Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4689 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 4689 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
Con la sentenza n. 5/2010, la Corte di Appello di Ancona in parziale accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda della medesima, ha riconosciuto il diritto della COGNOME all’assunzione presso l’RAGIONE_SOCIALE; disapplicato il provvedimento di revoca del bando di selezione e accertato l’inadempimento dell’RAGIONE_SOCIALE, ha costituito il rapporto di lavoro della RAGIONE_SOCIALE alle dipendenze dell’RAGIONE_SOCIALE, con inquadramento contrattuale come operatore tecnico cuoco di cat. B a tempo indeterminato con decorrenza dal 4.12.2003, ed ha rigettato la domanda risarcitoria.
Con la sentenza non definitiva n. 196/2017, la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona, che aveva condannato l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 97.102,37 oltre interessi, a titolo di retribuzioni e differenze retributive maturate dalla COGNOME dal 4.12.2003 al 2014 compreso (in quanto la datrice di lavoro non aveva dato esecuzione al giudicato costituito dalla sentenza n. 5/2010 della Corte di Appello di Ancona), ha ridotto l’ammontare della condanna al risultato della sottrazione dell’ aliunde perceptum nei periodi lavorati e risultante dalle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà datate 22.1.2014.
La Corte territoriale ha evidenziato che a fronte della costituzione per legge del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’Amministrazione sanitaria da parte della Suprema Corte, l’RAGIONE_SOCIALE non aveva chiamato al lavoro la
dipendente nonostante la costituzione in mora e non aveva dunque dato esecuzione al giudicato.
Considerato che il datore di lavoro non aveva provveduto alla riattivazione del rapporto, ha rilevato che si era posto nella condizione di mora credendi ed ha ritenuto il diritto della dipendente al pagamento delle retribuzioni fino alla cessazione del rapporto di lavoro, con detrazione dell’ aliunde perceptum .
Con la sentenza definitiva n. 82/2018, la Corte di Appello di Ancona ha ridotto la condanna di pagamento dell’RAGIONE_SOCIALE alla minore somma di € 61.785,58, oltre interessi legali ed eventuale rivalutazione dal dovuto al saldo ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata
Avverso le sentenze nn. n. 196/2017 e 82/2018 della Corte di Appello di Ancona l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti , costituito dall’avvenuta costituzione del rapporto con la NOME già dal 2.3.2009 a seguito della vincita di altro concorso da parte della medesima, e dall’avvenuta ricostruzione della sua carriera con determina DG 27.3.2015 n. 159/dg.
Richiama il ricorso di primo grado della COGNOME, nonché la comparsa dell’RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado ed il ricorso in appello, evidenziando l’insussistenza dei presupposti della mora credendi .
Lamenta l’ingiustizia della segnalazione alla Procura presso la Corte dei conti relativa alla mancata riattivazione del rapporto di lavoro negli anni e alla sussistenza del danno erariale.
Il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Evidenzia che l’avversa domanda era tesa alla ricostituzione del rapporto di lavoro tra la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE nel periodo dal 2003 al 2009 e lamenta che la Corte territoriale, avendo pronunciato una condanna risarcitoria sulla base di un accertamento non richiesto (mancata riattivazione del rapporto di lavoro egli anni), è incorsa nel vizio di ultrapetizione.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 2932, 1223 e 2909 cod. civ., nonché dell’art. 324 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta il mancato rilievo, da parte della Corte territoriale, dell’inammissibilità della domanda di primo grado, a fronte del rigetto di ogni pretesa risarcitoria (comprensiva anche delle retribuzioni perse) da parte della sentenza n. 5/2010 e del giudicato sceso sul punto, a seguito della sentenza di legittimità, che aveva dichiarato inammissibile il motivo di ricorso della COGNOME sulla mancata condanna alle retribuzioni perse ed aveva ritenuto incompatibile il risarcimento del danno ex art. 1223 cod. civ. (ivi compreso quello da perdita di chance) con la pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ.
Deduce l’insussistenza di un pregiudizio economico derivato alla NOME dal ritardo nell’assunzione, evidenziando che la medesima non aveva mai dichiarato né aveva dimostrato di essere disoccupata all’epoca della mancata assunzione e nel corso del giudizio; evidenzia inoltre che la NOME non aveva costituito in mora l’azienda e che nel presente giudizio non ha chiesto il risarcimento di un danno diverso da quello da perdita di chance.
I motivi, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono inammissibili.
Non è ipotizzabile l’omesso esame di un fatto decisivo nei termini denunciati, in quanto la sentenza impugnata nel dare atto delle statuizioni del Tribunale (che sostanzialmente ha confermato, salva la detrazione dell’ aliunde perceptum ), ha
indicato l’assunzione formale sopraggiunta il 2.3.2009 ed ha riportato le statuizioni del Tribunale relative alla domanda riguardante le ‘retribuzioni’ e le ‘differenze retributive connesse alla ricostruzione della carriera’; le prime devono pertanto intendersi riferite al periodo dal 4.12.2003 al 2.3.2009, e le seconde al periodo dal 3.3.2009 al 2014.
Inoltre lo stesso ricorso nel primo motivo riporta il contenuto della determina DG 27.3.2015 n. 159/dg e prospetta dunque che le differenze retributive con decorrenza dal 4.12.2003 non sono state riconosciute.
I motivi difettano altresì di autosufficienza, in quanto non trascrivono integralmente né localizzano con precisione gli atti delle parti relativi ai gradi di merito.
L’onere della parte di indicare puntualmente il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure nell’ambito dell’affermata necessità di non intendere il principio di autosufficienza del ricorso in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza C.E.D.U. Succi e altri c. Italia del 28.10.2021 (Cass. SU n. 8950/2022).
I motivi tendono poi alla rivisitazione del fatto, mettendo in discussione l’accertamento effettuato dalla Corte territoriale in ordine alla richiesta di riattivazione del rapporto di lavoro da parte della lavoratrice.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. SU 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 1 aprile 2017, n. 8758).
5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per la ricorrente , di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 5.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 23 gennaio 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME