Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23067 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23067 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20896/2020 R.G. proposto da :
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI CALTANISSETTA n. 219/2020 depositata il 23/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Associazione RAGIONE_SOCIALE ha chiesto ottenuto decreto ingiuntivo di pagamento per crediti derivanti dall’integrazione delle rette mensili per le prestazioni in regime di internato e semi -internato in favore di assistiti in condizioni gravi.
La ASP ha proposto opposizione che è stata respinta.
L’Azienda ha quindi proposto appello che è stato anch’esso respinto, sul rilievo che il rapporto tra le parti è regolato non solo dalla convenzione, ma anche dal decreto dell’Assessore alla sanità della Regione Sicilia n. 362/2000, seguito da altri decreti conformi sul punto di interesse; in particolare, questo decreto assessoriale, secondo il giudice di secondo grado, dà per accertato che nelle strutture convenzionate risulta assistito un numero di soggetti gravi superiore al 50% dei posti convenzionati, e di conseguenza incrementa il numero dei posti letto fino al 50% per ogni centro convenzionato; incrementa altresì nella misura del 30% la retta base « per i maggiori oneri derivanti da eventuali incrementi di personale di assistenza e comunque riferiti ad assistiti in condizione di particolare gravità » Secondo la Corte di merito, questo incremento dei posti letto sulla base dell’accertamento di cui sopra ha fatto sì che l’incremento della retta fosse automatico anche a prescindere dalla utilizzazione del termine ‘eventuali’, e ciò considerando che secondo la convenzione gli importi devono essere corrisposti entro 90 giorni dalla presentazione dei rendiconti, e sono aggiornati secondo le previsioni dei decreti assessoriali; il decreto a sua volta prevede che le aziende corrisponderanno un importo predefinito per singola prestazione ai centri di riabilitazione, purché queste siano in possesso dei requisiti previsti dalla normativa, rispettino il contratto
collettivo nazionale e le prestazioni per singola tipologia siano effettuate nel limite massimo stabilito dalle rispettive convenzioni, tutti fatti rimasti non contestati.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ASP affidandosi a due motivi; si è costituita resistendo la Associazione casa famiglia NOME e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e l’errata interpretazione delle convenzioni e dei relativi decreti assessoriali; la violazione dell’art. 12 delle preleggi e dell’art. 116 c.p.c. La ricorrente deduce che una più attenta lettura delle disposizioni dei decreti assessoriali e delle pattuizioni contrattuali porta a ritenere che: a) il diritto al pagamento della maggiorazione non è automatico e invece deve intendersi subordinato alla trasmissione dei rendiconti, alla presentazione delle fatture mensili, all’ordine di presentazione anticipata delle verifiche, alla regolarità dell’iscrizione all’albo, al possesso dei requisiti relativi alla rideterminazione degli standard di personale, e infine al non superamento del limite del budget ; b) la circostanza che presso i centri in questione fosse in quel momento presente un numero di assistiti gravi superiore al 50% dei posti convenzionati non è circostanza provata ex lege .
2. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dello art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in quanto il decreto assessoriale in nessuna sua disposizione si esprime nel senso di imporre normativamente alle aziende di corrispondere a priori la maggiorazione della retta, ma le autorizza soltanto a pagare l’ulteriore incremento delle tariffe per ‘eventuali’ incrementi del personale di assistenza, tenuto conto delle spese di funzionamento del personale; la predetta integrazione della retta base
mensile trova ragione d’essere solo ed esclusivamente nella sussistenza di maggiori oneri connessi all’incremento di personale, che andrebbe a dimostrato.
-I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono inammissibili.
Si tratta di censure collegate che fanno valere entrambe la erronea interpretazione del contenuto del decreto assessoriale, sotto profili diversi.
3.1. -Quanto alla censura di omesso esame di fatto decisivo, la non ammissibilità si apprezza in primo luogo perché si tratta di cd. doppia conforme (v. ex multis Cass. n. 5947 del 28/02/2023), e in ogni caso non viene dedotto un fatto storico che il giudice di merito non avrebbe esaminato, bensì pur sempre un errore interpretativo del contenuto del decreto assessoriale. La censura di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (Cass. n. 30878 del 2023).
-Con il ricorso in definitiva si censura la sentenza per non avere dato rilievo al criterio letterale di interpretazione del decreto assessoriale, in quanto in esso si dice esplicitamente che l’integrazione è disposta in ragione del maggiori oneri derivanti da «even-
tuali incrementi di personale di assistenza», e quindi -secondo la deduzione della ricorrente -a condizione che siano specificamente certificati i maggiori oneri.
4.1. -Le censure tuttavia non si confrontano adeguatamente con la ragione decisoria, perché la Corte d’appello ha spiegato per quale ragione la parola ‘eventuali’ inserita nel testo del decreto non sia decisiva nel caso concreto al fine di negare il diritto alla maggiorazione; ciò in quanto: a) nel testo del decreto si dà per accertato che nei centri di riabilitazione i ricoverati sono in misura maggiore del 50% dei posti convenzionati, e la censura della ricorrente sul punto risulta estremamente generica, in quanto si limita semplicemente a ribadire che la maggiorazione non può essere automatica, ma soltanto subordinata a precise condizioni espressamente previste nella Convenzione; b) il giudice del merito ha dato atto che la convenzione di cui il decreto assessoriale è integrativo prevede che i corrispettivi vengano erogati se sono soddisfatte le condizioni di cui parla anche la parte ricorrente (presentazione del rendiconti, che la struttura sia in possesso dei requisiti previsti dalla normativa di riferimento sulla determinazione degli standard del personale, che rispettino il contratto collettivo di lavoro e che le prestazioni siano effettuate nel limite massimo stabilite dalle convenzioni) e che questi sono tutti fatti non contestati, mentre non è richiesto nessun altro accertamento.
4.2. -A fronte di ciò, parte ricorrente non specifica come la struttura convenzionata avrebbe dovuto certificare i maggiori oneri dovuti all’incremento del personale, se non tramite la presentazione dei rendiconti e l’essere in possesso di quei requisiti previsti a convenzione (pag. 7 sentenza impugnata), che il giudice del merito ha accertato non essere stati specificamente contestati.
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi ed euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/05/2025.