Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29741 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29741 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11595-2023 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 255/2023 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 27/03/2023 R.G.N. 693/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
Mansioni superiori
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/09/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Catania, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado e in parziale accoglimento del ricorso originario, ha dichiarato, ‘previo svolgimento di attività istruttoria’, ‘il diritto di COGNOME NOME NOMENOMENOME amento nel livello QD4 -Quadro Direttivo di IV° livello dall’1.1.2008 secondo le previsioni del CCNL di settore e del Contratto Integrativo Aziendale della Banca Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE.p.ARAGIONE_SOCIALE -per le Aree Professionali e Quadri Direttivi;’ e, quindi, ha condannato la banca al pagamento della somma di € 15.687,64 a titolo di differenze retributive derivanti dal superiore NOMEamento riconosciuto, oltre accessori e spese del doppio grado.
La Corte ha premesso che dalla disciplina contrattuale collettiva applicabile al rapporto emergeva che l’assegnazione del dipendente alla categoria rivendicata risultava definitiva, ove protratta per cinque mesi, in presenza dei presupposti richiesti, rappresentati -per quanto qui ancora rilevi -dalla ‘titolarità di dipendenza da 10 a 13 unità’, risultando irrilevante ‘l’indicazione dei nominativi dei dipendenti ai fini dell’accertamento del requisito’.
La Corte, ‘stante l’esaustività delle allegazioni’, ha ritenuto che il Tribunale avesse ‘errato nel non ordinare l’esibizione dei fogli presenza o nel non ammettere le prove testimoniali, al fine di verificare la consistenza numerica degli addetti alla filiale della RAGIONE_SOCIALE‘; ha considerato ‘ammissibile e rilevante la documentazione prodotta dall’appellante acquisendola ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c.’ e ha assunto prova testimoniale ‘in ordine alla presenza delle unità lavorative presso l’Agenzia 6 di Catania nel periodo dal 2008 al 2012 come documentata nei
fogli presenza prodotti dall’appellante e nei tabulati prodotti dalla banca appellata’.
Dalle risultanze istruttorie la Corte ha tratto il convincimento che ‘il personale addetto all’Agenzia 06 di Catania nel periodo dal 2008 al 2012 non fosse inferiore alle 10 unità, come dimostrato dai fogli presenza, dovendosi ricomprendere nel numero, non solo i soggetti facenti parte dell’organico della filiale e indipendentemente dal fatto che fossero temporaneamente assenti per malattia, maternità, allattamento, ferie, ma anche i dipendenti per così dire all’Agenzia ovvero in carico presso un’altra dalla quale venivano pagati e che risultano tra i nominativi prestampati sui fogli firma’; ha aggiunto: ‘a prescindere dal fatto che la normativa contrattuale non richiede, come sostenuto dall’appellata, che gli all’Agenzia, da considerare al fine dall’accertamento del requisito numerico per il superiore NOMEamento, siano stabilmente in organico, non operando alcuna distinzione, occorre piuttosto considerare che il ruolo di direttore titolare della filiale implica la gestione, il coordinamento e controllo delle unità operative , appunto, alla stessa in un determinato periodo’.
La Corte ha quindi condannato la banca al pagamento delle somme quantificate mediante consulenza tecnica d’ufficio.
Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la soccombente con sette motivi; ha resistito l’intimato con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memorie.
All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:
1.1. il primo motivo denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 3° comma c.p.c. e 437, 2° comma c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’; si critica la Corte territoriale per avere acquisito in grado d’appello i ‘fogli presenza’, nonostante il primo giudice avesse dichiarato la decadenza dell’attore con l’ordinanza istruttoria del 5 dicembre 2014, e se ne contesta l’indispensabilità;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 356 c.p.c. e dell’art. 425 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.’; si critica la Corte d’appello per avere escusso d’ufficio un teste non indicato dalle pa rti e ‘in totale assenza di indicazione specifica dei nominativi delle risorse che il sig. COGNOME avrebbe coordinato, nonché dei giorni e mesi specifici durante i quali avrebbe espletato tale potere’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’; si deduce che la sentenza impugnata avrebbe ‘di fatto posto a carico di Banca MPS l’onere di dare la p rova negativa dell’insussistenza del diritto all’NOMEamento superiore e del conseguente credito ex adverso rivendicato’, costringendo la società a produrre i cedolini paga non depositati dal COGNOME;
1.4. il quarto motivo denuncia: ‘omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti. (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.)’; la Corte avrebbe ignorato le discrasie denunciate dalla banca tra il prospetto riassuntivo p rodotto dal lavoratore e i ‘fogli firma’ depositati;
1.5. il quinto motivo denuncia: ‘falsa applicazione dell’art. 82 del CCNL di settore, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’; si critica la sentenza impugnata per aver interpretato la disciplina collettiva applicabile nel senso che la stessa non richiedesse, ai fini dell’accertamento del requisito numerico per il superiore NOMEamento, che gli ‘addetti’ all’agenzia fossero ‘stabilmente in organico’; in ogni caso si contesta che potessero essere computati i dipendenti assenti a vario titolo ovvero inviati temporaneamente in missione per sostituzione degli assenti;
1.6. il sesto motivo denuncia: ‘falsa applicazione dell’art. 85 del CCNL di settore nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e degli artt. 1362 e 1363 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’; si lamenta che la Corte territoriale non abbia ri tenuto assorbibile la voce retributiva denominata ‘assegno personale’ ai fini della quantificazione delle somme dovute;
1.7. il settimo motivo denuncia: ‘falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’; si deduce che la Corte avrebbe inammissibilmente ampliato l’originario petitum oggetto di causa di ulteriori 3 mesi, in quanto ‘la domanda di cui al ricorso di primo grado del sig. COGNOME era di pagamento di differenze retributive come Quadro Direttivo di 4° livello (QD4) per il periodo dal 1° gennaio 2008 fino al mese di luglio 2012 ‘ mentre la condanna è stata estesa sino al 9 ottobre 2012.
2. Il ricorso non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo motivo, con cui si contesta l’acquisizione in secondo grado dei fogli delle presenze, o ‘fogli firma’, prodotti dalla difesa del lavoratore solo innanzi alla Corte di Appello, è da respingere.
Da un lato va evidenziato che, contrariamente a quanto si assume nella censura, la prova nuova in appello può essere ammessa a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (per tutte Cass. n. 32815 del 2023, su Cass. sez. un. n. 10790 del 2017; in conformità, tra le recenti, Cass. n.16646 del 2025; Cass. n. 16358 del 2024); d’altro canto, ancora una volta va ribadito che nel rito del lavoro occorre contemperare il principio dispositivo con quello dell’accertamento della verità, sicché, ai sensi dell’art. 437, co. 2, c.p.c., il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggetto di preclusione assoluta ed il giudice può ammettere, anche d’ufficio, detti documenti ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione, in quanto idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purché allegati nell’atto introduttivo, seppure implicitamente, e sempre che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado (tra molte, oltre quelle già citate, Cass. n. 22907 del 2024; Cass. n. 11845 del 2018).
Giudizio di idoneità ad eliminare incertezze sui fatti costitutivi della pretesa plausibilmente compiuto dai giudici d’appello, con apprezzamento complessivo che involge valutazioni di merito, tanto più che il primo giudice non aveva affatto ricostruito la vicenda storica ma aveva negato ingresso ad ogni istruttoria giudicando insufficienti le allegazioni attoree.
2.2. Analogamente deve essere respinto il secondo motivo di ricorso, concernente l’escussione d’ufficio in appello di testimone non originariamente indicato dalle parti.
Il potere d’ufficio del giudice del lavoro può essere esercitato, fatta eccezione del giuramento decisorio, avuto riguardo ‘ad ogni mezzo di prova’ e la precisazione secondo cui può farlo anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile (cfr. art. 421, comma 2, c.p.c.) conferma che non è escluso che possa ammettere anche una prova testimoniale d’ufficio, purché ‘dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall’assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che sussistano significative ‘piste probatorie’ emergenti dagli atti di causa’ (v. Cass. n. 9034 del 2000, la quale precisa anche che l’art. 421 c.p.c. ‘d ispensa la parte dall’onere della formale richiesta della prova e dagli oneri relativi alle modalità di formulazione dell’oggetto della prova’; conf. Cass. n. 381 del 2002).
Quanto al grado di specificità dei capitoli di prova formulati col ricorso introduttivo e su cui sono stati escussi i testimoni, pure contestato da chi ricorre, è appena il caso di rammentare che ‘la specificazione dei fatti oggetto di richiesta di prova testimoniale è soddisfatta quando, sebbene non definiti in tutti i loro minuti dettagli, essi vengono esposti nei loro elementi essenziali per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e all’altra parte di chiedere prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli di prova va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa e a tutte le deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà del giudice di domandare ex art. 253, comma 1, c.p.c. chiarimenti e precisazioni ai testi’ (così Cass. n. 22254 del 2021).
2.3. Il terzo mezzo è inammissibile in quanto denuncia impropriamente la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.
Come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre).
La violazione, poi, dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 26769 del 2018), mentre alcuna inversione dell’onere probatorio ha operato nella specie la Corte anche considerando che la produzione dei cedolini paga contribuisce a provare l’adempimento dell’obbligazione datoriale di
pagamento della retribuzione, il cui onere probatorio non grava certo sul lavoratore.
2.4. Parimenti inammissibile il quarto motivo perché evoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. al di fuori dai limiti posti dalle Sezioni unite con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, in particolare criticando gli esiti di una valutazione probatoria in ordine ai documenti acquisiti, non enucleando un fatto storico antecedente all’instaurazione della controversia, trascurato dalla Corte distrettuale, avente carattere decisivo, nel senso che se fosse stato esaminato avrebbe condotto ad un esito diverso della lite con prognosi di certezza e non di mera probabilità.
2.5. Il quinto motivo è infondato.
Il Collegio, infatti, conviene con l’interpretazione della disciplina collettiva – nazionale e integrativa aziendale – fornita dai giudici d’appello, atteso che la stessa non contiene né elementi testuali inequivoci né tanto meno sistematici tali da far desumere che, ai fini del presupposto del requisito numerico della dipendenza per conseguire l’NOMEamento rivendicato, occorra valutare esclusivamente i ‘dipendenti stabilmente in organico’ o il legame funzionale col ‘centro di costo’ ovvero l’assegnazion e ‘in missione’ da altra dipendenza, essendo esclusivamente richiesto che i lavoratori siano ‘addetti’ all’unità.
Ogni altra doglianza concernente le presenze fisiche nel lasso temporale controverso involge accertamenti di fatto -come confermato dal riferimento a prove testimoniali nell’illustrazione del motivo -che sono riservati al giudice del merito.
2.6. Il sesto motivo è da respingere.
Esplicitamente la sentenza impugnata, alla pag. 5, parte dal principio corretto in diritto secondo il quale ‘l’eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari è normalmente soggetto
al principio generale dell’assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva’ e, altrettanto correttamente, si rammenta che viene fatto salvo ‘il diverso accordo delle parti’.
Invero, per costante orientamento il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l’assorbimento (Cass. n. 20617 del 2018; Cass. n. 19750 del 2008; Cass. n. 12788 del 2004; Cass. n. 8498 del 1999).
Tuttavia, come di recente ribadito, l’indagine probatoria sulla sussistenza di dette pattuizioni e quella ermeneutica sulla loro effettiva portata derogatoria alla regola generale dell’assorbimento sono riservate al giudice del merito (in termini, Cass. n. 11773 del 2025, con la giurisprudenza ivi richiamata).
‘Diverso accordo delle parti’ che, nella fattispecie concreta, è stato espressamente ravvisato dai giudici del merito con un accertamento della volontà negoziale che è sottratto al controllo di mera legittimità sollecitato da un motivo formulato per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.
2.7. Il settimo motivo, con cui si lamenta l’ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale per la condanna alle
differenze retributive nel periodo intercorrente tra luglio 2012 e il 9 ottobre 2012, è inammissibile.
Onde consentire a questa Corte, in limine litis , di valutare la denunciata violazione del canone che impone la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c., la società avrebbe dovuto riportare nell’illustrazione del motivo in esame, in ossequio al criterio di specificità del mezzo di gravame, i contenuti dell’atto introduttivo, il quale deve essere interpretato nel suo complesso dal giudice adito, non essendo sufficiente per individuare i confini della domanda fare riferimento alle sole conclusioni; tanto più che nella sentenza impugnata la Corte siciliana ha ribadito esplicitamente ‘il tenore del mandato’ conferito al CTU ‘fino alla proposizione del ricorso in conformità alla domanda originaria e alle previsioni dell’art. 112 c.p.c.’, c osì fornendo una interpretazione dell’atto introduttivo che è competenza del giudice del merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 18 del 2015; Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005).
Pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
La Corte rigetta il ricorso e condanna la soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 10 settembre 2025.
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME