Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4027 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 4027 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, adita con impugnazione principale dalla RAGIONE_SOCIALE e con appello incidentale da NOME COGNOME (dirigente medico di primo livello presso il reparto di traumatologia del P.O. di Agropoli), ha riformato parzialmente la sentenza del tribunale della stessa sede che aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della complessiva somma di € 100.614,60 a titolo di ‘prestazioni aggiuntive’ per l’attività lavorativa prestata oltre l’orario ordinario di 38 ore nel periodo da agosto 2007 al 2011, ed aveva respinto le ulteriori domande, relative al pagamento dell’indennità di rischio radiologico, ai mancati riposi compensativi e al risarcimento del danno da mobbing.
Quanto all’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte territoriale ha ritenuto corretta la valorizzazione, da parte del Tribunale, dell’assoluta mancanza di contestazione riguardo alle differenze retributive richieste a titolo di prestazioni aggiuntive; ha in particolare evidenziato che nel costituirsi in giudizio l’Azienda si era limitata ad eccepire la prescrizione e a formulare ininfluenti considerazioni di stile, senza contestare, come invece nel giudizio di appello, lo svolgimento dell’attività lavorativa, le necessità del servizio da erogare e l’esistenza delle necessarie autorizzazioni.
Quanto all’appello incidentale, la Corte territoriale ha ritenuto incontestate da parte della RAGIONE_SOCIALE le circostanze di fatto dettagliatamente esposte nel ricorso introduttivo e per la gran parte incontestate anche da NOME COGNOME, primario del reparto volontariamente intervenuto nel giudizio di primo grado;
all’esito dell ‘ istruttoria ha inoltre ritenuto provata la condotta mobbizzante tenuta nei confronti dello COGNOME dal Dott. COGNOME, il quale aveva posto in essere azioni profondamente lesive della dignità umana e professionale del dirigente medico, cacciato dalla sala operatoria con modalità offensive e mortificanti, fatto oggetto di contestazioni gravi rivelatesi del tutto ingiustificate e successivamente trasferito presso altra struttura.
Ha inoltre evidenziato che la RAGIONE_SOCIALE era rimasta colpevolmente inerte, nonostante la ripetuta segnalazione delle condotte vessatorie, che avevano cagionato allo NOME un danno, costituito dalla lesione della sua dignità morale, quantificato in complessivi euro 12.000.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
DIRITTO
Con l’unico motivo, il ricorso denuncia violazione del CCNL Comparto Sanità Integrativo del 3.11.2005 – violazione del CCNL dirigenza sanitaria del 5.12.1996 e dell’ 8.6.2000, nonché violazione degli art. 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma primo, nn. 1, 3 e 5 cod. proc. civ.
Lamenta l’erroneità della statuizione relativa alla mancata contestazione della pretesa riguardante le prestazioni di lavoro aggiuntivo, argomentando che la difesa della RAGIONE_SOCIALE, per quanto genericamente, aveva contestato la pretesa riguardante le prestazioni di lavoro aggiuntivo.
Richiama la giurisprudenza di legittimità per sostenere che le prestazioni oltre l’ordinario orario di servizio devono essere autorizzate, condizione questa che il dirigente medico non aveva provato.
Si duole dell’omessa considerazione di un fatto decisivo, costituito dalla necessità di preventivi atti autorizzativi in ordine alla verifica dei presupposti per il ricorso a prestazioni ulteriori rispetto all’ordinario orario di servizio dei soggetti
autorizzati e del monte ore esigibile in vista dello svolgimento dei compiti di istituto.
Evidenzia che lo COGNOME non ha allegato la sussistenza di un formale atto di autorizzazione e che i giudici di merito non hanno esercitato i loro poteri officiosi.
Critica la sentenza impugnata per avere erroneamente valutato le risultanze processuali, valorizzando il carattere astioso del rapporto dello COGNOME con il primario, il quale aveva il diritto-dovere di organizzare il carico di lavoro dei collaboratori in ragione delle esigenze del reparto.
Evidenzia che il CTU aveva escluso il danno alla salute e che non sussiste, dunque, il nesso eziologico tra la condotta del DottCOGNOME e l’asserito danno, né era emersa la prova dell’intento persecutorio del primario.
Deve innanzitutto rilevarsi che non è chiaro se l’originaria pretesa fosse relativa al compenso per lavoro straordinario o a quello per prestazioni aggiuntive , considerato che tanto la sentenza impugnata quanto il ricorso menzionano indifferentemente i due istituti contrattuali, che non sono coincidenti ed hanno presupposti diversi.
Ciò premesso, il ricorso è inammissibile, in quanto nel censurare la valorizzazione del principio di non contestazione da parte dei giudici di merito, non precisa il tenore degli atti difensivi di primo grado, né li localizza.
L’onere della parte di indicare puntualmente il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure nell’ambito dell’affermata necessità di non intendere il principio di autosufficienza del ricorso in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza C.E.D.U. Succi e altri c. Italia del 28.10.2021 (Cass. SU n. 8950/2022).
Inoltre il ricorso, nel lamentare l’erroneità della statuizione relativa alla mancata contestazione della pretesa riguardante le prestazioni di lavoro aggiuntivo e nel sollecitare la rilettura della prova testimoniale e della CTU, tende ad una diversa ricostruzione del fatto.
Va in proposito evidenziato che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
Va rammentato al riguardo il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Peraltro il ricorso denuncia la violazione di disposizioni contrattuali senza neppure precisare (al di là della mancata autorizzazione che, invece, la Corte ha ritenuto provata per effetto della non contestazione) le ragioni per le quali la disciplina indicata in rubrica sarebbe stata violata.
Come chiarito da questa Corte a Sezioni Unite l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratasi antistataria.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per la parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge, da distrarre in favore del procuratore antistatario AVV_NOTAIO.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell ‘Azienda ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 11 gennaio 2024.
La Presidente NOME COGNOME