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Mancata richiesta NASPI: il nesso causale è escluso

Un lavoratore, licenziato dopo un lungo periodo di sospensione, ha citato in giudizio l’ex datore di lavoro per il risarcimento dei danni, inclusa la perdita dell’indennità di disoccupazione (NASPI). La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, stabilendo che la causa diretta del danno economico era la stessa omissione del lavoratore. La mancata richiesta NASPI da parte del dipendente interrompe il nesso causale con qualsiasi presunta condotta illecita dell’azienda, rendendo quest’ultima non responsabile per la perdita del sussidio.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Mancata Richiesta NASPI: la Cassazione Esclude il Risarcimento del Danno

La perdita del posto di lavoro comporta spesso la necessità di accedere a strumenti di sostegno al reddito come la NASPI. Ma cosa succede se il lavoratore non presenta la domanda? E se il datore di lavoro ha tenuto una condotta che ha creato confusione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32127 del 2024, chiarisce un punto fondamentale: la mancata richiesta NASPI da parte del lavoratore è un’omissione che interrompe il nesso causale con eventuali comportamenti del datore, escludendo il diritto al risarcimento.

I Fatti del Caso: La Controversia tra Lavoratore e Azienda

Un dipendente di un’azienda di trasporti, dopo essere stato sottoposto a un procedimento disciplinare nel 2013 e sospeso in via cautelare dal servizio, veniva infine licenziato. La comunicazione formale del licenziamento, con effetto dal 9 febbraio 2015, gli perveniva il 23 febbraio 2015.

Pochi giorni dopo, tuttavia, l’azienda comunicava all’INPS una data di cessazione del rapporto molto precedente, risalente al 9 settembre 2013. Il lavoratore, ritenendo che questa discrepanza e il comportamento complessivo dell’azienda gli avessero impedito di richiedere e ottenere la NASPI, adiva il Tribunale. Chiedeva il pagamento delle retribuzioni dal momento della sospensione fino alla comunicazione del licenziamento e il risarcimento del danno pari all’importo della NASPI non percepita.

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, rigettavano le sue pretese, spingendo il lavoratore a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte e il Nesso Causale nella Mancata Richiesta NASPI

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del lavoratore, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il fulcro della decisione risiede nell’analisi del nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e il danno lamentato dal dipendente.

Il Comportamento Omissivo del Lavoratore come Causa del Danno

I giudici hanno stabilito che l’indennità di disoccupazione NASPI non è una prestazione automatica, ma postula la necessaria presentazione di una domanda amministrativa da parte dell’interessato entro un termine di decadenza.

Nel caso di specie, è stato accertato che il lavoratore non ha mai presentato tale domanda all’INPS. Secondo la Corte, questa omissione costituisce un ‘fattore causale sopravvenuto e autonomo’, sufficiente da solo a determinare l’evento dannoso, ovvero la mancata percezione del sussidio. In applicazione dei principi di causalità giuridica (artt. 40 e 41 c.p.), la mancata azione del lavoratore interrompe ogni possibile nesso causale con il precedente comportamento del datore di lavoro.

L’Irrilevanza della Comunicazione Datoriale ai Fini della Richiesta

Il lavoratore sosteneva che la comunicazione di una data di licenziamento retroattiva all’INPS avesse reso inutile la presentazione della domanda. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che il diritto del lavoratore di richiedere la NASPI poteva essere esercitato a partire dal momento in cui aveva ricevuto la comunicazione formale del licenziamento (23 febbraio 2015).

Da quella data, egli aveva piena facoltà di presentare l’istanza all’INPS. L’eventuale rigetto da parte dell’istituto previdenziale, basato sulla comunicazione del datore di lavoro, avrebbe potuto essere impugnato in sede giurisdizionale. La scelta di non attivarsi ha, di fatto, consolidato la perdita del beneficio.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione ribadendo un principio consolidato: per ottenere una prestazione come la NASPI, è indispensabile un’azione positiva del titolare del diritto. L’inerzia del lavoratore non può essere imputata a terzi, nemmeno al datore di lavoro la cui condotta possa aver generato incertezza. Il danno non è conseguenza diretta della comunicazione aziendale all’INPS, ma della successiva e autonoma decisione del lavoratore di non presentare la domanda.

La Corte ha inoltre confermato la reiezione della richiesta di pagamento delle retribuzioni per il periodo di sospensione. Il lavoratore non aveva mai contestato il provvedimento di sospensione in sé; pertanto, in base al principio di corrispettività delle prestazioni del rapporto di lavoro (nessuna prestazione lavorativa, nessuna retribuzione), la richiesta non poteva essere accolta.

Le Conclusioni

La sentenza n. 32127/2024 offre un’importante lezione pratica: la responsabilità per la mancata percezione della NASPI ricade primariamente sul lavoratore che omette di presentare la relativa domanda. Anche in presenza di comportamenti datorili ambigui o apparentemente pregiudizievoli, il lavoratore ha l’onere di attivarsi per tutelare i propri diritti, presentando l’istanza e, se necessario, contestando un eventuale diniego. L’omissione di questo passaggio fondamentale interrompe il nesso causale e preclude la possibilità di richiedere un risarcimento al datore di lavoro per la perdita del sussidio.

Se un lavoratore non richiede l’indennità di disoccupazione (NASPI), può chiedere il risarcimento al datore di lavoro per la sua perdita?
No. Secondo la sentenza, il danno derivante dalla mancata percezione della NASPI è una conseguenza immediata e diretta dell’omissione del lavoratore, che non ha presentato la domanda. Questo comportamento interrompe il nesso causale con qualsiasi presunta condotta del datore di lavoro.

Una comunicazione errata o tardiva del datore di lavoro all’INPS giustifica la mancata presentazione della domanda di NASPI da parte del lavoratore?
No, non la giustifica. La Corte ha stabilito che il lavoratore, una volta ricevuta la comunicazione di licenziamento, avrebbe dovuto comunque presentare la domanda di NASPI. L’eventuale rigetto da parte dell’INPS, basato su informazioni errate fornite dal datore, avrebbe potuto essere impugnato dal lavoratore in sede giurisdizionale.

Da quando decorre il termine per presentare la domanda di NASPI se la data di licenziamento comunicata al lavoratore è diversa da quella comunicata all’INPS?
La sentenza chiarisce che il diritto di richiedere la NASPI, e quindi il termine per farlo, decorre dal momento in cui il lavoratore ha avuto effettiva conoscenza della cessazione del rapporto, ovvero dalla data di ricezione della comunicazione di licenziamento. È da quel momento che il diritto può essere fatto valere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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