Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2531 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2531 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
Oggetto
Responsabilità civile generale ─ Effetti della mancata riassunzione della causa a seguito di cassazione con rinvio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3733/2024 R.G. proposto da
COGNOME Avv. NOME, difesa da sé stessa (p.e.c.: EMAIL);
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia, n. 762/2023, depositata in data 20 ottobre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 1992 l’Avv. NOME COGNOME propose azione possessoria nei confronti di COGNOME NOME denunciando l’illecita rimozione da parte di questo dell’impianto videocitofonico collocato all’ingresso dell’immobile adibito a proprio studio professionale.
Con sentenza n. 1014 del 2005 l’adito Tribunale di Perugia rigettò la domanda, condannando la ricorrente alle spese di lite.
La Corte d’appello di Perugia, con sentenza n. 153 del 2008, in riforma di tale decisione, accolse invece la domanda, condannò il Cattozzo al ripristino dello stato dei luoghi ed alla rifusione delle spese di primo e secondo grado.
Con sentenza n. 6643 del 2015 la Suprema Corte cassò con rinvio detta sentenza.
Le parti però omisero di riassumere il giudizio.
Sulla base di tali premesse, l’Avv. COGNOME nel 2020, convenne il COGNOME davanti al Tribunale di Perugia chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni arrecati al videocitofono, nonché di quello conseguente al disagio subito per essere rimasta priva di impianto citofonico per sedici anni.
Il COGNOME resistette alla domanda eccependo la prescrizione del vantato credito risarcitorio e contestandone comunque la fondatezza; chiese in via riconvenzionale la condanna dell’attrice alla restituzione delle somme corrisposte in ottemperanza alla sentenza della Corte d’ appello di Perugia cassata dalla Suprema Corte per il complessivo importo di € 17.815,25 .
Con sentenza n. 99 del 2022 il Tribunale rigettò la domanda principale ed accolse quella riconvenzionale.
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello ha rigettato il gravame interposto dall’Avv. COGNOME confermando la decisione
impugnata e condannando l’appellante alle spese di lite.
4.1. Con riferimento alla pretesa risarcitoria il nucleo della motivazione si risolve nei seguenti passaggi salienti:
« all’esame della domanda attorea non solo risulta il difetto di una idonea allegazione dei danni asseritamente subiti, e tale mancanza non può essere superata con la richiesta di c.t.u. con finalità chiaramente esplorativa, quindi inammissibile, ma anche per quanto riguarda la titolarità alla installazione del citofono »;
« la sentenza di cassazione con rinvio ha fatto osservare che ‘ la nicchia, pur precedentemente mai utilizzata, era nel compossesso di tutti i condomini per cui a seguito dell’istallazione dell’impianto, l’ablazione non costituiva reazione legittima. Va osservato, tuttavia, che l’indagine è carente sull’esistenza di un a canalina del Cattozzo e sulla circostanza se la nicchia fosse sufficiente per la collocazione di uno o due impianti ‘ »;
« orbene, quegli accertamenti compiuti nel corso dei tre gradi di giudizio sono venuti meno a causa della mancata riassunzione (il Tribunale a riguardo ha fatto richiamo sul punto a Cass. 24699/2020), pertanto, residua il principio enunciato dalla Corte di cassazione che però non ha avuto seguito nella domanda introduttiva al presente giudizio relativamente all’accertamento circa l’esistenza di una canalina del Cattozzo e sulla circostanza se la nicchia fosse sufficiente per la collocazione di uno o due impianti »;
« i l Collegio non può altro che confermare il difetto di allegazione ravvisato dal Tribunale senza tacere che per l’effetto caducatorio derivato dalla mancata riassunzione il vantato diritto risarcitorio risulterebbe, in ogni caso, prescritto ».
4.2. Con riferimento alla condanna restitutoria ha rilevato, in sintesi, che:
─ i due importi che, compresi nella maggior somma oggetto di ripetizione, sono contestati dall’appellant e lo sono infondatamente dal
momento che: a) il primo (per € 835,14) effettivamente « deriva dal D.I. deriva dalla esecuzione della sentenza n. 153/2008 di questa Corte che è stata poi annullata dalla Corte di cassazione »; b) il secondo (per € 1.702,67) deriva dalla sentenza di rigetto della opposizione del Cattozzo all’atto di precetto per obbligo di fare intimato dalla COGNOME sulla base della sentenza n. 153/2008 di questa Corte annullata dalla Corte di cassazione;
─ n ella formulazione del motivo la difesa appellante non considera quanto espressamente motivato sul punto dal Tribunale, con riferimento all’effetto espansivo, ex art. 336 cod. proc. civ., della pronuncia cassatoria;
─ non può dubitarsi che le due somme contestate dall’appellante siano connesse alla provvisoria esecuzione della sentenza n. 153 del 2008 il cui annullamento da parte della Corte di cassazione rende del tutto ingiustificate le procedure esecutive di cui sopra.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resist e l’intimato, depositando controricorso.
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost..
Lamenta che l’intero impianto motivazionale sia stato formalmente assolto riportando pedissequamente la tesi dell’appellante, quella dell’appellato, riprodotta e recepita, e concludendo con l’adesione al la decisione assunta in primo grado.
2. Il motivo è inammissibile.
Si risolve, infatti, in affermazioni del tutto generiche avulse da un effettivo confronto con la motivazione della sentenza impugnata, dalla quale si estrapolano solo alcuni passaggi, trascurandone altri essenziali ai fini della compiuta ricostruzione della struttura argomentativa esposta in sentenza.
Questa, comunque, è perfettamente comprensibile. Nei termini fedelmente sintetizzati nella parte narrativa della presente ordinanza (v. supra «Fatti di causa», § 4) essa invero, lungi dal risolversi -come sostenuto in ricorso- in mere frasi di stile, risulta sufficientemente chiara nel giustificare la decisione sul duplice rilievo:
della mancanza di allegazione dei danni e del fondamento del vantato diritto alla installazione del citofono (cui i pretesi danni si riferiscono), temi che la sentenza di cassazione aveva indicato come oggetto di necessaria più adeguata motivazione e sui quali però nessun accertamento poteva dirsi condotto, essendo venuti meno quelli compiuti nel corso del pregresso giudizio in conseguenza della mancata riassunzione;
b) che il vantato diritto risarcitorio risulterebbe comunque prescritto.
Varrà ribadire che, secondo ormai acquisito insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, (v. Cass. Sez. U. 7/04/2014, nn. 8053 -8054) intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione.
Non può invece un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda
diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).
In questo secondo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) diretta a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di Cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti .
Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio .
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 393 c.p.c. e art. 310 c.p.c. anche in relazione all’art. 2033 c.c. ».
Rileva che, r isultando estinto l’intero processo , l’obbligo restitutorio avrebbe potuto riguardare soltanto gli importi versati in seguito alla soccombenza in appello, ma non avrebbe potuto di certo riguardare l’obbligo di versamento delle somme restituite in seguito alla riforma della sentenza di primo grado, né tanto meno le somme pagate a fronte di altri processi e definite con sentenza passata in cosa giudicata.
Deduce che la Corte d’appello:
─ n on chiarisce a quale titolo debba essere versato l’importo di € 5.650,55 restituito in quanto pagato in forza della sentenza di primo grado riformata, con conseguente vizio di omessa pronunzia che sarà oggetto di specifico motivo;
─ i gnora che l’importo dovuto a fronte della sentenza gravata non era stato pagato integralmente essendo stata versata rispetto ad € 15.272,44 la minor somma di € 14.780,55;
─ ignora totalmente il principio della intangibilità del giudicato e della necessità di procedere, semmai a revocazione ex art. 395 c.p.c.;
─ c onfonde l’estinzione del giudizio con la riforma della sentenza .
Il motivo presuppone che sia stato proposto specifico motivo di gravame sul punto e il suo esame va pertanto posposto a quello del quarto motivo, con il quale si denuncia vizio di omessa pronuncia su motivi con i quali tale questione era stata prospettata.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 393 cod. proc. civ. e degli artt. 2043 e 2697 cod. civ..
Richiamate le domande svolte nell’atto introduttivo del primo grado del presente giudizio, la decisione del Tribunale, il primo motivo d’appello e la decisione sul punto resa dalla Corte di merito (ricorso, pagg. 1415), l’argomentazione critica è affidata alle seguenti affermazioni:
─ « la Corte territoriale … sembra … ignorare il principio dell’onere della prova ;
─ « con modalità assai singolare intende sostenere che nell’atto introduttivo del giudizio doveva essere data prova della sussistenza di una canalina del COGNOME e sulla circostanza se la nicchia fosse sufficiente per la collocazione di uno o più citofoni, onere probatorio a carico del COGNOME »;
─ « il Collegio giudicante … smentisce sé medesimo in quanto , da un lato, assume che difetterebbe la titolarità alla installazione del videocitofono ovvero non sarebbe stato allegato il fatto materiale e dall’altro afferma che doveva essere dedotta ed accertata l’inesistenza dei diritti del Cattozzo »;
─ « nel momento in cui viene dedotta l’esistenza di una causa giustificatrice, o viene dedotta l’esistenza di un diverso dato, è dato per accertato ed ammesso il fatto illecito contestato che, al contrario, la Corte Territoriale assume non essere stato neppure allegato »;
─ « per il danneggiamento del citofono è stata prodotta la fattura non contestata afferente al costo del citofono rimosso; per ciò che concerne il danno del disagio relativo al mancato utilizzo è stata chiesta CTU non ammessa; non si comprende dunque quale ulteriore attività o mezzo di prova avrebbe dovuto essere richiesto e/o fornito ».
Il motivo è in parte infondato, in altra parte inammissibile.
6.1. È infondato nella parte in cui deduce l’inosservanza dell’art. 393 cod. proc. civ. che invece deve ritenersi correttamente osservato dalla Corte di merito, là dove ha ritenuto, alla luce delle motivazioni della pronuncia cassatoria, ostativo all’accog limento della domanda risarcitoria il mancato accertamento circa la possibilità che nell’alloggiamento in questione il videocitofono installato dalla COGNOME potesse coesistere con altri impianti.
Proprio tale disposizione, là dove in particolare prevede, nel secondo inciso, che, in mancanza di riassunzione del giudizio, « la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda » imponeva di considerare vincolante l’indicazione contenuta nella pronuncia cassatoria circa « l’essenzialità di tale accertamento … in relazione … alla circostanza che il compossessore non può escludere il possesso di altro avente titolo ».
Se è vero che l’altro accertamento , pure indicato come essenziale
nella detta pronuncia, circa la preesistenza di una canalina del Cattozzo (in relazione « alla giurisprudenza che legittima una reazione nell’immediatezza ») in realtà attivava un onere di allegazione e prova di quest’ultimo, in quanto circostanza in astratto idonea a giustificare lo spoglio ed escludere dunque l’illiceità del fatto e a paralizzare in tal modo la domanda alla stregua di eccezione sia pure in senso lato, è vero anche che però l’altro accertamento , sopra indicato come essenziale alla stregua di indicazione vincolante, riguardava il fatto costitutivo della domanda risarcitoria e doveva essere provato dalla parte attrice.
6.2. Nella restante parte il motivo è inammissibile, prospettandosi questioni di merito, peraltro assorbite dalla testé detta ragione giustificativa della decisione, rappresentata dalla ritenuta insussistenza, per mancanza di prova, di un danno ingiusto.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia « violazione e/o errata applicazione dell’art. 112 c.p.c . in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. Omessa pronunzia su punti decisivi della controversia ».
Lamenta:
─ il mancato esame della questione posta con il secondo motivo di appello relativamente alla infondatezza della pretesa restitutoria in quanto riferita alla somma di € 5.650,55 versat a in esecuzione della sentenza di primo grado;
─ la mancanza di motivazione in ordine all’affermata prescrizione del credito risarcitorio, senza considerare che questa « non risulta dedotta in sede di gravame ».
Rimarca, infine, che con il secondo motivo di gravame ella aveva rilevato che il primo giu dice aveva condannato alla restituzione di € 15.272,44, ivi ricomprendendo l’importo di € 5.650,55 che era stato versato in restituzione, mentre risultava dagli atti che il Cattozzo aveva versato la minor somma di € 14.780,55.
Il motivo ─ il quale risulta osservante degli oneri di specificità
imposti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., considerato che la ricorrente ne dà una descrizione contenutistica sufficientemente idonea affinché il suo contenuto possa dirsi determinato e pienamente comprensibile e fornisce anche una specifica indicazione atta a consentirne l’individuazione nell’ambito dell’atto di appello, indicando la pagina dell’atto d’appello ove le questioni erano state poste (pag. 10) (cfr. Cass. n. 11325 del 2/05/2023, Rv. 667745) ─ è fondato con riferimento al primo e al terzo dei profili evidenziati (restituzione dell’importo di € 5.650,55 ed esatto i mporto versato da controparte e come tale suscettibile di restituzione).
Sulle questioni in relazione ad essi poste con il motivo di gravame la Corte d’appello tace del tutto, incorrendo , dunque, in parte qua nel denunciato vizio.
Il motivo va invece rigettato nella restante parte (là dove, cioè, si deduce mancanza di motivazione in ordine all’affermata prescrizione del credito risarcitorio, senza considerare che questa « non risulta dedotta in sede di gravame ») dal momento che:
tale censura è eccentrica rispetto al tipo di vizio dedotto: con essa non si deduce omessa pronuncia, ma omessa motivazione della ritenuta prescrizione;
anche a intenderla diretta a prospettare un error in procedendo per ultrapetizione, si tratta di errore che non emerge dalla sentenza né si offrono elementi per supportare l’assunto che l’eccezione di prescrizione non fosse stata iterata dalla controparte in appello ex art. 346;
in ogni caso la questione è assorbita, dal momento che il rigetto della pretesa risarcitoria trova alternativo autonomo fondamento nel rilievo della mancanza di prova della possibilità di installare un videocitofono senza ostacolare il possesso altrui.
L’accoglimento, nei termini esposti, del quarto motivo determina l’assorbimento del secondo.
La memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., reitera le tesi censorie già esposte in ricorso e non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi .
In accoglimento, dunque, del quarto motivo di ricorso, nei limiti sopra indicati, rigettato il terzo e dichiarati inammissibili il primo e assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata al giudice a quo , al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta il terzo; dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza