Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9668 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9668 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19134/2020 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOMEricorrente- contro
ASL SALERNO, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D ‘ APPELLO SALERNO n. 36/2020 pubblicata il 17/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d ‘ appello di Salerno, con la sentenza n. 36/2020 pubblicata il 17/03/2020, ha accolto il gravame proposto dalla ASL di Salerno nella controversia con NOME COGNOME ed in riforma della sentenza n. 1420/2014 del Tribunale di Nocera Inferiore ha rigettato le domande originariamente proposte dalla COGNOME.
La controversia ha per oggetto le differenze retributive maturate nel periodo dal 01/01/2002 al 30/09/2007 per lo svolgimento di mansioni dirigenziali di avvocato – corrispondenti alla qualifica dirigenziale prevista dall ‘ art. 1 comma 2 del CCNL dell ‘ area della dirigenza sanitaria del 05/12/1996 – rispetto alla categoria D di inquadramento con qualifica di collaboratore amministrativo.
Il Tribunale di Nocera inferiore, accoglieva solo in parte la domanda della COGNOME, ritenendo provato lo svolgimento delle mansioni dirigenziali e fondata l ‘ eccezione di prescrizione sollevata dalla ASL con riferimento al quinquennio antecedente al 06/12/2006.
La Corte d ‘ appello di Salerno, con la sentenza n. 870/2016 pubblicata il 09/11/2016, accoglieva il gravame proposto dalla ASL e rigettava le domande originariamente proposte dalla Russo.
Questa Corte, con ordinanza 28/11/2018 n. 30811, cassava la sentenza della Corte territoriale, con rinvio alla medesima Corte in diversa composizione ed enunciazione del principio di diritto ex art. 384 comma primo cod. proc. civ. nei termini che seguono: «nell ‘ ambito della dirigenza sanitaria del ruolo professionale le aziende sanitarie possono istituire posizioni dirigenziali che, senza attribuzione di responsabilità della struttura, semplice o complessa, comportano l ‘ assegnazione di incarichi di tipo esclusivamente professionale, caratterizzati dall ‘ affidamento di compiti con precisi
ambiti di autonomia tecnica-professionale, da esercitare nel rispetto degli indirizzi dati dal dirigente responsabile della struttura, nonché dalla collaborazione con quest ‘ ultimo e dall ‘ assunzione di corresponsabilità quanto alla gestione dell ‘ attività professionale. L ‘ assegnazione di fatto del funzionario non dirigente ad una posizione dirigenziale, prevista dall ‘ atto aziendale e dal provvedimento di graduazione delle funzioni, costituisce espletamento di mansioni superiori, rilevante ai fini e per gli effetti previsti dall ‘ art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, la cui applicazione non è impedita dal mancato espletamento della procedura concorsuale, dall ‘ assenza di un atto formale e dalla mancanza della previa fissazione degli obiettivi, che assume rilievo, eventualmente, per escludere il diritto a percepire anche la retribuzione di risultato».
All ‘ esito del giudizio di rinvio la Corte territoriale ha accolto il gravame proposto dalla ASL di Salerno ed ha rigettato le originarie domande proposte dalla COGNOME.
Per la cassazione della sentenza ricorre la COGNOME con ricorso affidato a tre motivi. La ASL resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell ‘ art. 394 commi primo e secondo cod. proc. civ., la violazione dell ‘ art. 45 del d.lgs. n. 29/1993 e la violazione dell ‘ art. 113 cod. proc. civ., con riferimento all ‘ art. 360 comma primo n. 4 cod. proc. civ.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del CCNL comparto sanità integrativo del 07/04/1999, la violazione del r.d.l. n.1578/1933 e della legge n. 247/2012, la violazione del CCNL dirigenza sanitaria del 05/12/1996 e del CCNL del 08/06/2000, la violazione degli artt. 36 Cost. e 2126 cod. civ., la violazione dell ‘ art. 113 cod. proc. civ., con riferimento all ‘ art.360 comma primo nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell ‘ art. 116 cod. proc. civ., con riferimento all ‘ art.360 comma primo nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Il primo motivo è inammissibile.
La ricorrente deduce che la corte territoriale avrebbe violato il principio di diritto formulato da questa Corte.
Giova rilevare che la ricorrente non ha raffrontato il principio di diritto di Cass. 30811/2018 cit. con la motivazione della sentenza in questa sede impugnata, raffronto che appare indispensabile al fine di poter apprezzare la sussistenza dell ‘ error in procedendo lamentato.
Nel motivo di ricorso si sostiene che la Corte territoriale nelle pagine 9 e 10 della motivazione, laddove si «dilunga» sulla «improbabile gemmazione» delle figure del funzionario dirigente e del funzionario amministrativo, si sarebbe rifugiata, «ancora una volta nei gangli di un ultroneo formalismo del regolamento aziendale di cui alla delibera n. 46/1995».
Anche in questa sua parte il motivo difetta di specificità, perché la ricorrente non spiega per quale motivo le considerazioni svolte con riferimento alla organizzazione data dalla azienda all ‘ ufficio legale sarebbero in contrasto con il principio di diritto formulato da questa Corte di legittimità; e ciò anche alla luce del fatto che la Corte territoriale ha proceduto a tale ricostruzione «come suggerito dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio», e dunque in conformità del principio di diritto.
In tale ottica, la Corte territoriale è partita dalla disamina normativa dell ‘ art. 27 del CCNL della Dirigenza Sanitaria Professionale, Tecnica ed Amministrativa, distinguendo le quattro tipologie di incarico conferibili, per poi analizzare la relativa qualifica di appartenenza, ovvero quella del profilo di collaboratore amministrativo professionale, esaminando le diverse attribuzioni della categoria D e D Super (v. anche infra ). Quindi è passata alla
verifica della organizzazione aziendale dell ‘ Ufficio legale, partendo, in primo luogo dalla disamina dell ‘ Atto Aziendale emanato con deliberazione del 21.05.2007 e della relazione del Direttore Servizio Affari Legali, avv. COGNOME, dell ‘ 11.09.2006. Ha poi correttamente distinto la figura del ‘Funzionario Dirigente’ da quella del ‘Funzionario dell’Ufficio abilitato al patrocinio’, per conclusivamente ricondurre l ‘ attività svolta dalla ricorrente dal 1995 al 2007 proprio alle funzioni attribuite a quest ‘ ultima figura professionale.
Il compito devoluto è stato, quindi, pienamente assolto.
Il secondo motivo è infondato.
La ricorrente deduce che dall ‘ istruttoria compiuta risulterebbe con univocità lo svolgimento delle attività tipiche dell ‘ avvocato dirigente, con la stessa autonomia e responsabilità del dirigente dell ‘ ufficio; sostiene che l ‘ esercizio di mansioni proprie della professione forense travalica di per sé i limiti della struttura dell ‘ ufficio legale, avendo rilevanza esterna.
Sul punto la Corte territoriale, nel fare applicazione del principio di diritto di Cass. 30811/2018 cit., ha correttamente ritenuto che il carattere della qualifica dirigenziale professionale non sanitaria «non è segnato dalla conduzione di una struttura (…) ma dall ‘ affidamento di compiti con precisi ambiti di autonomia tecnica professionale (…) nonché dall’ assunzione di corresponsabilità nella gestione dell ‘ attività professionale». Sulla base di questa premessa in diritto, la Corte di merito ha ritenuto che dalla documentazione prodotta e dalle prove testimoniali espletate non risultasse alcuno di tali elementi necessari e sufficienti per la sussunzione nelle mansioni dirigenziali non sanitarie.
Per un verso il motivo di ricorso si sostanzia nella diversa valutazione del compendio istruttorio, riservato al prudente apprezzamento del giudice di merito e non sindacabile in questa sede se non negli specifici casi di violazioni di legge (a.e.: quelle in
materia di prove legali) che non sono stati dedotti nel motivo di ricorso.
Per altro verso non può ritenersi che lo svolgimento delle mansioni proprie della qualifica di avvocato comporterebbe, di per sé, la collocazione dell ‘ avvocato dipendente in posizione di staff , e non di line , rispetto al responsabile dell ‘ ufficio ed al vertice datoriale.
La declaratoria della categoria D fatta dal CCNL del comparto sanità 1998/2001 prevede che appartengono ad essa: «i lavoratori che, ricoprono posizioni di lavoro che richiedono, oltre a conoscenze teoriche specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa nell ‘ ambito di strutture operative semplici previste dal modello organizzativo aziendale».
Il titolo professionale conseguito (avvocato), e lo svolgimento di mansioni specialistiche tipiche del titolo, sono elementi espressamente valutati al fine della appartenenza alla categoria D, ed in quanto tali non possono di per sé attribuire alcun diritto all ‘ inquadramento nelle mansioni dirigenziali; inquadramento che richiede un quid pluris rispetto al mero svolgimento delle prestazioni tipiche dell ‘ avvocato, ossia il livello di autonomia e la assunzione di corresponsabilità ritenute insussistenti dalla corte territoriale, con accertamento in fatto insindacabile nel giudizio di legittimità.
Il terzo motivo è inammissibile, perché si sostanza nella diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiute dalla Corte territoriale, anche sotto il profilo della carenza e contraddittorietà della motivazione e si intende dare continuità al costante orientamento di questa corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza
assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476).
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato.
La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 04/04/2025.