’idoneità.
3. Primato della Retribuzione Effettiva: Il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non è condizionato alla legittimità dell’assegnazione. Una diversa interpretazione sarebbe contraria alla volontà del legislatore di assicurare sempre al lavoratore una retribuzione adeguata al lavoro prestato.
4. Il CCNL come Parametro: In questo contesto, il contratto collettivo non serve a legittimare l’inquadramento, ma funge da mero parametro per quantificare economicamente le differenze retributive dovute.

Il ricorso del datore di lavoro è stato giudicato inammissibile perché non ha colto la ratio decidendi della sentenza d’appello, la quale non aveva disposto un inquadramento formale, ma aveva riconosciuto un diritto di natura economica basato su un principio costituzionale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa pronuncia rafforza la tutela dei lavoratori, soprattutto nel pubblico impiego contrattualizzato. L’insegnamento è chiaro: ciò che conta ai fini retributivi è la sostanza delle mansioni svolte, non la forma del contratto.

Per i lavoratori, ciò significa che è possibile rivendicare le differenze di stipendio quando si svolgono compiti di livello superiore, anche se la qualifica non è prevista dal CCNL di settore, a patto di poter dimostrare l’effettivo svolgimento e la consapevolezza del datore di lavoro.

Per i datori di lavoro, pubblici e privati, la sentenza è un monito: la creazione di posizioni organizzative e l’assegnazione dei dipendenti a compiti specifici hanno conseguenze giuridiche ed economiche immediate. Ignorare il divario tra inquadramento formale e mansioni di fatto può portare a condanne per il pagamento di significative differenze retributive.

Un lavoratore ha diritto a una retribuzione superiore se svolge mansioni non previste dal suo contratto collettivo?
Sì. Secondo la Corte, il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro effettivamente svolto, in base all’articolo 36 della Costituzione, anche se la qualifica specifica non è presente nel contratto collettivo di riferimento.

A cosa serve il contratto collettivo in questi casi se non prevede la qualifica?
Il contratto collettivo (CCNL) viene utilizzato come parametro di riferimento per determinare l’ammontare della giusta retribuzione, ovvero per calcolare le differenze retributive dovute al lavoratore.

L’ente pubblico datore di lavoro può evitare di pagare le differenze retributive se la qualifica superiore non è nel contratto regionale (CCRL)?
No. Il ricorso dell’ente è stato dichiarato inammissibile proprio perché la decisione non si basava sulla presenza della qualifica nel CCRL, ma sul principio costituzionale della giusta retribuzione per le mansioni di fatto espletate, soprattutto quando la posizione era stata prevista nella pianta organica dall’ente stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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