Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15261 Anno 2024
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Civile Ord. Sez. L Num. 15261 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19975-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– RAGIONE_SOCIALE –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controRAGIONE_SOCIALE –
avverso la sentenza n. 148/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE SEZIONE DISTACCATA di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 23/04/2019 R.G.N. 459/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO
che, con sentenza del 23 aprile 2019, la Corte d’Appello di Lecce – Sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE confermava la decisione resa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE e accoglieva la domanda
R.G.N. 19975/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/04/2024
CC
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proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto dell’istante, dipendente della predetta RAGIONE_SOCIALE quale collaboratore amministrativo professionale esperto, categoria Ds, titolare di posizione organizzativa, al pagamento delle differenze retributive, maturate a titolo di mansioni superiori svolte quale dirigente di struttura semplice nel periodo dall’1.7.1998 al 17.3.2006 e quantificate in euro 221.387,21; che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto -in quanto non provata l’intervenuta corresponsione delle somme rivendicate, se non limitatamente agli importi percepiti a titolo di indennità di posizione organizzativa, già scomputate – fondata la pretesa dell’istante;
che la Corte ha, in particolare, condiviso il principio richiamato dal primo giudice per cui ‘ la considerazione delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico, come della diversità delle carriere, non può escludere l’applicazione della disciplina vigente in materia quando venga dedotto l’espletamento di fatto di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario ‘, implicante il diritto al corrispondente trattamento economico, secondo la ratio della norma intesa a garantire al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato ai sensi dell’art. 36 Cost.;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la RAGIONE_SOCIALE, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, il COGNOME.
CONSIDERATO
che, con il primo motivo l’RAGIONE_SOCIALE, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta a carico della Corte territoriale lo scostamento dal principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato
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e la conseguente nullità della sentenza o del procedimento per aver omesso l’esame delle doglianze sollevate dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in sede di gravame uniformandosi aprioristicamente al decisum del primo giudice;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, 15, comma 1, d.lgs. n. 502/1992, 24 d.lgs. n. 29/1993, 27 CCNL 5.12.1996 e 8.6.2000 per il personale dell’area della dirigenza sanitaria, l’RAGIONE_SOCIALE, imputa alla Corte territoriale l’incongruità logica e giuridica della pronunzia resa per aver erroneamente qualificato la fattispecie in termini di esercizio di fatto di mansioni superiori (quando le funzioni svolte dal COGNOME corrispondevano a quelle proprie dell’inquadramento posseduto quale collaboratore amministrativo di categoria DS e dell’incarico conferito di posizione organizzativa) e disapplicato il principio, pur riconosciuto, di onnicomprensività della retribuzione del dipendente pubblico (cumulando le voci retributive percepite in relazione all’inquadramento posseduto con quelle del livello dirigenziale riconosciute come in fatto esercitate);
che, con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 112, 113, 115, 116 132 e 416 c.p.c., l’RAGIONE_SOCIALE imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle regole sull’onere della prova, che assume discendere dall’aver la Corte esonerato l’originario istante dalla prova su di lui incombente dell’esercizio di fatto delle superiori mansioni dirigenziali, nonostante la puntuale contestazione dall’RAGIONE_SOCIALE, così illegittimamente gravata della prova contraria;
che nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 424 e 441 c.p.c. è prospettata in relazione alla mancata ammissione da parte della Corte territoriale dell’istanza istruttoria di rinnovazione della consulenza tecnica espletata
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in primo grado riguardo alla quale era stata tempestivamente eccepita l’erroneità dei calcoli posti a base delle conclusioni rese dal CTU;
che, in via preliminare, deve essere disattesa l’istanza, formulata dal difensore del controRAGIONE_SOCIALE, di interruzione del processo a seguito della morte della parte, in conformità al principio invalso nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo Cass. n. 37825/2021, Cass. n. 8377/2021 e Cass. n. 8037/2021) secondo cui ‘ al giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo ‘;
che, venendo, quindi, all’esame dei motivi di impugnazione, è a dirsi come i primi due motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, per essere entrambi volti, sotto i distinti profili dell’ error in procedendo e dell’ error in iudicando , a sostenere l’essere la Corte territoriale incorsa nel travisamento della fattispecie, per aver considerato che l’espletamento da parte del COGNOME delle funzioni riconducibili all’incarico di posizione organizzativa, che la disciplina collettiva prevede di pertinenza dei funzionari amministrativi appartenenti al livello massimo della categoria, si sostanziassero quale esercizio di fatto di funzioni dirigenziali, per di più con incarico di responsabile di struttura semplice, pur in difetto della relativa procedura, possono essere qui trattati congiuntamente, debbano ritenersi inammissibili;
che l’RAGIONE_SOCIALE non ha, infatti, dato adeguatamente conto di aver impostato su questa doglianza l’impugnazione in sede di appello, quando viceversa dalla sentenza emerge che le doglianze si erano concentrate
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sull’essere già stata riconosciuta al COGNOME (funzionario) la posizione organizzativa della vice dirigenza e sul principio di onnicomprensività della retribuzione oltre che sul quantum delle differenze retributive riconosciute;
che, peraltro, è del tutto congrua la qualificazione della fattispecie come esercizio di mansioni superiori (di dirigente) a prescindere dalla attribuzione della indicata posizione organizzativa (di vice dirigente, relativa al comparto profilo professionale di collaboratore amministrativo) alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 30811/2018) secondo cui ‘ l’assegnazione di fatto di un funzionario non dirigente ad una posizione dirigenziale, prevista dall’atto aziendale e dal provvedimento di graduazione delle funzioni, costituisce espletamento di mansioni superiori, rilevante ai fini e per gli effetti previsti dall’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, la cui applicazione non è impedita dal mancato espletamento della procedura concorsuale, dall’assenza di un atto formale, e dalla mancanza della previa fissazione degli obiettivi ‘;
che, del resto, la diversità delle “carriere”, non può escludere la applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 quando venga dedotto, come nella specie, l’espletamento di fatto di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario; tale ipotesi può essere invece ricondotta certamente alla previsione del citato quinto comma, relativa al conferimento illegittimo di mansioni superiori, da cui consegue il diritto al corrispondente trattamento economico, secondo la ratio della norma che è quella di assicurare al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (cfr. Cass. n. 350/2018);
che non è stata mai in discussione, o per lo meno, non lo è stata in sede di appello, la sussistenza di una posizione cui riferire il dedotto esercizio delle funzioni dirigenziali
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emergendo, anzi, dallo stesso ricorso che risultava in organico il posto in relazione al quale le pretese era state formulate (ma, nella tesi dell’RAGIONE_SOCIALE, ciò non faceva discendere automaticamente che lo stesso fosse stato ricoperto dal COGNOME);
che inammissibili sono le censure volte a contestare, in punto di fatto, l’accertato svolgimento delle funzioni dirigenziali;
che i motivi suddetti non soddisfano le esigenze di specificità là dove non individuano (al fine di non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura) in quali termini sia stata posta ai giudici di merito la questione (giuridica ma implicante accertamenti in fatto) relativa a voci del trattamento retributivo erroneamente riconosciute risultando, al contrario, che i rilievi dell’appellante si erano solo incentrati sulla già avvenuta corresponsione dell’indennità di posizione e sulla onnicomprensività del trattamento in godimento (pag. 2 della sentenza impugnata) ed essendosi limitate, anche le doglianze relative al ‘ quantum ‘ , a fare riferimento ad avvenuti pagamenti (non dimostrati) per la partecipazione a ‘progetti obiettivi’;
che, di contro, infondato risulta il terzo motivo, dovendo ritenersi alla stregua di quanto sopra detto circa il concentrarsi del thema decidendum sul quantum delle differenze retributive riconosciute, correttamente la Corte territoriale, a fronte della prova documentale fornita dal COGNOME della mancata corresponsione delle voci retributive da detrarsi in aggiunta all’indennità di posizione organizzativa in quanto proprie del trattamento economico del funzionario non dirigente, ha ritenuto l’RAGIONE_SOCIALE odierna RAGIONE_SOCIALE tenuta alla prova del fatto estintivo dedotto;
che parimenti infondato risulta il quarto motivo alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 22799/2017 ma già Cass. n. 17693/2013 e Cass. n. 20227/2010), secondo cui ‘in tema di consulenza tecnica
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d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre di una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto, potendo quest’ultima essere ritenuta superflua anche per implicito’; che il ricorso va, dunque, rigettato;
che, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto tanto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18 aprile