Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3377 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3377 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31736/2019 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE AGRIGENTO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 749/2019 depositata il 03/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.l’ingegnere NOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Palermo ha affermato che esso ricorrente non poteva avanzare pretese nei confronti della Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento in relazione all’espletamento di un incarico di progettazione per la ristrutturazione e l’adeguamento del presidio ospedaliero ‘San Giovanni d’Altopasso’ di Licata, in quanto, in base all’art. 2 del disciplinare di conferimento di incarico sottoscritto con l’Azienda dal ricorrente e, unitamente a lui, dagli ingegneri NOME COGNOME e NOME COGNOME il solo soggetto legittimato ad avanzare pretese verso l’Azienda era quest’ultimo, nominato mandatario e rappresentante esclusivo dei professionisti in tutti i rapporti con l’Amministrazione. La Corte di Appello ha aggiunto che il disciplinare definiva una forma di raggruppamento temporaneo di professionisti e che, ai sensi della l. 11 febbraio 1994, n. 109, applicabile non solo ai raggruppamenti temporanei di imprese ma anche ai raggruppamenti creati da professionisti per attività di progettazione, il soggetto mandatario (nel caso il COGNOME) aveva la rappresentanza, anche processuale, nei confronti della appaltante, cosicché i mandanti (nella specie il COGNOME) non potevano far valere in proprio i crediti discendenti dall’esecuzione dell’appalto. La Corte di Appello ha infine osservato che, ‘anche ipotizzando’ che il disciplinare non avesse stabilito, conformemente alla disciplina della l.109/1994, che il solo mandatario avrebbe potuto avanzare pretese nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, la pretesa avanzata dal Marchica del corrispettivo per la parte della progettazione da lui svolta non avrebbe potuto essere accolta dato
che nel disciplinare l’attività dei tre professionisti era definita unitariamente e non vi era alcuna indicazione né alcun documento che consentisse di ‘individuare la quota delle prestazioni’ affidate specificamente al Marchica e la quota corrispondente del compenso;
l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento resiste con controricorso;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3. c.p.c., violazione degli articoli da 1362 a 1371 c.c. e dell’art. 17 della l.109/1994. Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe erroneamente sussunto la posizione del ricorrente e degli altri due professionisti nella figura del raggruppamento temporaneo di professionisti e quindi applicato la normativa di cui alla legge 109/1994 e, in base a questa legge, ritenuto che il mandatario RAGIONE_SOCIALE avesse la rappresentanza processuale degli altri professionisti, laddove invece nessuna previsione del disciplinare stabiliva il raggruppamento dei tre professionisti;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello affermato che la pretesa originaria del COGNOME non avrebbe potuto essere accolta, anche ad ipotizzarne la proponibilità da parte sua, dato che nel disciplinare l’attività dei tre professionisti era definita unitariamente e non vi era alcuna indicazione né alcun documento che consentisse di ‘individuare la quota delle prestazioni’ affidate specificamente al medesimo COGNOME Sostiene il ricorrente che con tale affermazione la Corte di Appello avrebbe superato il limite del disputatum in quanto l’Azienda Sanitaria aveva eccepito il difetto di legittimazione di esso ricorrente ma non aveva mai contestato la determinazione del credito – in 22.092,72 euro – effettuata da esso ricorrente con l’originaria domanda;
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. per avere la Corte di Appello affermato che non vi era possibilità di individuare ‘la quota delle prestazioni e quindi dei crediti che nell’ambito del raggruppamento temporaneo erano stati assegnati all’uno o all’altro professionista’ e che ‘non vi è documentazione che illustri la ripartizione dell’attività tra professionisti’, laddove avrebbe dovuto assumere come dato certo, perché mai contestato dall’Azienda Sanitaria, che il credito ammontasse alla somma indicata nell’atto introduttivo;
4. con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. da 1362 a 1371 c.c. e degli artt. 1292 e 1298 c.c. Si sostiene che, in base al disciplinare, l’Azienda Sanitaria avrebbe dovuto corrispondere ai professionisti ‘un unico onorario’ e che pertanto, sussistendo tra i professionisti una solidarietà dal lato attivo del rapporto obbligatorio con l’Azienda, il ricorrente avrebbe dovuto essere ritenuto legittimato a pretendere anche l’onorario complessivo e quindi, a maggior ragione, una parte di tale onorario;
5. con il quinto motivo di ricorso -che per evidente errore materiale è indicato come sesto motivo- si lamenta la violazione degli artt. da 1362 a 1371 c.c. e dell’artt. 1315 c.c. Si sostiene che, anche ove fosse da ritenersi la natura non solidale ma ‘parziaria del diritto, è evidente che dovrebbe consentirsi la possibilità per il creditore parziario di esercitare il proprio diritto. In questo caso, in assenza di un patto tra creditori parziari, dovrebbe pervenirsi ad una interpretazione del contratto che non lo privasse di una causa negoziale meritevole di tutela’ con la conseguenza che dovrebbe comunque consentirsi a ciascuno dei creditori la facoltà di pretendere la propria quota del credito;
6. il sesto motivo di ricorso è rubricato ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.’. Sotto questa rubrica non viene
dedotta una ragione di illegittimità della sentenza impugnata ma viene prospettata la conseguenza che dovrebbe essere tratta, in punto di spese, dall’accoglimento di uno o più dei cinque motivi di ricorso (‘ In relazione alle spese di giudizio deve rilevarsi, alla luce della erroneità della sentenza impugnata, la violazione dell’articolo richiamato. Le spese dovrebbero seguire quella che sarebbe dovuta essere la soccombenza in relazione ai vizi presentemente denunciati ‘);
il primo motivo di ricorso è inammissibile .
7.1. La Corte di Appello ha riportato il testo dell’art. 2 del disciplinare, nel quale si legge tra l’altro che ‘allo scopo della maggiore regolarità e speditezza dei rapporti tra le parti i professionisti, non riuniti in collegio, sono rappresentati a tutti gli effetti nei confronti della Amministrazione dall’ing. NOME COGNOME ) che nel proseguo sarà chiamato il ‘professionista’. L’ Amministrazione resta estranea ad ogni e qualsiasi rapporto che i professionisti abbiano stabilito o possano stabilire nei loro propri riguardi ( … ). Il professionista sopra indicato riceve espressamente il mandato, a nome e per conto di tutti, di svolgere trattative, concludere accordi, ricevere disposizioni, firmare atti ecc. ( … ) restando convenuto che agli stessi sarà corrisposto complessivamente un unico onorario determinato come appresso. Tuttavia, fermo restando quanto sopra fissato ( … ), i professionisti potranno chiedere all’Amministrazione, tramite il professionista mandatario, modalità di ripartizione e di corresponsione anche diretta dei compensi ai componenti del gruppo anche in funzione
( … ) delle esigenze di carattere fiscale’.
La Corte di Appello ha valorizzato gli univoci elementi testuali per cui il COGNOME era il mandatario e il rappresentante degli altri professionisti nei rapporti con l’amministrazione e per cui gli altri professionisti avrebbero potuto chiedere il pagamento anche ripartito dei compensi tramite il professionista mandatario.
Come questa Corte ha più volte sottolineato (v., per tutte, sentenza n.10745/2022), ‘l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ‘.
Nel caso di specie questa ultima censura non è prospettata.
La censura di violazione delle regole ermeneutiche è prospettata con un astratto richiamo agli articoli ‘1362 -1371 c.c.’ nel loro complesso mentre, come la Corte ha puntualizzato, tale censura postula la specificazione dei singoli canoni ermeneutici che in concreto si assumono violati e la precisa indicazione dei punti della motivazione che se ne discostano (v. Cass. 15367/2024).
Inoltre, se il criterio letterale, a cui la Corte di Appello si è attenuta, non va inteso come il criterio in senso assoluto prioritario, tuttavia, in tanto, atteso il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti, è necessario estendere l’indagine ai criteri logico, teleologico e sistematico, in quanto il testo, pur chiaro, risulti incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (Cass. Sez. 3 – , ordinanza n.20294 del 26/07/2019). Nel caso di specie simile incoerenza non è neppure dedotta.
Il ricorrente, in realtà, pur evocando anche le norme sull’interpretazione dei contratti, indirizza la censura contro un elemento ultroneo rispetto alla ratio decidendi , ossia contro il riferimento fatto dalla Corte di Appello alla figura del raggruppamento temporaneo di professionisti e alla legge 109/1994. Il ricorrente deduce che nessuna previsione del disciplinare stabiliva la costituzione tra i professionisti di un
raggruppamento temporaneo. La ratio della decisione impugnata sta nel richiamo da parte della Corte di Appello alla lettera del contratto laddove il riferimento al raggruppamento temporaneo tra professionisti evidenzia la coerenza del testo contrattuale che attribuisce la rappresentanza ad uno dei professionisti rispetto alla disciplina dettata dalla legge 109/94 che, all’art. 17, tra le alternative per l’affidamento dell’incarico di progettazione di lavori, prevede quella a raggruppamenti temporanei tra professionisti, ai quali poi si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni per le associazioni temporanee di imprese ed in particolare la disposizione sulla titolarità della mandataria del potere di rappresentanza delle mandanti nei rapporti con la stazione appaltante a “tutti gli effetti’.
Il ricorrente svolge, poi, considerazioni per sostenere che il mandato affidato al RAGIONE_SOCIALE avesse solo natura sostanziale e non anche processuale, ma significativamente non si confronta con la pattuizione di cui all’ultimo comma dell’art 2, invece specificatamente valorizzata dalla Corte di Appello;
i motivi secondo, terzo, quarto e quinto attengono tutti all’affermazione della Corte di Appello per cui è impossibile individuare, all’interno della prestazione e del corrispettivo, entrambi unitariamente definiti dal contratto, ‘la quota delle prestazioni e quindi dei crediti’ riferibile al ricorrente. Tale affermazione è fatta espressamente per l’ipotesi ‘che il RAGIONE_SOCIALE possa agire individualmente’. La conferma della statuizione in punto di carenza di tale possibilità esclude la verificazione dell’ipotesi e quindi comporta l’irrilevanza delle censure veicolate con i suddetti motivi e in definitiva l’inammissibilità dei motivi per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.);
l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile dato che esso prospetta non una censura, ma solo una sollecitazione a che sia rideterminato il regime delle spese del processo sull’auspicato accoglimento di uno degli altri motivi;
10. in conclusione il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri motivi;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in €4000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2025.