Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7071 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7071 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
La Corte di Appello di Bari, in accoglimento del gravame proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato le domande di NOME COGNOME, volte ad ottenere il pagamento delle differenze retributive a lui dovute in relazione al periodo dal 15.9.2005 al 16.10.2007, sulla base del contratto di lavoro del 16.10.2012 e il risarcimento del danno non patrimoniale.
La Corte territoriale rilevava che l’COGNOME era stato nominato Direttore Sanitario in data 16.10.2002 con delibera n. 490/2002 del Commissario Straordinario e che in applicazione dell’art. 3 del contratto individuale del 16.10.2002 (con scadenza il 16.10.2007) la delibera n. 99 in data 14.9.2005 del successivo Commissario Straordinario non lo aveva riconfermato.
Evidenziava che in forza delle disposizioni contenute nell’art. 3 bis d.lgs. n. 502/1992 e nell’art. 2, comma 6, del DPCM 502/1995, come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. f) del DPCM n. 319/2001, la Regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto di lavoro con il Direttore amministrativo e il Direttore sanitario, mentre ai sensi dell’art. 14 comma 5 della L.R. Puglia n. 12/2005 il Direttore Sanitario e il Direttore Amministrativo cessano dalla carica in caso di cessazione del Direttore Generale, entro i successivi 60 giorni.
Richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui il contratto di lavoro del direttore sanitario è un contratto di lavoro autonomo di opera professionale dominato dal principio della libertà del recesso, e riteneva valida la clausola di risoluzione del rapporto contenuta nel contratto individuale, argomentando che una collaborazione basata su un rapporto fiduciario tra il Direttore Generale e i
Direttori Amministrativo e Sanitario è di indubbia utilità per un servizio sanitario di maggiore efficienza.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della legge regionale Puglia n. 12/2005 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Lamenta l’erroneità della statuizione relativa all’applicabilità del la legge regionale Puglia n. 12/2005, non essendo dirimente il momento di adozione della deliberazione del Commissario Straordinario n. 99 del 14.5.2005, nella vigenza della suddetta legge; sostiene che tali disposizioni erano destinate ad operare solo successivamente alla cessazione della gestione commissariale, con la nomina del primo Consiglio di Indirizzo e Verifica (CIV), avvenuta in data con deliberazione n. 1620 del 30.10.2006.
Evidenzia che solo successivamente alla nomina del suddetto Consiglio poteva essere nominato il Direttore Generale, il quale avrebbe designato il Direttore Sanitario e il Direttore Amministrativo, argomentando che la disciplina relativa alla cessazione dell’incarico del Direttore Sanitario e del Direttore Amministrativo si collega strettamente alla nomina effettuata dal Direttore Generale.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma quinto, della legge regionale Puglia n. 12/2015, per violazione degli artt. 3, 97 e 98 Cost.
Richiama le sentenze della Corte costituzionale nn. 228/2011 e 224/2010, che hanno dichiarato l’illegittimità di disposizioni di leggi regionali che avevano previsto la cessazione automatica dall’incarico del Direttore Amministrativo e del Direttore Sanitario all’avvicendarsi del Direttore Generale, ove non espressamente confermati entro 90 giorni dall’insediamento del nuovo titolare dell’organo di vertice.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per motivazione apparente, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale non si è pronunciata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancata censura della ratio decidendi della sentenza di primo grado relativa all’inapplicabilità dell’art. 2119 cod. civ., ed era incorsa nel vizio di ultrapetizione, in quanto aveva affrontato d’ufficio la questione relativa alla possibilità di risoluzione del rapporto esclusivamente per giusta causa.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia la violazione dell’art. 3, comma 7, del d. lgs. n. 502/1992, anche in relazione all’art. 3, comma 8/bis della medesima legge, nonché la violazione dell’art. 2119 cod. civ. , dei principi generali in tema di inderogabilità della relativa disciplina in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., nonché degli artt. 97 e 98 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Richiama la giurisprudenza di legittimità e sostiene l’applicabilità della disciplina di diritto comune, con conseguente nullità della clausola contrattuale per violazione delle norme e dei principi stabiliti dall’art. 2119 cod. civ.; evidenzia che dall ‘illegittimità della risoluzione anticipata del rapporto consegue il suo diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Il terzo motivo, che per ragioni logiche va trattato per primo, è inammissibile, in quanto il vizio di omessa pronuncia non è configurabile su questioni processuali (Cass. n. 10422/2019; Cass. n. 1876/2018 e Cass. n. 1701/2009).
Inoltre il motivo, che lamenta anche l’ultrapetizione, è formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 4 e 369 n. 4 cod. proc. civ., in quanto non riporta i motivi e non localizza l’atto di appello.
L’onere della parte di indicare puntualmente il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure nell’ambito dell’affermata necessità di non intendere il
principio di autosufficienza del ricorso in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza C.E.D.U. Succi e altri c. Italia del 28.10.2021 (Cass. SU n. 8950/2022).
Il quarto motivo, che per ragioni logiche va trattato prima dei restanti motivi, è inammissibile, in quanto non si confronta con il decisum .
La sentenza impugnata ha infatti accertato che il Commissario Straordinario con deliberazione n. 99 del 14.9.2005, dopo avere premesso che ai sensi dell’art. 3 del contratto ‘il Direttore Sanitario cessa dall’incarico entro tre mesi dalla nomina del nuovo Commissario Straordinario e può essere riconfermato, ha ritenuto di non riconfermare il AVV_NOTAIO. COGNOME nella funzione di Direttore Sanitario ‘anche alla luce delle ‘relazioni agli atti dell’ente e della nota dell’1.9.2005 n. 5470 prot.’, atti dai quali emergeva che ‘i direttori di Struttura Complessa di questo RAGIONE_SOCIALE hanno comunicato…di non avere un rapporto di collaborazione costruttivo e basato sulla fiducia, indispensabile per il corretto adempimento dei doveri istituzionali che incombono sulla figura del Direttore Sanitario’.
La sentenza impugnata ha dunque dato atto della circostanza che la motivazione addotta per la mancata riconferma afferisce al venir meno dell’elemento fiduciario, che costituisce una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Il motivo, che denuncia la mancata applicazione dell’art. 2119 cod. civ. richiamando la giurisprudenza costituzionale secondo cui l’interruzione anticipata del rapporto in corso tra il direttore amministrativo della RAGIONE_SOCIALE deve essere ancorata a ragioni ‘interne’ a tale rapporto, e deduce che l’interruzione del rapporto prima della scadenza prevista non consente una valutazione qualitativa dell’operato del direttore sanitaria, non si confronta con tali statuizioni, da cui risulta che la mancata riconferma dell’COGNOME quale Direttore Sanitario è stata documentalmente motivata dalla mancanza di un rapporto di collaborazione costruttivo e basato sulla fiducia, indispensabile per il corretto adempimento dei doveri istituzionali che incombono sulla figura del Direttore Sanitario’, e che a prescindere dalle previsioni normative e contrattuali è in
concreto avvenuta sulla base di una valutazione qualitativa dell’operato del Direttore Sanitario.
Il motivo non considera dunque che nel caso di specie la mancata riconferma del AVV_NOTAIO. COGNOME non è stata automatica, avendo il Commissario Straordinario specificato le ragioni della mancata riconferma del Direttore Sanitario, ed avendole ancorate alle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni dirigenziali da parte del medesimo, evidenziando che avevano compromesso il corretto adempimento dei doveri istituzionali che incombono sulla figura del Direttore Sanitario.
Nel caso di specie, a fronte della motivata giustificazione fornita dal Commissario Straordinario, relativa alle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni dirigenziali da parte dell’interessato , non si è dunque realizzata una decadenza automatica con discontinuità della gestione e non può dunque ravvisarsi un contrasto con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. ( nei termini indicati dalle sentenze n. 224 del 2010 e n. 228 del 2011 della Corte costituzionale; per la ricostruzione dei principi applicati dalla giurisprudenza di legittimità alla luce di tali pronunce v. Cass. n. 1895/2024).
Il ricorso non contesta inoltre la correttezza della motivazione relativa alla mancata conferma del COGNOME quale Direttore Sanitario contenuta deliberazione n. 99 del 14.9.2005.
Non essendosi nel caso di specie realizzata una decadenza automatica, i restanti motivi devono ritenersi inammissibili per le stesse ragioni sopra esposte.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 5000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9.2.2024.