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Mansioni dirigenziali: non basta il titolo di avvocato

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un’avvocata dipendente di un’azienda sanitaria che chiedeva il riconoscimento di mansioni dirigenziali e le relative differenze retributive. La Corte ha stabilito che per ottenere tale qualifica non è sufficiente svolgere compiti professionali complessi tipici della professione legale, ma è necessario provare un quid pluris, ovvero un elevato grado di autonomia e l’assunzione di una concreta corresponsabilità gestionale, elementi che nel caso di specie non sono stati dimostrati.

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Mansioni Dirigenziali: Quando il Ruolo di Avvocato non Basta

Nel mondo del pubblico impiego, il riconoscimento di mansioni dirigenziali superiori rappresenta una questione cruciale, con importanti risvolti economici e professionali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 9668/2025) torna sul tema, chiarendo che per un avvocato dipendente di un ente pubblico non è sufficiente svolgere attività forense per rivendicare automaticamente una qualifica dirigenziale. È necessario dimostrare un quid pluris: un grado di autonomia e responsabilità gestionale che vada oltre la mera competenza professionale.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di un’avvocata, dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale, volta a ottenere il pagamento delle differenze retributive maturate per aver svolto, a suo dire, mansioni corrispondenti a una qualifica dirigenziale tra il 2002 e il 2007, pur essendo inquadrata in una categoria inferiore.

Il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto la sua domanda, ma la Corte d’Appello, in un primo momento, aveva ribaltato la decisione. La vicenda era già approdata una prima volta in Cassazione, la quale aveva annullato la sentenza d’appello, rinviando il caso alla stessa Corte territoriale e dettando un preciso principio di diritto. Nel successivo giudizio di rinvio, la Corte d’Appello ha nuovamente respinto le richieste della professionista, portando quest’ultima a ricorrere per la seconda volta in Cassazione.

L’Applicazione del Principio sulle Mansioni Dirigenziali

Il nodo centrale della controversia risiede nel principio di diritto stabilito dalla Cassazione nel primo giudizio. La Corte aveva affermato che l’assegnazione di fatto di un funzionario non dirigente a una posizione dirigenziale, prevista dall’organizzazione interna dell’ente, costituisce svolgimento di mansioni superiori e dà diritto alla relativa retribuzione, anche in assenza di un concorso o di un atto formale di nomina.

Tuttavia, nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello è stata chiamata a verificare se, in concreto, le attività svolte dalla ricorrente integrassero effettivamente le caratteristiche di una posizione dirigenziale. Analizzando l’organizzazione dell’ufficio legale dell’azienda sanitaria e le prove raccolte, la Corte territoriale ha concluso che le funzioni svolte dalla legale, sebbene qualificate e professionali, non raggiungevano quel livello di autonomia e corresponsabilità gestionale tipico delle mansioni dirigenziali.

La Decisione Finale della Cassazione

Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha rigettato definitivamente il ricorso dell’avvocata, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ritenuto che i motivi del ricorso si traducessero, in sostanza, in una richiesta di rivalutazione delle prove e dei fatti, un’attività preclusa in sede di Cassazione.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che il carattere della qualifica dirigenziale non sanitaria non deriva dalla semplice conduzione di un’attività professionale complessa, ma dall'”affidamento di compiti con precisi ambiti di autonomia tecnica professionale (…) nonché dall’assunzione di corresponsabilità nella gestione dell’attività professionale”. L’inquadramento come avvocato e lo svolgimento delle relative mansioni specialistiche, sebbene valutati per l’appartenenza a una categoria elevata (la D), non attribuiscono di per sé il diritto a una qualifica dirigenziale. Occorre un quid pluris, un livello superiore di autonomia e responsabilità, che la Corte di merito ha ritenuto, con un accertamento di fatto non sindacabile in Cassazione, insussistente nel caso specifico. In altre parole, non è bastato dimostrare di essere un avvocato e di agire come tale; era necessario provare di avere un ruolo di gestione e responsabilità all’interno della struttura.

Conclusioni

La sentenza offre un importante monito per tutti i professionisti impiegati nel settore pubblico. Il riconoscimento di mansioni dirigenziali non è un automatismo legato al titolo professionale o alla complessità dei compiti svolti. È indispensabile fornire la prova concreta di aver esercitato funzioni che implicano un’effettiva autonomia gestionale e una responsabilità diretta nella conduzione di una struttura o di un servizio. La decisione ribadisce la netta distinzione tra l’eccellenza professionale e la funzione dirigenziale, sottolineando come quest’ultima richieda requisiti specifici che devono essere rigorosamente accertati in giudizio.

Svolgere la professione di avvocato per un ente pubblico dà automaticamente diritto alla qualifica dirigenziale?
No. Secondo la Corte, il titolo professionale di avvocato e lo svolgimento delle mansioni tipiche non sono di per sé sufficienti per attribuire il diritto all’inquadramento dirigenziale. È necessario un ‘quid pluris’.

Cosa deve dimostrare un dipendente pubblico per ottenere il riconoscimento di mansioni dirigenziali superiori?
Deve dimostrare di aver svolto compiti caratterizzati da precisi ambiti di autonomia tecnica-professionale e, soprattutto, di aver assunto una corresponsabilità nella gestione dell’attività, elementi che vanno oltre la mera prestazione lavorativa specialistica.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di una causa?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme di legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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