Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32127 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 32127 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n.
28951/2021 r.g., proposto da
COGNOME NOME , elettivamente dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.ta in INDIRIZZO Roma, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1869/2021 pubblicata in data 11/05/2021, n. r.g. 2909/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Viste le conclusioni scritte depositate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME
Udita la discussione dei difensori delle parti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE dal 09/01/2006.
OGGETTO:
autoferrotranviere -licenziamento -impugnazione – consiglio di disciplina -mancata istituzione -conseguenze sulla data di efficacia del licenziamento – rilevanza ai fini dell’accesso alla NASPI
Nel 2013 era stato sottoposto a procedimento disciplinare per assenza ingiustificata dal servizio per un periodo di oltre cinque giorni ed era stato sospeso in via cautelare dal servizio in data 18/10/2013. Il dipendente aveva prodotto tre certificati medici attestanti il grave stato depressivo in cui versava. Ciò nonostante in data 07/11/2013 ATAC RAGIONE_SOCIALEp.ARAGIONE_SOCIALE gli aveva comunicato l’opinamento della destituzione ai sensi dell’art. 53, co. 8, all. A al r.d. n. 148/1931.
Il lavoratore aveva presentato ricorso al Consiglio di Disciplina. Con nota del 09/02/2015, da lui ricevuta in data 23/02/2015, RAGIONE_SOCIALE gli aveva comunicato che la Regione, nonostante reiterati solleciti, non aveva provveduto alla nomina del consiglio di disciplina e che essa società per tale ragione non aveva medio tempore applicato la sanzione disciplinare, che pertanto avrebbe prodotto il suo effetto estintivo del rapporto di lavoro in data 09/02/2015.
Il COGNOME deduceva che, malgrado tale comunicazione, l’RAGIONE_SOCIALE pur avendo continuato a rilasciare i CUD relativi agli anni 2014 e 2015, nulla gli aveva corrisposto a titolo retributivo e, anzi, in data 27/02/2015 aveva comunicato all’INPS di averlo destituito con effetto dal 09/09/2013. Assumeva che tale comportamento datoriale, contrario a buona fede e correttezza, gli aveva impedito di richiedere la NASPI all’INPS e gli aveva procurato un danno.
Pertanto, adiva il Tribunale di Roma per ottenere la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle retribuzioni non corrisposte a decorrere dalla sospensione cautelare del 18/10/2013 fino alla comunicazione del 23/02/2015, pari ad euro 30.959,04, nonché al risarcimento del danno pari alle somme non percepite a titolo di NASPI.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condannava RAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE a risarcire al ricorrente il danno pari alla NASPI perduta, nei limiti della somma di euro 30.959,04; rigettava la domanda di condanna al pagamento delle retribuzioni, ritenendo ostativo il provvedimento di sospensione dal servizio.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello rigettava l’appello incidentale del COGNOME volto ad ottenere l’integrale accoglimento dell e sue
domande; accoglieva, invece, parzialmente l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto , rigettava integralmente le pretese del COGNOME.
A sostegno della propria decisione la Corte territoriale afferma che:
è fondato il motivo di appello, con cui la società lamenta il difetto di nesso causale fra la sua asserita condotta illegittima e la mancata fruizione, da parte del lavoratore, dell’indennità di disoccupazione;
il lavoratore non ha presentato istanza di concessione della predetta indennità, sicché il danno è conseguenza immediata e diretta di questo suo comportamento omissivo;
non può essere condivisa la tesi del Tribunale, secondo cui la domanda amministrativa del lavoratore non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo, atteso che il COGNOME ben avrebbe potuto far valere dinanzi all’INPS le sue ragioni, considerato in primo luogo che nella missiva da lui ricevuta il 23/02/2015 l’ATAC gli aveva comunicato che la destituzione sarebbe stata applicata con effetto dalla predetta data; in secondo luogo che egli avrebbe potuto presentare la domanda amministrativa e quindi impedire la decadenza solo dal 23/02/2015, non certo dal 09/09/2013;
la giustificazione addotta dal lavoratore per l’omessa presentazione della domanda amministrativa non può essere condivisa;
l’appello incidentale è infondato, atteso che il COGNOME non censura la parte della decisione del Tribunale che fa leva sull’esistenza del provvedimento di sospensione dal servizio, ma insiste nell’affermare che il comportamento datoriale gli aveva provocato un danno rappresentato anche dalla mancata percezione della retribuzione, trascurando il fatto che il Tribunale ha considerato questa domanda come di natura retributiva e non risarcitoria ed ha considerato come unico danno scaturito da quel comportamento la perdita della NASPI.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Il P.G. ha depositato memoria scritta, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
7.- Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c. per avere la Corte territoriale escluso la responsabilità contrattuale della società datrice di lavoro in relazione alle retribuzioni non percepite.
Il motivo è inammissibile, perché non pertinente rispetto alla specifica motivazione spesa al riguardo dalla Corte territoriale, secondo cui il COGNOME, con il suo appello incidentale, non aveva sollevato censura alcuna avverso l’affermazione del Tribunale circa l’insussistenza del diritto alle retribuzioni durante il periodo di sospensione dal servizio.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di considerare che il comportamento datoriale era stato contrario ai principi di buona fede e di correttezza.
Il motivo è inammissibile, perché non pertinente rispetto alla specifica ratio decidendi , rappresentata dall’esclusione del nesso causale fra il comportamento datoriale e il danno patrimoniale rivendicato.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, 1218 e 1176 c.c., 115 e 116 c.p.c. e 4 bis, co. 6, d.l. n. 76/2013 (conv. in L. n. 99/2013) per avere la Corte territoriale escluso il nesso causale fra la condotta datoriale e il danno lamentato in termini di perdita della NASPI e per avere omesso quel giudizio di prognosi postuma, compiuto invece dal Tribunale, che avrebbe condotto con certezza al rigetto della domanda amministrativa da parte dell’INPS e, quindi, alla sua inutilità.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1227 e 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il danno lamentato fosse conseguenza immediata e diretta della condotta del lavoratore, consistita nella mancata presentazione della domanda amministrativa di NASPI all ‘INPS.
Il terzo e il quarto motivo -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono infondati.
L’indennità di disoccupazione postula la presentazione necessaria , a pena
di decadenza, di una domanda amministrativa entro un determinato termine dalla cessazione del rapporto di lavoro. Infatti, la NASPI va qualificata giuridicamente come prestazione previdenziale non pensionistica (v. da ultimo Cass. n. 11659/2024) , sicché soggiace all’onere della presentazione d’una domanda amministrativa da parte dell’interessato (Cass. n. 31377/2022; Cass. n. 6642/2020; Cass. n. 19767/2017; Cass. n. 23362/2016; Cass. n. 17798/2015; Cass. n. 2063/2014).
In sede di merito è stato accertato che il lavoratore non ha presentato la predetta istanza amministrativa, di guisa che è mancato un qualunque provvedimento dell’INPS.
Ne consegue che esattamente la Corte territoriale, sulla base dei criteri della causalità giuridica evincibili dagli artt. 40 e 41 c.p., ha ritenuto che il danno -ossia la mancata percezione della NASPI -fosse causalmente ricollegabile in via immediata e diretta alla mancata presentazione della predetta domanda, che integra un fattore causale sopravvenuto e autonomo di per sé sufficiente a determinare l’evento dannoso e, quindi, a interrompere ex art. 41 cpv. c.p. ogni ipotetico nesso causale rispetto al lamentato comportamento datoriale (consistito nella comunicazione all’INPS, in data 27/02/2015, di avvenuta estinzione del rapporto di lavoro alla data del 09/09/2013).
4.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2935, 2964 e 2966 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto presentabile la domanda amministrativa a decorrere dalla comunicazione del 23/02/2015, senza avvedersi dell’impossibilità giuridica di configurare una sospensione o un’interruzione del termine di decadenza, ormai ampiamente decorso considerando come dies a quo la data del 09/09/2013.
Il motivo è inammissibile, perché non pertinente rispetto alla ratio decidendi .
Ad avviso della Corte territoriale la vicenda non integra una fattispecie sospensiva o interruttiva del termine di decadenza entro cui presentare la domanda amministrativa, ma un’ applicazione del principio generale secondo cui il termine -anche di decadenza -può iniziare a decorrere soltanto quando il diritto possa essere fatto valere. E, con giudizio di merito insindacabile in
sede di legittimità, i giudici d’appello hanno ritenuto che a fronte della comunicazione datoriale del 23/02/2015 -secondo la quale la destituzione avrebbe prodotto l’effetto estintivo del rapporto di lavoro soltanto in quella data -confermata dal precedente comportamento datoriale di emissione di buste paga e di CUD per gli anni 2014 e 2015, il Radatti fosse in quel momento divenuto titolare del diritto alla NASPI (in presenza degli altri requisiti) e, quindi, avesse piena facoltà di presentare all’INPS l’istanza amministrativa a partire da tale data (23/02/2015). Hanno, quindi, ritenuto che in quel momento non fosse maturata alcuna decadenza, in concreto poi maturata soltanto a causa dell’omessa presentazione d ella domanda amministrativa. Tale decisione è conforme a diritto, a prescindere dall’esito di quell’istanza , ossia dalle determinazioni che l’INPS avrebbe adottato e contro le quali, in ipotesi , l’interessato ben avrebbe potuto invocare la tutela giurisdizionale. Infatti, l’esito di quell’istanza, in quanto inerente al rapporto giuridico previdenziale fra il disoccupato e l’INPS, rappresenta una vicenda estranea al thema decidendum , relativo al rapporto fra datore di lavoro e lavoratore.
5.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 4) e 3), c.p.c. il ricorrente lamenta sia un’omessa pronunzia sul motivo di appello incidentale, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sia la violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. per avere la Corte territoriale escluso che il Tribunale avesse ravvisato un’ulteriore voce di danno nelle retribu zioni perdute dalla sospensione dal servizio fino al 23/02/2015.
Il motivo è infondato.
L’interpretazione della sentenza di primo grado, da parte dei giudici d’appello, è corretta, dal momento che il COGNOME non ha mai impugnato o contestato il provvedimento di sospensione dal servizio. Pertanto, esattamente la Corte territoriale ha ravvisato che, in omaggio al principio di corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro subordinato, il Tribunale avesse ritenuto quel provvedimento come idoneo ad escludere il diritto alla retribuzione e, a fortiori , un danno risarcibile da ‘mancata retribuzione’.
Questo passaggio della sentenza impugnata con il ricorso per cassazione è idoneo a soddisfare il dovere di pronunzia, sicché è da escludere anche l’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c.
6.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data