Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10142 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2675/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente- contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME COGNOME SS, elettivamente domiciliata in Roma in ENNIO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOMECODICE_FISCALE
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1665/2018 depositata il 26/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.L’azienda agricola COGNOME NOME e NOME RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio COGNOME NOME, affinché fosse condannato al pagamento – in suo favore – della complessiva somma di euro 235.391,48, dovuta quale corrispettivo per la cessione del raccolto della paglia; della manodopera resa a mezzo di proprio dipendente per il periodo da agosto a marzo negli anni dal 2001 al 2004; della restituzione di denaro che avrebbe dovuto essere restituita dal COGNOME mediante l’esecuzione di prestazioni lavorative; del risarcimento de danno conseguente alla perdita del raccolto di mais arrecata dal COGNOME.
2.Si costituì NOME COGNOME chiedendo il rigetto delle domande proposte e formulando domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la condanna dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE COGNOME al pagamento della somma di euro 498.231,80 quale saldo del corrispettivo dovutogli per le prestazioni lavorative da lui eseguite in favore dell’azienda dal 2000 al 2005.
3.Il giudice di primo grado, all’esito dell’attività istruttoria, condannò NOME COGNOME al pagamento di euro 35.601,04 (oltre interessi) ritenendo dimostrata l’avvenuta compravendita di paglia e l’avvenuta prestazione di manodopera tramite l’impiego di NOME COGNOME, dipendente dalla Azienda agricola. Vennero respinte le ulteriori domande, tra cui quella riconvenzionale formulata dal COGNOME poiché ‘basata su documenti in parte di
formazione unilaterale’ e in parte non riferibili all’odierna controricorrente.
4.La decisione venne impugnata da NOME COGNOME ed il giudice di secondo grado ne accolse parzialmente l’appello condannandolo al pagamento della diversa ed inferiore somma pari ad euro 24.706,50, oltre interessi legali dal 23.10.2006 al soddisfo. La decisione per il resto venne confermata.
Nel dettaglio si escluse la sussistenza dei presupposti perché potesse considerarsi lecita la prestazione di manodopera rese in suo favore dall’appellata per il tramite del proprio dipendente NOME COGNOME.
Al contempo si respinse la domanda diretta ad ottenere il corrispettivo di euro 498.231,00, per la quale l’appellante depositò ulteriore documentazione riguardante altro giudizio pendente tra lo stesso COGNOME ed altra azienda facente capo al Nodari. Si osservò preliminarmente ‘che la documentazione prodotta in sede di udienza di precisazione delle conclusioni e di comparsa conclusionale, ed afferente ad altro giudizio all’epoca pendente tra il COGNOME e l’Azienda San Paolo s.sRAGIONE_SOCIALE dinanzi a questa Corte (R.G. n. 860/15) è del tutto irrilevante, e ciò a prescindere da ogni valutazione in ordine all’ammissibilità ed alla utilizzabilità nel presente giudizio. Anzi, gli esiti delle deposizioni rese dai testi nel giudizio R.G. n. 860/15, soprattutto con riferimento agli accordi intervenuti tra le parti ed alla individuazione e quantificazione delle lavorazioni effettuate dal COGNOME, dimostrano l’incapacità di quest’ultimo a dare adeguato riscontro probatorio alla documentazione da lui unilateralmente formata ed analoga a quella
versata agli atti del presente giudizio’. In relazione al rigetto delle istanze istruttorie formulate in primo grado si chiarì che non vi fosse un chiaro ed univoco riferimento al soggetto destinatario delle prestazioni, atteso che la ditta COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE entrambe facenti capo a NOME COGNOME, sebbene fossero soggetti distinti erano state ‘indistintamente’ coinvolte e tra lo confuse ‘nell’ambito delle richieste istruttorie e della documentazione depositata dall’appellante.’
5.Avverso la prefata decisione ricorrente NOME COGNOME con sei motivi, resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e NOME proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.
6.In prossimità dell’udienza è stata depositata comunicazione di avvenuto decesso del ricorrente.
7.La società controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente si osserva che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Cass. n. 1757/2016; da ultimo Cass. n. 30855/2024).
Possono ora trattarsi le singole censure.
2.Con il primo motivo si impugna la sentenza ex art. 360 c.p.c., n.4, per mancata valutazione di una prova decisiva; omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione degli artt. 2733 c.c., 2735 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.); violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento alle dichiarazioni rese da COGNOME Franco. Il ricorrente, preliminarmente, evidenzia che la documentazione prodotta nel giudizio di seconde cure non è inutilizzabile poiché intervenuta successivamente all’inizio della causa nonché avente carattere dirimente. Secondo l’istante ‘la Corte territoriale ha palesemente errato laddove ha omesso di considerare una prova tempestivamente e legittimamente offerta dal sig. COGNOME NOME – il verbale dell’udienza del 24.11.2017, cui non viene fatto il benché minimo cenno nella parte motiva della sentenza oggetto della presente impugnativa – ed ha trascurato circostanze assolutamente determinanti e dirimenti al fine del decidere – quella della avvenuta confessione ad opera di controparte delle circostanze legittimanti la domanda riconvenzionale svolta dall’odierno ricorrente in comparsa di costituzione e risposta relativa al primo grado di giudizio.’ Così facendo il giudice di merito avrebbe onerato NOME COGNOME della prova dell’esecuzione delle lavorazioni agro-meccaniche di cui ha richiesto il pagamento.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Aldilà delle norme invocate in rubrica, con la predetta doglianza ci si duole nella sostanza perché il giudice di merito non ha tenuto conto, ai fini del decidere, dei verbali di udienza del 17.10.2017 e del 24.11.2017 relativi al procedimento n. 860 del 2015 da cui risulterebbe, secondo la prospettazione del ricorrente, la sussistenza del credito fatto valere in giudizio. Com’è noto il mancato esame di un documento
può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Dal contenuto della sentenza emerge, in realtà, che il giudice di merito ha valutato le prove, ivi inclusi i documenti depositati in appello, e ne ha espressamente escluso la rilevanza ai fini del decidere. La censura, inoltre, difetta di autosufficienza. Quanto, infatti, alle dichiarazioni rese dal COGNOME, aventi, in tesi, contenuto confessorio, esse non sono localizzate e sono riportate in modo assolutamente parziale tanto più che gli ulteriori passi trascritti dal controricorrente, di contenuto pianamente contrario a qualsivoglia riconoscimento della pretesa in questa sede fatta valere (‘ nego che l’agenzia agricola COGNOME abbia effettuato le lavorazioni indicate nei documenti rammostratimi’ aggiungendo che il plico rappresenta ‘ un insieme di falsità’ specificando che l’azienda agricola COGNOME aveva eseguito ‘parzialmente delle lavorazioni’ ma per un’altra azienda). ll ricorso per cassazione, confezionato mediante la estrapolazione di parti di atti dei pregressi gradi di giudizio e dei documenti ivi prodotti e la giustapposizione degli stessi con mere proposizioni di collegamento, è inammissibile per violazione del criterio di autosufficienza, in quanto detta modalità grafica viola il precetto dell’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., che impone l’esposizione sommaria dei fatti di causa, e grava la Corte di un
compito che le è istituzionalmente estraneo, impedendo l’agevole comprensione della questione controversa, nonché rimettendo alla discrezionale valutazione della stessa la verifica del contenuto degli atti del processo; né l’indicata forma espositiva può essere giustificata dall’esigenza di consentire la verifica degli atti, poiché questa attiene ad una fase successiva e può essere assolta attraverso l’allegazione, di seguito al ricorso, di copia degli atti ritenuti strumentali allo scopo. Sicché in assenza, nella specie, di una integrale riproduzione delle dichiarazioni sulle quali si fonda la doglianza il motivo si palesa, sotto questo profilo inammissibile. Deve, ancora, osservarsi che le dichiarazioni rese dal COGNOME, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non hanno, né possono avere, alcun valore confessorio. La confessione è, infatti, la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. Nella specie, le dichiarazioni di cui si discorre sono state rese dal COGNOME non in qualità di legale rappresentante della società odierna controricorrente, ma quale legale rappresentante di altra e diversa società a lui facente capo. Pertanto deve escludersi che le stesse possano avere il valore attribuitogli dal ricorrente. L’ultimo profilo della doglianza è assorbito.
4.Con il secondo motivo si denuncia ‘errore processuale per mancata valutazione da parte del giudice del merito di una prova decisiva offerta (in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c.) – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento alla prova testimoniale del sig. COGNOME NOME. Il motivo è infondato. Con
la prefata censura, aldilà delle norme invocate come violate, ci si duole del fatto che il giudice di merito avrebbe preso in considerazione la sola deposizione del teste NOME COGNOME senza considerare le dichiarazioni rese dal COGNOME contenute nei verbali depositati. Ancora una volta il giudice di merito avrebbe errato, trascurando le dichiarazioni confessorie rese dal COGNOME e dal COGNOME, nel ritenere che NOME COGNOME non avesse fornito adeguato riscontro probatorio alla documentazione da lui unilateralmente formata posto che l’indicato teste avrebbe confermato tutta la documentazione in parola (‘ricordo che negli anni 2000/2005 facevamo tutte le lavorazioni sui fondi indicati nel documento 4 dalla aratura alla erpicatura e alla raccolta’).
Il motivo è infondato. Il giudice di merito ha espressamente dato atto di aver preso cognizione della documentazione prodotta dal COGNOME e, valutandola secondo il suo prudente apprezzamento, ha così affermato che ‘la documentazione prodotta in sede di udienza per la precisazione delle conclusioni e di comparsa conclusionale, ed afferente ad altro giudizio all’epoca pendente tra il COGNOME e l’Azienda San Paolo s.s. dinanzi a questa Corte (R.G. n. 860/15) è del tutto irrilevante, e ciò a prescindere da ogni valutazione in ordine alla ammissibilità ed alla utilizzabilità nel presente giudizio. Anzi gli esiti delle deposizioni rese dai testi nel giudizio R.G. n. 860/15, soprattutto con riferimento agli accordi intervenuti tra le parti ed alla individuazione e quantificazione delle lavorazioni effettuate dal COGNOME, dimostrano l’incapacità di quest’ultimo a dare adeguato riscontro probatorio alla documentazione da lui unilateralmente formata ed analoga a quella
versata agli atti del presente giudizio’. Sul ‘punto il teste COGNOME NOME, contabile di COGNOME, ha confermato di aver elaborato la contabilità in base alle partite fornitegli dall’appellante, quanto alle lavorazioni ed al luogo in cui le aveva eseguite, e quanto al valore, sulle tabelle delle lavorazioni agricole per contoterzisti disposte dall’AIMA.’ Il ricorrente insiste nel contrapporre al ragionamento della corte alcune circostanziate affermazioni del teste COGNOME. Deve osservarsi al riguardo che l’attività di selezione di un dato informativo tra tutti i dati informativi astrattamente desumibili da un elemento o da un mezzo di prova, in quanto espressione del prudente apprezzamento del giudice di merito, è attività riconducibile in via esclusiva al sindacato del giudice di merito ed è estranea al sindacato della Corte di legittimità, con la conseguenza che non è denunciabile come vizio della decisione di merito. Parimenti indubbio è che la parte interessata non può più, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, ridiscutere in sede di legittimità le modalità attraverso le quali il giudice di merito ha valutato, dopo averlo selezionato, il materiale probatorio ai fini della ricostruzione dei fatti di causa. Risulta evidente quindi che attraverso la lamentata violazione di legge, in realtà si è al cospetto del tentativo di spingere questa Corte ad effettuare una valutazione del materiale probatorio, e dunque una valutazione di merito inammissibile in questa sede. Peraltro il motivo, alla pari del precedente, difetta di autosufficienza poiché non solo non è adeguatamente localizzato, ma riporta integralmente la deposizione indicata ma non consente di appurare quanto dallo stesso ricorrente meramente affermato e cioè che il teste abbia confermato (ma non vi è certezza appunto) ‘tutte le
lavorazioni eseguite dal sig. COGNOME NOME nell’interesse di entrambe le società di cui il sig. COGNOME NOME è legale rappresentate, ovverosia la società RAGIONE_SOCIALE, ma soprattutto, e per quel che maggiormente interessa ai fini del presente giudizio, la RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e NOME‘. Peraltro, quanto all’ammissibilità della documentazione prodotta, ove le circostanze di cui ai verbali prodotti, nella prospettazione del ricorrente, avessero avuto rilevanza nel giudizio avrebbe dovuto formulare le relative istanze istruttorie in quel giudizio e non limitarsi a produrre i verbali contenenti le prove testimoniali assunte in altro procedimento.
5.Con il terzo motivo si denuncia ‘errore processuale per mancata valutazione del giudice di merito di una prova decisiva offerta (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.) – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) – con riferimento alla prova testimoniale del sig. COGNOME NOME. Il giudice di merito avrebbe tralasciato alcune dichiarazioni rese dal predetto teste che confermerebbero l’esecuzione di lavorazioni agro meccaniche eseguite dal COGNOME e ciò ‘a maggior ragione a fronte della confessione resa da controparte e di quanto affermato altresì dall’ulteriore teste, sig. COGNOME NOME.’ In particolare il teste ha affermato di riconoscere la documentazione contabile di cui a. doc. 4 contenente la contabilità delle lavorazioni effettuate per COGNOME e che quest’ultimo gli aveva riferito di non aver effettuato una corrispondente contabilità perché ‘comunque si rapportava a quanto
segnato dal sig. COGNOME Il motivo è infondato ed inammissibile. Valgono le medesime osservazioni effettuate in relazione ai motivi precedenti.
Con il quarto motivo di denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2225 c.c. e/o dell’art. 1657 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art.2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.). Ritenuta acclarata la debenza delle somme per le lavorazioni agro meccaniche, il ricorrente censura la sentenza per non aver provveduto a determinare il corrispettivo a lui spettante con criterio equitativo. Il motivo è assorbito dal rigetto del primo, del secondo, del terzo e del quarto cui è connesso.
7.Con la quinta censura di denuncia la mancata valutazione di una prova decisiva offerta (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.) e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.). Con la predetta doglianza si impugna la sentenza per non aver accolto le istanze istruttorie formulate in primo grado perché diversamente da quanto ritenuto dal giudice sarebbero pertinenti alla causa. Il ricorrente osserva come tutti i capitoli di prova non ammessi consistessero nella richiesta di conferma al teste circa la veridicità delle lavorazioni svolte dal COGNOME a favore della azienda agricola COGNOME NOME e NOME e del sig. COGNOME NOME così come indicate nei conti analitici redatti per conto del COGNOME dal sig. COGNOME NOME e prodotti nel corso del giudizio di primo grado. Si specifica che il riferimento nei capitoli di prova al nominativo COGNOME NOME era dovuto esclusivamente all’individuazione della persona fisica,
referente della società resistente, con cui il ricorrente si era sempre rapportato.
7.1. Il motivo è fondato. Deve preliminarmente osservarsi che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. n. 16214 del 2019). Il giudice di merito ha respinto le istanze istruttorie sul presupposto che nelle stesse non vi fosse ‘un chiaro ed univoco riferimento al soggetto destinatario delle prestazioni, ove si consideri che l’appellata (l’Azienda agricola COGNOME Franco e NOME SCCOGNOME) è soggetto diverso rispetto alla ditta individuale COGNOME RAGIONE_SOCIALE e rispetto alla società RAGIONE_SOCIALE (di cui lo stesso COGNOME NOME è socio e legale rappresentante), soggetti che, viceversa vengono indistintamente coinvolti e tra loro confusi nell’ambito delle richieste istruttorie e della documentazione depositata dall’appellante’. Nel far ciò, tuttavia, la Corte ha errato. Difatti, dalla stessa lettura dei capitoli di prova emerge che essi fossero circostanziati, venendo individuato il soggetto nei cui confronti le lavorazioni erano state effettuate ma anche l’anno di riferimento, data, tipo, luogo così come risultanti dalla documentazione allegata alla comparsa di costituzione del COGNOME. Peraltro, va rimarcato che il giudice, ex
art. 253 c.p.c., ha il potere di rivolgere d’ufficio, o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti intorno ai quali il testimone è chiamato a deporre. Potere che ben avrebbe potuto essere esercitato. Ha, quindi, errato la Corte nel respingere la domanda del COGNOME, tesa ad ottenere il pagamento dei compensi per le lavorazioni effettuate sui terreni della odierna controricorrente, respingendo le richieste istruttorie formulate al fine di provare la spettanza delle somme richieste. Scopo della prova testimoniale era proprio di assicurare che quei documenti allegati alla comparsa, potessero – grazie all’esame dei loro autori “acquisire dignità e valore di prova” sulla quale allora il giudice di merito avrebbe dovuto esprimersi esplicitamente o implicitamente. La decisione, dunque, di escludere siffatta prova testimoniale sull’errato presupposto che esse non fossero univocamente riferibili alla azienda agricola COGNOME NOME e NOME RAGIONE_SOCIALE – inficia di nullità la sentenza impugnata, se è vero che “la motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il «minimo costituzionale», qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova” (Cass. Sez. 3, ord. 9 novembre 2017, n. 26538, Rv. 646837-01; cfr. anche Cass. Sez. 3, sent. 22 giugno 2016, n. 12884, Rv. 640419-01).
8.Con l’ultimo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 244 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo. Il giudice di merito avrebbe omesso di effettuare qualsivoglia valutazione delle deposizioni testimoniali rese sui fatti di causa rese nel diverso procedimento n.
860 del 2015 ne quale i testi COGNOME NOME e COGNOME NOME. Si censura ‘l’assoluta assenza nella motivazione impugnata di qualsivoglia vaglio critico anche nel loro complesso delle deposizioni testimoniali rese nell’ambito del procedimento R.g. N. 860/2015.’ Il motivo è assorbito dal rigetto dei primi tre motivi, ai quali è intimamente connesso e per il quale valgono peraltro le medesime osservazioni.
9.Con il primo ed unico motivo del ricorso incidentale condizionato si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c. ) violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e 1277 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento all’avvenuto pagamento da parte dell’azienda agricola COGNOME NOME e NOME ss della somma di euro 95.630, 98. Il ricorso incidentale condizionato è inammissibile per difetto di interesse. Con il predetto strumento impugnatorio la parte vittoriosa ha, infatti, sollevato una censura (avente ad oggetto il rigetto della ‘richiesta di riconoscimento in proprio favore della somma di euro 95.630,98, proposta subordinatamente all’eventuale riconoscimento della domanda riconvenzionale formulata dal COGNOME, in quanto assorbita dal rigetto di quest’ultima) che non è diretta contro una statuizione della sentenza di merito, bensì ha ad oggetto una questione sulle quali il giudice d’appello non si è pronunciato, ritenendola assorbita, atteso che tale questione, in caso di accoglimento del ricorso principale ben può essere riproposta davanti al giudice di rinvio.
10.In conclusione deve essere accolto il quinto motivo del ricorso principale, respinti i restanti e dichiarato inammissibile il
ricorso incidentale, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, che deciderà tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
p.q.m.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il quinto motivo del ricorso principale, rigettati i restanti; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda