Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8166 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8166 Anno 2025
Presidente: VINCENTI NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4882/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
NOMECOGNOME domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della INDIRIZZO di
COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1367/2021, depositata il 24/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- NOME COGNOME, allevatore di bovini, si è recato presso la sede di Confagricoltura di Caccamo, di cui era responsabile la signora NOME COGNOME per farsi assistere nella domanda di ‘premio’ alla produzione, ossia di un contributo comunitario riconosciuto agli allevatori di bovini.
La domanda è stata dunque compilata in quella sede e trasmessa alla Confagricoltura regionale di Palermo che l’ha inoltrata al destinatario.
2.- Se non che la domanda è stata ritenuta incompleta dall’ente pagatore (Agea) che ha decurtato quanto spettante al COGNOME. In particolare, egli aveva fatto domanda per avere il premio sia quanto ai bovini maschi che alle vacche fattrici, ma aveva documentato il possesso solo dei primi e non delle seconde. E dunque per queste ultime il premio era stato negato.
3.COGNOME ha ritenuto di avere dato mandato a Confagricoltura perché controllasse altresì la regolarità della domanda, e, sul presupposto dunque che l’associazione non avesse adempiuto, ha citato in giudizio sia la Confagricoltura che l’Unione Provinciale Agricoltori, chiedendo la condanna di entrambi al risarcimento del danno subito e consistente nella perdita di parte del premio che gli spettava.
4.- Davanti al Tribunale di Termini Imerese si sono costituti sia la Confagricoltura che l’Unione Provinciale RAGIONE_SOCIALE, che, oltre a contestare la domanda nel merito, hanno chiesto ed ottenuto la chiamata in causa di NOME COGNOME ossia la persona cui si era direttamente rivolto il COGNOME per farsi assistere nella domanda diretta ad avere il beneficio economico.
La COGNOME si è costituita ed ha eccepito di avere fatto solo da passacarte, ossia di avere inserito i dati dichiarati dal COGNOME in un dischetto e di avere inviato tutto alla sede regionale, e dunque ha concluso che non era obbligata ad effettuare alcun controllo sulla regolarità e veridicità dei dati.
5.- Il Tribunale di Termini Imerese, dopo istruzione della causa, sia mediante assunzione di testimonianze che mediante consulenza tecnica, ha rigettato la domanda, sul presupposto che non era dimostrato che la Confagricoltura avesse assunto l’obbligo di controllare la veridicità dei dati forniti.
6.- Nelle more è deceduta la COGNOME ed il procedimento è stato riassunto nei confronti degli eredi. La decisione di primo grado è stata però riformata dalla Corte di Appello di Palermo, che invece ha escluso la responsabilità della COGNOME, sul presupposto che costei aveva fatto solo da tramite, e che il mandato era stato invece rilasciato alla Confagricoltura, mentre ha ritenuto quest’ultima responsabile del danno subito dall’allevatore per non avere predisposto adeguatamente la domanda nell’interesse di costui.
7.- La decisione della Corte di Appello è oggetto di ricorso per Cassazione da parte di Confagricoltura e Unione Provinciale Agricoltori con tre motivi di ricorso, di cui chiedono il rigetto sia il COGNOME che si è costituito con controricorso e memoria, sia gli eredi della COGNOME, anche essi costituiti con controricorso.
Ragioni della decisione
1.- Il COGNOME, nel controricorso e poi nella successiva memoria, eccepisce l’inammissibilità della impugnazione in quanto sostiene che i ricorrenti non sono legittimati ad agire in giudizio.
Ciò in quanto, da visure camerali e da vicende successive, risulterebbe legittimata RAGIONE_SOCIALE, società di servizi in cui sarebbero confluite sia Confagricoltura che l’Unione Provinciale Agricoltori: il rappresentante legale di Gesea è diverso da quello che ha dato invece mandato.
Questa eccezione però è infondata.
Infatti, la sentenza è resa contro RAGIONE_SOCIALE e Unione RAGIONE_SOCIALE, che sono i due soggetti che di conseguenza la impugnano.
La sentenza va impugnata dalla parte nei cui confronti è resa. Appartiene al merito la questione se la parte sia poi quella obbligata nel rapporto sostanziale o meno. Del resto, il controricorrente non eccepisce mutamenti successivi nella soggettività dei due ricorrenti, ossia mutamenti che, intervenuti dopo la sentenza di appello, rendono legittimati ad impugnarla i successori. Il mutamento soggettivo, da Confagricoltura a Gesea, sarebbe anteriore alla decisione di appello, con la conseguenza che andava fatta valere in quella sede la questione della legittimazione passiva.
Nel merito.
2.- Il primo motivo prospetta violazione degli articoli 116 e 116 cpc, nonché dell’art. 1703 c.c.
Le censure sono in sostanza due.
La prima è che, tramite la sede locale, le ricorrenti hanno adempiuto alla delega data loro dall’allevatore. Hanno cioè inserito i dati da costui forniti alla volontaria (la COGNOME, infatti, faceva questa attività senza rapporto di impiego) e tale era il
loro compito. Dalla istruttoria era chiaramente emerso che il sistema era a quei tempi cartaceo, ossia non vi era un sistema telematico nel quale inserire i dati, e che pertanto la documentazione fornita dall’allevatore era stata memorizzata in un floppy disk ed inviata alla sede regionale, che poi aveva provveduto a sua volta ad inoltrarla all’ente erogatore.
Con la conseguenza che altro non si poteva fare che attenersi alla documentazione fornita dall’allevatore stesso.
In secondo luogo, le ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che tra loro e l’allevatore è intercorso un contratto di mandato, e non una semplice delegazione: nel senso che, secondo le ricorrenti, in base all’accordo esse avrebbero dovuto limitarsi ad assistere l’allevatore nella compilazione della domanda, ma senza assumere l’obbligo di verificarne la correttezza e la corrispondenza dei relativi dati alla realtà dei fatti.
3.- Questo motivo è correlato al terzo, il quale prospetta insufficiente motivazione e violazione degli articoli 106, 112 e 116 c.p.c.
La correlazione con il motivo precedente è dovuta al fatto che le due associazioni ricorrenti si dolgono del fatto di essere state ritenute le uniche responsabili, in quanto la Corte di Appello ha escluso una qualche responsabilità della COGNOME, che, come si ricorderà, ha ricevuto i dati e compilato materialmente la domanda.
Le due ricorrenti la hanno chiamata in giudizio proprio perché ritenevano che la responsabilità fosse semmai di costei, in ragione, come si è detto, della circostanza che era stata lei a compilare la domanda poi ritenuta incompleta.
Come si è ricordato, i giudici di appello hanno invece accertato che il contratto di mandato era intercorso proprio con le ricorrenti e non già con la COGNOME che aveva fatto da tramite.
Dunque, questo terzo motivo è legato al primo in quanto la questione posta è la seguente: se innanzitutto l’allevatore abbia conferito mandato per la gestione del suo affare, e dunque abbia incaricato non solo di trasmettere la domanda, ma altresì di curarla perché andasse a buon fine, verificandone la completezza, o se invece avesse solo delegato a trasmettere quella domanda senza che il delegatario assumesse alcun obbligo di verifica dei dati: ove si accertasse la conclusione di un mandato, allora occorrerebbe stabilire chi ne fosse parte, chi fosse cioè il mandatario obbligatosi alla cura della domanda, se la Confagricoltura o se la COGNOME.
I due motivi possono dunque trattarsi insieme e sono infondati.
La Corte di Appello, con un accertamento che qui non è contestato- vedremo perché-, ha ritenuto di interpretare la scrittura intercorsa tra l’allevatore e la Confagricoltura come un vero e proprio mandato, con assunzione da parte del mandatario dell’obbligo di controllare la correttezza della domanda di ‘premio’.
Ciò ha fatto sulla base del documento, versato in atti, con cui l’allevatore ha delegato la Confagricoltura a compilare la domanda e ‘correggere le eventuali anomalie presenti’ nonché ‘correggere le disfunzioni e problemi inerenti la mancata riscossione degli importi’.
Ha dunque ritenuto la Corte di Appello che questo accordo comprendesse altresì l’obbligo non solo di inoltrare la domanda, ma di controllarne la correttezza.
Questo accertamento è innanzitutto un accertamento in fatto, poiché attiene alla ricostruzione della volontà delle parti, ossia mira a stabilire cosa le parti hanno voluto.
Questa Corte distingue tra l’interpretazione della volontà delle parti, che si risolve in un accertamento in fatto non
censurabile in sede di legittimità, se non per difetto di motivazione, e la qualificazione di quella volontà ossia la riconduzione di essa ad una fattispecie, che è invece operazione giuridica censurabile in cassazione (Cass. 3115/ 2021; Cass. 20634/2018).
E’ dunque accertamento in fatto quello volto a stabilire cosa abbiano voluto le parti con quel loro accordo: se limitarsi a delegare l’inoltro della domanda di finanziamento o se invece far carico ad una di esse dell’obbligo di controllo della correttezza formale di quella domanda.
Ma, anche ad ammettere che la ricostruzione di tale volontà sia accertamento censurabile in cassazione, le due ricorrenti non adducono alcuna ragione per censurare la violazione di criteri ermeneutici: non dicono cioè in base a quale criterio ermeneutico andasse escluso che si era trattato di un mandato con assunzione di obblighi, e dunque quale errato criterio ermeneutico ha utilizzato la corte di merito per giungere invece alla opposta conclusione.
A ben vedere esse contrappongono semplicemente la loro ricostruzione a quella della decisione impugnata.
Medesime conclusioni possono assumersi quanto all’individuazione dei soggetti vincolati dall’accordo: la Corte di Appello ha accertato che il mandato è stato conferito dall’allevatore alla Confagricoltura, che ha assunto gli obblighi pattuiti con la scrittura privata.
Anche su questo aspetto, a fronte del fatto che l’atto indica come parti, da un lato, il COGNOME e, dall’altro, ‘Confagricoltura e le sue strutture tecniche ed operative nazionali e territoriali’, dato che ha fatto intendere alla corte di merito che ad essere mandataria era, per l’appunto, la Confagricoltura; a fronte del fatto che l’atto è sottoscritto, da un lato, da COGNOME e, dall’altro, da tale NOME COGNOME in
nome della RAGIONE_SOCIALE, e non già dalla COGNOME; a fronte di ciò, non è addotto dalle ricorrenti alcun argomento per smentire sul piano della violazione dei criteri ermeneutici un simile dato: viene solo opposto che i dati sono stati raccolti dalla Galbo e che questo dato di fatto avrebbe dovuto indurre ad individuare in quest’ultima la mandataria obbligata al controllo.
Poiché le parti di un accordo sono di norma coloro che lo sottoscrivono, ossia coloro che sottoscrivono le dichiarazioni di volontà in esse contenute, per poter dire che invece ad assumere la qualità di parte, e dunque ad essere tenuta al rispetto dell’atto, è un diverso soggetto occorre indicare in base a quali criteri ciò si possa dire, e in base a quali erronei criteri invece non lo si è detto.
4.-Il secondo motivo prospetta violazione del regolamento CEE 1254/99 e di alcuni decreti ministeriali, oltre che difetto di motivazione.
In realtà, la censura postula che la consulenza tecnica, la quale ha stimato il danno subito dall’allevatore, per via del mancato accoglimento della sua domanda di sussidio economico, è caduta in contraddizione, ha effettuato quella stima erroneamente. Con la conseguenza che parimenti erronea deve dirsi la decisione impugnata che su quella CTU ha fatto affidamento.
In particolare, si denuncia l’erroneo calcolo dei capi ammessi al contributo comunitario, considerata dai giudici superiore a quella accertata dall’istituto Zooprofilattico, l’erroneo accertamento del tempo di detenzione delle vacche nutrici, e via dicendo: tutti elementi, che hanno, si, inciso sulla stima del danno, ma che sono stati oggetto di CTU, e la cui erroneità ben poteva e doveva essere fatta oggetto di rilievi al CTU, nei termini processuali previsti. Tra l’altro, le ricorrenti non
dimostrano di avere sollevato per tempo le contestazioni alla CTU, fatte ora qui, e attraverso le quali si formulano poi le censure alla decisione impugnata.
Riportano, si, che era stato il CTP a fare censure, ma non allegano che i rilievi del CTP si erano tradotti in esplicite contestazioni al giudice affinché ne tenesse conto.
Dunque, con tale motivo si propone un diverso accertamento dei presupposti di fatto su cui è stata poi effettuata la stima del danno, e dunque il motivo è inammissibile.
Lo è comunque, a prescindere dalla tempestività delle contestazioni mosse al CTU, poiché esso è pur sempre rivolto verso un accertamento in fatto. Non si contesta al giudice di appello di non avere tenuto conto dei rilievi di parte mossi alla ctu, ma si contesta proprio l’accertamento in fatto operato dal consulente.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese di lite nella misura di 4.200,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/02/2025.