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Mandato collettivo: il singolo non può agire da solo

Un ingegnere, parte di un gruppo di professionisti incaricato da un ente sanitario, ha citato in giudizio l’ente per ottenere il pagamento della sua quota di compenso. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. La ragione risiede nel contratto, qualificabile come mandato collettivo, che designava uno dei professionisti come unico rappresentante (mandatario) del gruppo nei confronti del committente. Di conseguenza, solo il mandatario era legittimato a richiedere il pagamento per tutti, e il singolo professionista non aveva il diritto di agire individualmente contro l’ente.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mandato Collettivo: Quando il Singolo Professionista Non Può Chiedere il Compenso

Quando più professionisti collaborano a un progetto, la gestione dei rapporti con il committente è cruciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti dell’azione individuale in presenza di un mandato collettivo, stabilendo che solo il professionista designato come rappresentante può avanzare pretese economiche. Questo principio tutela il committente e definisce chiaramente le responsabilità all’interno del gruppo di lavoro.

I Fatti del Caso: Il Contratto tra Professionisti e l’Ente Pubblico

Un ingegnere, insieme ad altri due colleghi, aveva ricevuto l’incarico di progettazione per la ristrutturazione di un presidio ospedaliero da parte di un’Azienda Sanitaria Provinciale. Il contratto (disciplinare) prevedeva esplicitamente che uno dei tre professionisti fosse nominato “mandatario e rappresentante esclusivo” del gruppo per tutti i rapporti con l’Amministrazione.

Nonostante questa clausola, l’ingegnere decideva di agire in giudizio autonomamente per richiedere all’Azienda Sanitaria il pagamento della sua quota di onorario. La sua richiesta veniva respinta sia in primo grado che in Corte d’Appello, la quale sottolineava come, in base al contratto, solo il professionista mandatario fosse legittimato ad avanzare pretese nei confronti del committente.

La Decisione della Corte: Legittimazione e Rappresentanza nel Mandato Collettivo

L’ingegnere ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente interpretato il loro accordo come un raggruppamento temporaneo e che, in ogni caso, la sua pretesa per la quota di spettanza fosse legittima.

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso. Ha confermato che la questione centrale non era la qualificazione formale del gruppo come “raggruppamento temporaneo”, ma l’interpretazione del contratto stipulato tra le parti. Il testo del disciplinare era inequivocabile nell’attribuire la rappresentanza, anche per la riscossione dei compensi, a un solo professionista. Pertanto, il singolo mandante non aveva la legittimazione ad agire direttamente contro il committente.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi principali.

Il primo motivo di ricorso, che contestava l’interpretazione del contratto, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ribadito che l’interpretazione del contratto è un’attività riservata al giudice di merito e può essere censurata in Cassazione solo per violazione delle regole legali di ermeneutica (artt. 1362 e ss. c.c.) o per omesso esame di un fatto decisivo. Nel caso specifico, il ricorrente non aveva adeguatamente specificato quali canoni interpretativi fossero stati violati, limitandosi a contestare il risultato. La Corte di Appello si era attenuta al chiaro tenore letterale dell’art. 2 del disciplinare, che designava un professionista come rappresentante e mandatario a cui sarebbe stato corrisposto “un unico onorario”.

In secondo luogo, i motivi di ricorso successivi (dal secondo al quinto), che vertevano sulla possibilità di individuare la quota di compenso spettante al singolo professionista, sono stati giudicati inammissibili per “difetto di interesse”. La Corte ha spiegato che, una volta stabilita la carenza di legittimazione ad agire del singolo professionista (la ratio decidendi principale), diventava irrilevante discutere se la sua quota di compenso fosse o meno determinabile. Tali argomentazioni erano state sviluppate dalla Corte d’Appello solo in via ipotetica (ad abundantiam) e non avevano inciso sulla decisione finale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Professionisti

Questa ordinanza offre un importante monito per i professionisti che operano in gruppo: la struttura contrattuale scelta per regolare i rapporti interni e con il committente ha conseguenze dirette e vincolanti. Se un accordo prevede un mandato collettivo con un rappresentante unico, i singoli membri perdono la facoltà di agire individualmente contro il cliente per questioni relative all’incarico, inclusa la richiesta di pagamento. La tutela dei loro crediti dovrà essere esercitata internamente, agendo nei confronti del mandatario, che è l’unico soggetto deputato a incassare il compenso totale e a ripartirlo secondo gli accordi interni al gruppo.

In un gruppo di professionisti con un mandatario designato, può un singolo membro chiedere il pagamento direttamente al cliente?
No. Secondo la Cassazione, se il contratto (disciplinare) qualifica un professionista come mandatario e rappresentante esclusivo del gruppo, solo quest’ultimo è legittimato ad avanzare pretese economiche verso il committente. Il singolo professionista (mandante) non ha il diritto di agire direttamente.

Cosa significa che un motivo di ricorso è inammissibile per “difetto di interesse”?
Significa che il ricorrente sta contestando una parte della motivazione della sentenza che non è stata decisiva per la decisione finale. Poiché la Corte aveva già stabilito che il professionista non poteva agire individualmente, diventava irrilevante discutere se la sua quota fosse calcolabile o meno, rendendo la censura su quel punto priva di interesse giuridico.

L’interpretazione di un contratto da parte di un giudice può essere contestata in Cassazione?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. Non si può contestare semplicemente il risultato dell’interpretazione, ma si deve dimostrare che il giudice di merito ha violato le specifiche regole legali di interpretazione contrattuale (indicate negli articoli 1362 e seguenti del Codice Civile) o che ha omesso di esaminare un fatto storico decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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