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Mancata risposta all’interrogatorio: non è confessione

La Corte d’Appello di Cagliari conferma la risoluzione di un contratto di locazione per morosità, rigettando l’appello del conduttore. La sentenza chiarisce che la mancata risposta all’interrogatorio formale di un terzo chiamato in causa non costituisce una confessione automatica. Il giudice deve valutare tale comportamento discrezionalmente, insieme a tutte le altre prove, che nel caso di specie erano sufficienti a smentire la tesi dell’appellante circa un presunto accordo sulla responsabilità del pagamento dei canoni.

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Mancata Risposta all’Interrogatorio: Non Equivale a Confessione

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Cagliari offre un importante chiarimento sul valore probatorio della mancata risposta all’interrogatorio formale nel processo civile. Il caso, relativo a una controversia per sfratto per morosità, dimostra come l’assenza di una parte in sede di interrogatorio non comporti automaticamente l’ammissione dei fatti contestati, ma rappresenti un elemento che il giudice valuta liberamente insieme a tutto il compendio probatorio.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un’azione di sfratto per morosità intentata da una locatrice nei confronti del conduttore di un immobile adibito a circolo ricreativo. Il conduttore non aveva pagato i canoni di locazione per un lungo periodo, da settembre 2017 a gennaio 2022.

Costituendosi in giudizio, il conduttore si opponeva alla richiesta, sostenendo che la responsabilità del pagamento dei canoni non fosse sua, ma dei presidenti del circolo che si erano succeduti nel tempo. Secondo la sua tesi, esisteva un accordo verbale in base al quale questi ultimi avrebbero dovuto versare il canone direttamente alla proprietaria. Per questo motivo, chiamava in causa i due presidenti per essere tenuto indenne (in manleva) da ogni pretesa. Inoltre, lamentava una parziale inagibilità dei locali a causa della presenza di eternit, che aveva costretto a una chiusura temporanea.

La Decisione di Primo Grado

Il Tribunale di Oristano accoglieva la domanda della locatrice. Dichiarava la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore e lo condannava al pagamento dei canoni arretrati, quantificati in 21.000 euro.
Il giudice riteneva non provata l’esistenza di un accordo che trasferisse l’obbligo di pagamento ai presidenti del circolo. Le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dalla locatrice e da uno dei presidenti escludevano tale patto. Inoltre, la questione dell’inidoneità dei locali era stata ritenuta irrilevante, poiché i lavori di smaltimento dell’eternit avevano interessato solo una parte accessoria dell’immobile, non impedendone l’uso principale.

I Motivi dell’Appello e la Mancata Risposta all’Interrogatorio

Il conduttore impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello, lamentando un vizio di motivazione. Il motivo principale del gravame si concentrava sulla valutazione della mancata risposta all’interrogatorio formale da parte del secondo presidente del circolo, rimasto contumace (cioè assente dal processo).
Secondo l’appellante, il giudice di primo grado avrebbe errato nel non considerare tale assenza come una prova a sostegno della sua tesi. La mancata comparizione, a suo dire, avrebbe dovuto essere interpretata come un’ammissione dei fatti dedotti nell’interrogatorio, ovvero che fosse lui il reale responsabile del pagamento dei canoni.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Cagliari ha rigettato l’appello, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito la portata dell’art. 232 del Codice di Procedura Civile, che disciplina le conseguenze della mancata risposta all’interrogatorio.

La Corte ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: la mancata presentazione della parte a rendere l’interrogatorio non produce l’effetto automatico di una confessione. Al contrario, conferisce al giudice la facoltà di ritenere come ammessi i fatti dedotti, ma solo dopo aver “valutato ogni altro elemento di prova”. Si tratta, quindi, di una presunzione semplice che il giudice può utilizzare per formare il proprio convincimento, ma che non è vincolante.

Nel caso specifico, esistevano prove di segno contrario che rendevano la mancata comparizione del terzo irrilevante. Le dichiarazioni della locatrice e dell’altro presidente, unitamente al contenuto del contratto di locazione che vietava la sublocazione, erano elementi sufficienti a escludere l’esistenza di un accordo che sollevasse il conduttore dai suoi obblighi contrattuali. Di fronte a un quadro probatorio così chiaro, la Corte ha ritenuto che il giudice di primo grado avesse implicitamente ma correttamente considerato ininfluente la mancata risposta del contumace.

Le Conclusioni

La sentenza in esame conferma che la strategia processuale non può fondarsi esclusivamente sulla speranza che la controparte non si presenti a un interrogatorio. La mancata risposta all’interrogatorio è un indizio, non una prova regina. Il giudice ha il dovere di condurre una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio a sua disposizione. Pertanto, per far valere le proprie ragioni in giudizio, è fondamentale fornire prove concrete e circostanziate, senza poter fare affidamento esclusivo su presunzioni derivanti dal comportamento processuale altrui.

La mancata risposta di una parte all’interrogatorio formale equivale a una confessione?
No. Secondo la costante giurisprudenza, la mancata risposta non equivale a una confessione. L’art. 232 c.p.c. conferisce al giudice la facoltà, non l’obbligo, di ritenere ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio, ma solo dopo aver valutato ogni altro elemento di prova disponibile nel processo.

Come valuta il giudice la mancata comparizione di una parte all’interrogatorio?
Il giudice la valuta come un comportamento processuale che, unitamente ad altri elementi, può formare il suo convincimento. Si tratta di una presunzione semplice che può essere superata da prove di segno contrario. Il potere del giudice in questo ambito è discrezionale.

Può un accordo verbale trasferire l’obbligo di pagare il canone di locazione dal conduttore a un terzo?
Anche se in teoria possibile, un simile accordo deve essere provato in modo inequivocabile. In questo caso, il contratto scritto, che individuava chiaramente il conduttore come unico obbligato, e le testimonianze contrarie hanno reso irrilevante la tesi del conduttore, non supportata da prove sufficienti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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