Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16782 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16782 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31266/2020 R.G. proposto da : NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 78/2020 depositata il 22/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 22.10.20 la corte d’appello di Potenza, in parziale riforma di sentenza 6.11.17 del tribunale di Matera, ha condannato la ditta individuale Di Vincenzo Ottavio a pagare al Laguardia euro 15.825,00 per differenze retributive e per TFR.
Inoltre, la corte territoriale rigettava la domanda del datore di lavoro di risarcimento danni per perdita di commesse per rallentamento della produzione dovuto ad assenza del dipendente.
Avverso la sentenza ricorre il COGNOME per quattro motivi, cui resiste il COGNOME con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce violazione dell’articolo 348 c.p.c. e nullità della sentenza per mancata comparizione dell’appellante incidentale all’udienza ex 437 c.p.c.
Il motivo è infondato: come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (v. Cass n. 13968), la disposizione di cui all’art. 348, secondo comma, cod. proc. civ., applicabile anche alle controversie soggette al rito del lavoro, riguarda esclusivamente il caso di mancata comparizione dell’appellante alla prima udienza, e non trova pertanto applicazione neppure ove il processo abbia avuto trattazione solo sul piano processuale.
Nel caso in esame, invece, la mancata comparizione dell’appellante incidentale -oggi ricorrente -si era verificata non in prima udienza, ma all’ultima, cioè all’udienza del 10.9.2020, ossia quando c’era già stata ampia trattazione della causa con conferimento di CTU e deposito del relativo elaborato.
A ciò si aggiunga che nella vicenda in oggetto l’assenza riguardava il solo appellante incidentale, non comparso ad udienza successiva al deposito di consulenza tecnica: la giurisprudenza (v., tra le tante, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 2816 del 2015) ha ritenuto che, se è l’appellante l’unico soggetto destinatario e fruitore delle disposizioni dettate dall’art. 348 cod. proc. civ., escludenti ogni decadenza a suo danno per l’ipotesi di mancata comparizione all’udienza di discussione, attraverso la facoltà di essere posto in condizione di comparire all’udienza successiva a quella disertata (Cass. 5 maggio 2001, n. 6326; Cass. 6 marzo 2007, n. 5125; Cass. 28 marzo 2007, n. 7586), tale disposizione, però, non attribuisce all’appellante il diritto di impedire, non comparendo, la decisione del gravame nel merito o anche solo in rito, così adottando un comportamento che dà luogo ad una irragionevole dilatazione dei tempi del processo, in contrasto sia con la ratio di accelerazione dell’attività processuale ispiratrice della sostituzione dell’art. 348 medesimo operata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 54 (Cass. 31 maggio 2005, n. 11594), sia con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., per avere la corte territoriale trascurato l’accettazione di paga di fatto della lavoratrice con sottoscrizione delle buste paga quale rinuncia tacita alle differenze.
Il motivo è inammissibile: in realtà si tratta, più propriamente d’una omessa pronuncia su motivo d’appello, veicolabile ai sensi del n. 4 e non del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e comunque la questione della rinuncia è stata implicitamente disattesa dalla Corte
territoriale nel momento in cui ha conferito incarico a CTU sulla base delle paghe di cui al CCNL.
Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 132 n. 4, 156 co.2 e 118 attuazione c.p.c., per assenza di motivazione della sentenza impugnata.
Il motivo è infondato: la sentenza invero reca (anche) una motivazione per relationem alla sentenza di primo grado per i fatti specifici ivi indicati (genericità della domanda risarcitoria e imputabilità del danno lamentato), sicché garantisce il minimo costituzionale prescritto per la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
Il quarto motivo deduce nullità della sentenza impugnata ex art. 360 n. 5 c.p.c., per assenza di motivazione sulla nullità del ricorso per genericità.
Non trattandosi di un fatto, il motivo è del tutto inammissibile. A ciò si aggiunga che, per consolidata giurisprudenza di questa S.C., le eccezioni in rito si intendono implicitamente rigettate quando il giudice abbia pronunciato sul merito della controversia, come avvenuto nel caso in oggetto.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, con distrazione.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 3.500,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali al 15% e accessori come per legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2025.