Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2480 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 2480 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5129/2024 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso gli uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4490/2023, depositata il 18.12.2023, NRG 3352/2022;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME iscritta alle graduatorie scolastiche con titolo abilitante dal 2002 e ripetutamente assunta nel corso degli anni per incarichi di docenza a tempo determinato, nel 2015 è stata cancellata da tali graduatorie sul presupposto che fosse priva dell’abilitazione all’insegnamento, perché la stessa era stata in realtà esclusa dalla graduatoria del procedimento abilitante cui aveva partecipato nel 2001 e non aveva mai conseguito quel titolo. Con provvedimento ex art. 700 c.p.c. del Tribunale di Roma, poi posto in attuazione ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. e previa declaratoria di inammissibilità del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. proposto contro l’ordinanza resa in sede di attuazione, è stato ordinato al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (ora Ministero dell’Istruzione e del merito) di reinserire la COGNOME nelle graduatorie e la stessa è stata poi assunta a tempo indeterminato a far data dal 1.9.2017.
Successivamente, in data 23.10.2017, il Ministero ha trasmesso alla docente provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro per l’abilitazione non essere mai stata da lei conseguita all’insegnamento, di cui avrebbe falsamente attestato il possesso.
In esito a ciò, la COGNOME ha promosso un primo giudizio -cui pertiene il presente ricorso per cassazione – finalizzato a contestare la risoluzione del rapporto di lavoro ed un secondo giudizio per la condanna del Ministero al risarcimento del danno per i tempi intercorsi prima dell’adempimento da parte del Ministero agli ordini di reiscrizione nelle graduatorie, oltre al pagamento di alcune retribuzioni non corrisposte.
Il presente giudizio di legittimità ha dunque per oggetto la sentenza della Corte d’Appello di Roma con la quale, in sede di rinvio dopo una fase presso questa SRAGIONE_SOCIALEC. con cui era stata annullata
per ragioni processuali la precedente pronuncia della Corte territoriale, le domande di accertamento dell’illegittimità del recesso datoriale sono state disattese, in riforma di sentenza di primo grado del Tribunale di Roma favorevole alla lavoratrice.
La Corte d’Appello ha in proposito ritenuto l’irrilevanza dell’assoluzione della COGNOME per il reato di cui all’art. 483 c.p., in quanto la risoluzione del rapporto di lavoro non si era fondata sul fatto penalmente rilevante dalla falsità in dichiarazioni, ma sul dato obiettivo del mancato conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento e del resto la sentenza penale non conteneva un accertamento sull’esistenza del titolo abilitante, ma si era fondata solo sulla diversa considerazione che l’imputata, alla data della dichiarazione, aveva ottenuto dall’autorità giudiziaria due pronunce che le riconoscevano il titolo di abilitazione all’insegnamento.
Quanto alle vicende riguardanti i giudizi civili, la Corte d’Appello sosteneva che le tutele cautelari concretavano misure di salvaguardia dell’effetto esecutivo che da esse poteva derivare, ma non generavano un effetto dichiarativo o costitutivo utile ad esser speso in altro giudizio, come attestato dal disposto dell’art. 669 octies c.p.c., realizzandosi solo un effetto di autorità delle pronunce, ma non di giudicato.
L’oggetto del contendere nel presente giudizio, secondo la Corte d’Appello, era peraltro diverso da quello coinvolto nel procedimento cautelare, che aveva avuto riguardo all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, mentre qui si discuteva della validità o meno del contratto a tempo indeterminato poi concluso.
La Corte d’Appello riteneva in proposito provato che l’abilitazione non fosse stata mai conseguita, perché la COGNOME, pur positivamente valutata, era risultata priva del numero di giorni di pregresso insegnamento; il contratto era stato dunque stipulato in violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione, sicché non potevano
richiamarsi le norme sull’autotutela della P.A. tutto risolvendosi nella presa d’atto della nullità del rapporto.
Neanche si poteva affermare -precisava la Corte di merito – la ricorrenza di un incolpevole affidamento della COGNOME, in quanto la sua esclusione dall’abilitazione risultava espressamente indicata nella graduatoria finale della procedura abilitante, sicché le era ben noto il mancato conseguimento del titolo.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti da controricorso del Ministero.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso per cassazione, come poi confermato in udienza pubblica.
È in atti memoria della ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 669 -octies, co. 6 e 10, c.p.c. e dell’art. 669 -decies, co. 1, c.p.c., in combinato disposto con l’art. 115, co. 1, c.p.c., l’art. 418 c.p.c., l’art. 324 c.p.c., l’art. 2909 c.c. e l’art. 55 -quater, co. 1, d. lgs. n. 165 del 2001
Il motivo è argomentando sostenendo, da un primo punto di vista, che la mancata proposizione di domanda riconvenzionale da parte del Ministero, nell’ambito dei due giudizi di merito intercorsi tra le parti, finalizzata alla revoca o modifica delle ordinanze cautelari, renderebbe, anche per il principio di non contestazione, confermata la loro legittimità, anche sul piano del giudicato formale e sostanziale, sicché esse non potrebbero più essere disattese ed aveva errato la Corte d’Appello nel decidere in difformità.
Da altro punto di vista il motivo richiama la sentenza di secondo grado resa nell’altro giudizio di merito intercorrente tra le parti, nel cui contesto era stato riconosciuto, sulla base dei provvedimenti
resi nella fase cautelari, non solo il diritto della ricorrente all’inserimento nelle graduatorie, ma anche all’assunzione, senza preclusioni.
Infine, la censura ribadisce come i comportamenti del Ministero avessero indotto nella docente il legittimo affidamento di avere conseguito una valida ed efficacia abilitazione.
Il secondo motivo è rubricato come violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 188 del 2021, dell’art. 115 -bis c.p.p., dell’art. 653, co. 1 -bis, c.p.p., dell’art. 268 -bis c.p.p., dell’art. 55 -quater, co. 1, lett. d) del d. lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966.
La censura, riprendendo anche alcuni passaggi già contenuti nel primo motivo, sostiene che l’assoluzione resa in sede penale della COGNOME dal reato di falso ideologico perché il fatto non sussiste avrebbe realizzato un accertamento giudiziale insindacabile sull’esistenza dell’abilitazione, da cui la Corte d’Appello non avrebbe potuto discostarsi.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente, secondo l’ordine logico delle questioni sollecitate.
In punto di fatto è pacifico che NOME COGNOME ottenne nel 2016 provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. del Tribunale di Roma in forza del quale, sul presupposto che fosse stata erroneamente disconosciuta l’esistenza del titolo abilitativo, fu disposto il reinserimento della docente nelle graduatorie di quella provincia.
Nel 2017, il medesimo Tribunale, adito ai sensi dell’art. 669 -duodecies c.p.c. per l’attuazione di quel provvedimento cautelare, dispose altresì per la stipula di un contratto di lavoro senza preclusioni e condizioni.
Risulta poi un successivo reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., introdotto dal Ministero, e che è stato dichiarato inammissibile, a quanto afferma il controricorrente per avere riguardato il provvedimento attuativo, ritenuto non reclamabile.
4. Sempre in fatto, è accaduto che il Ministero ha stipulato il 1.9.2017 il contratto a tempo indeterminato con la COGNOME, salvo poi, il 23.10.2017, disporne la risoluzione perché la docente non avrebbe conseguito l’abilitazione all’insegnamento.
Da qui la presente azione giudiziale con la quale, sul presupposto della violazione dei provvedimenti resi in sede cautelare, è stato contestato il recesso datoriale e la docente ha insistito per il risarcimento del danno.
5. Ciò posto, si rileva che, in esito alle modifiche apportate al sistema cautelare dal d.l. n. 35 del 2005, conv. con mod. in legge n. 80 del 2005, in caso di provvedimento d’urgenza emesso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. idoneo « ad anticipare gli effetti della sentenza di merito », non si applica il primo comma dell’art. 669 novies c.p.c. e dunque non vi è un termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito (art. 669 octies, co. 6, c.p.c.).
La norma, sempre al comma 6, ultima parte, prevede che ciascuna parte « può » iniziare il giudizio di merito ed al comma 9 stabilisce che « l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo ».
La Corte territoriale ha operato una corretta lettura del sistema ove ha fatto leva sul riconoscimento soltanto di una « autorità » del provvedimento cautelare discendente dalla sua emissione, senza vincoli di giudicato.
Di converso, è sterile l’insistenza di parte ricorrente rispetto al fatto che il Ministero non abbia proposto domanda, eventualmente riconvenzionale, finalizzata alla modifica o conferma del provvedimento cautelare.
L’effetto anticipatorio proprio del provvedimento ai sensi dell’art. 700 c.p.c. era l’iscrizione nelle graduatorie, con quanto ne poteva conseguire anche in termini di assunzione.
Il ‘merito’ di un tale processo, proprio per lo svincolarsi di esso dal provvedimento cautelare e la proponibilità in ogni tempo è
costituito da un qualsiasi giudizio tra le medesime parti del procedimento cautelare, in cui vengano in discussione i presupposti giuridici sostanziali dei diritti cautelati con il provvedimento d’urgenza ed i suoi effetti.
Se ad iniziare un tale giudizio, per le evenienze del caso concreto, sia, come nel caso di specie, la parte beneficiaria del provvedimento d’urgenza, la quale propugni il mantenimento di quegli effetti, è indubbio che si realizzi la pendenza di un processo di ‘merito’ i cui accertamenti sono destinati a prevalere su quanto anticipatamente stabilito in sede cautelare e ciò è lineare conseguenza dei rapporti tra cognizione cautelare e di merito.
Da questo punto di vista non può essere condiviso l’assunto della Corte territoriale secondo cui la presente controversia sarebbe da considerare diversa da quella i cui effetti sarebbe stati anticipati dal provvedimento cautelare e dalle sue integrazioni in sede di attuazione.
In realtà l’oggetto del contendere è sempre il medesimo e, originando dal diritto all’iscrizione nelle graduatorie, esso si proietta su quanto a ciò è consequenziale e cioè il diritto alla stipula del contratto di lavoro a tempo indeterminato di cui qui di discute.
La precisazione è peraltro ininfluente e la sentenza della Corte territoriale è comunque nel suo complesso da ritenere corretta sul piano processuale e quanto alle valutazioni ultime degli effetti della pronuncia di merito.
6. D’altra parte, oggetto del contendere in questo processo, come si desume dalle conclusioni di primo grado riportate anche nel ricorso per cassazione, è la sussistenza o meno dei presupposti di legittima prosecuzione del rapporto di lavoro in ragione della validità o meno del contratto; sicché, l’accertamento invece della nullità di quest’ultimo non può che avere l’effetto di comportare il contrario accertamento dell’illegittimità di una prosecuzione del rapporto stesso.
È al contempo sterile interrogarsi sull’ipotetica illiceità in sé del sostanziale rifiuto del Ministero di prestare ulteriore osservanza all’ordine cautelare perché, sul piano strettamente civilistico, l’accertamento dell’assenza del titolo legittimante e della nullità del contratto non possono che avere la sostanza dell’accertamento altresì dell’insussistenza di un qualche diritto alla prosecuzione del rapporto.
Escluso quindi che i provvedimenti cautelari potessero avere un effetto vincolante sull’accertamento di ‘merito’, la Corte d’Appello ha poi accertato con esattezza l’intervenuta esclusione della Ferri dalla procedura abilitante del 2001/2002, per carenza del requisito del numero minimo di giorni di insegnamento e conseguente esclusione dall’elenco degli abilitati, la cui legittimità, alla stregua delle disposizioni dettate dall’Ordinanza ministeriale di riferimento non erano -e non sono tuttora -contestate dalla ricorrente.
8. Il primo motivo di ricorso sostiene peraltro che la Corte d’Appello avrebbe trascurato la pronuncia da essa stessa resa nell’altro giudizio tra le parti ed avente ad oggetto, per quanto si dice nel ricorso per cassazione, il risarcimento del danno per il ritardo nell’attuazione nell’anno scolastico 2016/2017 delle decisioni cautelari e le retribuzioni dal 1.9.2017 al 23.10.2017.
In tale sentenza, secondo lo stralcio riportato nel motivo, i diritti della ricorrente sono stati riconosciuti, sul presupposto del derivare dai provvedimenti cautelari in sequenza non solo il diritto all’inserimento nelle graduatorie, ma anche il diritto all’assunzione.
8.1 In proposito, è pacifico che quella sentenza non sia passata in giudicato e dunque il tema è semmai quello della relazione tra quanto da decidere in questa causa e l’autorità di quanto deciso nell’altra, ai sensi e per gli effetti dell’art. 337, co. 2, c.p.c.
Sennonché, non solo il motivo non fa cenno a tale tematica e non contiene un richiamo a tale norma processuale, ma neanche si precisa se quella pronuncia fosse stata prodotta presso la Corte
territoriale, sicché non si vede come si possa parlare di un error in procedendo o in iudicando in mancanza di certezza su tale profilo essenziale.
D’altra parte, l’esistenza di una pronuncia esecutiva su profili comuni non è in sé ragione di sospensione necessaria del processo, riconoscendosi da questa S.C. la possibilità per il giudice che debba decidere la propria causa di provvedere in senso difforme, se ritenga sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, che tale sentenza possa essere riformata o cassata (Cass. 23 marzo 2022, n. 9470; Cass., S.U., 29 luglio 2021, n. 21763, in motivazione).
Su tali presupposti ed essendo evidente che il ragionamento svolto dalla Corte d’Appello e qui confermato sul piano giuridico, è tale da superare la portata decisiva -almeno rispetto a questa causa -dei provvedimenti cautelari, va da sé che lo spunto difensivo di cui al profilo qui in esame vada comunque disatteso.
Vi è quindi da esaminare la questione sull’asserita preclusione proveniente dalla pronuncia penale.
In fatto è accaduto che NOME COGNOME dopo l’assunzione del 1.9.2017 ha presentato la prescritta autocertificazione dei requisiti necessari per l’instaurazione del rapporto di ruolo e che il Ministero, ritenendo la falsità di essa nella parte in cui attestava l’esistenza dell’abilitazione, ha sporto denuncia penale.
In sede penale, la COGNOME è stata tuttavia assolta dal reato di falso ideologico perché il fatto non sussiste, sul presupposto che « nella dichiarazione di cui si assume la falsità non vi fu alcuna immutatio veri , in quanto alla data in cui detta dichiarazione venne sottoscritta e presentata dalla COGNOME la stessa aveva ottenuto dall’autorità giudiziaria ben due pronunce che le riconoscevano il titolo di abilitazione conseguito nel 2022, dichiarando illegittima la sua esclusione della graduatorie ad esaurimento ».
9.1 Il motivo è infondato.
9.2 Non è intanto pertinente il richiamo all’art. 653, co. 1 -bis, c.p.p., perché quella norma riguarda gli effetti della sentenza penale nel procedimento disciplinare, quale non è la presenta causa, che riguarda la validità del contratto sotto il profilo dei requisiti che legittimavano alla sua conclusione.
Non trattandosi di un mero giudizio di danno -per tale intendendosi quello in cui il fatto di rilevanza penale sia addotto come ragione di risarcimento -non vi è luogo a richiamare l’art. 652 c.p.p.
La norma di riferimento è semmai l’art. 654 c.p.p. che riguarda « l’efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi», secondo cui « nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile (…) di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa ».
Di tale fattispecie mancano però due elementi essenziali, ovverosia la pronuncia in esito a dibattimento (in quanto l’assoluzione è stata pronunciata in rito c.d. abbreviato) e la partecipazione del Ministero al processo penale, che non risulta.
È quindi comunque da escludere qualsivoglia effetto vincolante di giudicato.
Quella pronuncia è dunque liberamente valutabile dal giudice civile come elemento istruttorio.
In proposito, la Corte d’Appello ha rilevato che la cessazione del rapporto di lavoro è stata riconnessa non al falso dichiarativo, ma
all’insussistenza del titolo abilitante e che il reato è stato escluso non per il positivo accertamento dell’esistenza di quel titolo, ma per esservi state, all’epoca, due pronunce del giudice civile che riconoscevano l’esistenza di quel titolo.
Il superamento degli accertamenti cautelari sulla base di quanto verificato nel giudizio di merito e l’assoluta evidenza per cui non può certamente essere una pronuncia assolutoria del giudice penale a portare ad esistenza un’abilitazione che in realtà non è stata conseguita, sono valutazioni del tutto plausibili e dunque in alcun modo inficiate dal richiamo di una decisione tra l’altro esplicitamente riferita allo stato di fatto esistente « alla data » della dichiarazione e poi superato dai successivi accertamenti.
9.3 Nessun rilievo hanno infine le altre norme citate nella rubrica del secondo motivo, riguardanti le regola sulla c.d. presunzione di innocenza, che qui non viene in evidenza non essendo in discussione una responsabilità penale, ma solo il tema dell’esistenza, a fini civilistici ed amministrativi, dell’abilitazione originaria.
10. Del tutto generico è infine il richiamo nei motivi al tema dell’affidamento, rispetto al quale tra l’altro, è in questa sede insindacabile il non implausibile accertamento di merito -operato dalla Corte territoriale -secondo cui l’ « espressa indicazione dell’esclusione » della COGNOME dalla graduatoria finale del procedimento per l’abilitazione è ostativa ad ogni favorevole considerazione in tal senso della posizione della ricorrente.
11. Il ricorso va quindi complessivamente disatteso e le spese del grado restano regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che
liquida in euro 3.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro