Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2611 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2611 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15590/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO Di Lecce SEZ.DIST. DI TARANTO n. 130/2017 depositata il 13/04/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con decreto ingiuntivo emesso da Tribunale di Taranto, al RAGIONE_SOCIALE veniva intimato il pagamento della somma
di € . 3.875,72 (oltre interessi, accessori e spese legali) in favore di NOME COGNOME a titolo di compenso per l’attività da quest’ultima svolta nella sua qualità di legale, su mandato del RAGIONE_SOCIALE, in una controversia amministrativa dinanzi al T.A.R. Calabria. Attività defensionale effettuata, peraltro, anche in favore di RAGIONE_SOCIALE e altre 18 strutture associate.
1.1. Il decreto ingiuntivo veniva opposto dal RAGIONE_SOCIALE e il Tribunale di Taranto, in parziale accoglimento dell’opposizione, applicava i minimi tariffari nonché le maggiorazioni di cui agli artt. 5 e 6 D.M. n. 127/2004, riconoscendo al legale istante la somma di € . 945,38; rigettava la domanda riconvenzionale ex art. 96 cod. proc. civ. Impugnava la sentenza del giudice di prime cure il RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Corte d’Appello di Lecce Sez. Dist. di Taranto.
C on sentenza n. 130/2017 la Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame, rigettava la domanda proposta dal legale NOME COGNOME nei confronti dell’appellante , ritenendo totalmente infondata la pretesa azionata dal legale, nulla più dovendole il RAGIONE_SOCIALE; rigettava la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ. avanzata dall’appellante; condannava l’appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio secondo le regole della soccombenza p er € . 4.835,00 per compensi in primo grado; € . 3.777,00 per compensi in secondo grado. Per quel che qui ancora rileva, a sostegno della sua decisione osservava il giudice di seconde cure:
l’appello risulta pienamente rispettoso nell’art. 342 cod. proc. civ. nella nuova formulazione giacché enuclea le parti della sentenza che intende censurare e ne illustra le ragioni, nonché il nesso eziologico con la ritenuta ingiustizia della stessa;
erroneamente il Tribunale ha fatto riferimento ai minimi tariffari, applicando poi l’aumento ex art. 6, comma 5, D.M. n. 127 del 2004, anche in considerazione del fatto che la particolare importanza della controversia avrebbe dovuto desumersi dagli atti giudiziari redatti dal legale (ricorso al T.AR. e istanza di sospensiva) da ella mai effettivamente prodotti in giudizio come prova documentale;
-del pari non trova ragione l’applicazione dell’art. 5, comma 4, D.M. n. 127 del 2004, posto che le maggiorazioni previste nella norma citata (20% per ogni parte fino ad un massimo di dieci parti; 5% per ogni parte fino ad un massimo di venti parti) costituiscono esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice che, se esercitato, richiede una specifica motivazione, nel caso di specie mancante.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione l’AVV_NOTAIO COGNOME, affidandolo a sei motivi.
Resiste controricorso il RAGIONE_SOCIALE, illustrato da memoria depositata in prossimità dell’adunanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Osserva il Collegio che le questioni poste col presente ricorso sono state già affrontate e decise con l’ordinanza di questa Corte n. 23682 del 2021 e pertanto si richiameranno le argomentazioni e i principi ivi esposti.
Con il primo motivo si censura la nullità della sentenza impugnata, ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. La ricorrente lamenta la non conformità dell’atto di appello rispetto al paradigma normativo vigente ratione temporis , in quanto l’appellante si sarebbe limitato ad invocare una diversa valutazione da parte del giudice di secondo grado, omettendo, tuttavia, di indicare le modifiche richieste alla ricostruzione dei fatti operata dal
tribunale e, inoltre, la parte motiva dell’appello richiesta ora a pena di inammissibilità del nuovo art. 342 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non risultando riportato il contenuto dei motivi di appello ritenuti, in via preliminare, dal giudice di secondo grado rispettosi del dettato dello stesso art. 342 cod. proc. civ. A tal proposito si ricorda che la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 22880/2017 e Cass. n. 29495/2020) è pacifica nel ritenere che il principio di necessaria specificità del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte -trova applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito. Da ciò consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., che si assuma derivante dalla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte, poiché l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso.
Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., dell’art. 6, comma 5, ultima
parte, del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, nonché violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) cod. proc. civ., degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. Nella prospettazione della ricorrente, sarebbe errata – in quanto apodittica ed immotivata – la sentenza impugnata nella parte in cui riforma la sentenza del giudice di prime cure sulla base dell’assunta contraddizione tra la rilevata applicabilità di tali tariffe e la riconoscibilità, tuttavia, della maggiorazione in virtù della particolare importanza della questione trattata dalla ricorrente.
2.1. Il motivo è infondato. Oltre a rilevare che, nella sostanza, appare dedotto più un vizio di contraddittorietà della motivazione (non più ammissibile ai sensi del novellato n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ.) che una violazione di legge, va evidenziato che la ravvisata intangibilità – per effetto del rilevato giudicato – dell’accordo sull’applicabilità dei minimi tariffari non può affatto dirsi incompatibile con la riconoscibilità della spettanza della maggiorazione di cui all’art. 6, comma 5, del D.M. n. 127/2004, in relazione alla possibile rilevazione (ove rappresentata) dell’importanza della causa.
Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., dell’art. 6, comma 5, ultima parte, del D.M. n. 127/04, in relazione all’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. Erra la Corte d’Appello nell’affermare che il giudice di primo grado non avrebbe potuto valutare la particolare importanza della controversia, ai sensi della norma citata, in assenza degli atti e verbali di causa, che avrebbero dovuto essere prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE. Nella prospettazione della ricorrente, invece, la valutazione dell’importanza o complessità della controversia deve essere fatta sulla base dell’oggetto della causa (ossia, pacificamente: « l’annullamento, previa sospensiva dei provvedimenti regionali e della RAGIONE_SOCIALE di
imposizione dei tetti di spesa per l’anno 2004 »), non già sul contenuto degli atti e, quindi, sul lavoro svolto dal legale.
3.1. Il motivo è infondato: la Corte di appello ha correttamente ritenuto che, nel caso in esame, dovesse trovare applicazione, in modo assorbente, il principio generale -emergente dall’art. 5, comma 4, del D.M. n. 127/2004 -della non spettanza della maggiorazione dell’onorario, non ricorrendo specifiche ragioni, fermo restando che la COGNOME non aveva riscontrato documentalmente in che cosa consistesse la particolare complessità della controversia (indipendentemente dalla sua natura), e che solo nel caso in cui esse fossero sussistite essa avrebbe avuto l’obbligo di motivare l’esercizio della relativa facoltà.
Con il quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., dell’art. 5, comma 4, del D.M. n. 127/04. La ricorrente lamenta l’errata interpretazione della norma citata (discrezionalità delle maggiorazioni in funzione del numero delle parti assistite, che necessita pertanto di motivazione da parte del giudice del merito), anche alla luce della sentenza di questa Corte n. 16153/2010, richiamata in maniera inconferente dalla Corte d’Appello in quanto pronuncia riferita alla precedente formulazione della disposizione; secondo la ricorrente, invece, l’art. 5, comma 4, D.M. n. 127 del 2004 affermerebbe la regola generale della maggiorazione dell’onorario dell’AVV_NOTAIO in funzione del numero delle parti assistite.
4.1. Anche il quarto motivo è infondato per le stesse ragioni di cui al precedente mezzo, sul presupposto della sostanziale equiparazione tra il contenuto dell’art. 5, comma 4, del D.M. n. 585/1994 e dell’art. 5, comma 4, del D.M. n. 127/2004 (quest’ultimo applicabile ratione temporis nella fattispecie e, quindi, correttamente preso in considerazione dalla Corte d ‘A ppello) e sul conseguente corretto
richiamo ai principi enunciati da questa Corte riguardo l’obbligo di motivazione nelle ipotesi di maggiorazione delle tariffe in presenza di pluralità di parti.
Con il quinto motivo si deduce violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) cod. proc. civ., degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. La ricorrente ritiene ingiustamente punitiva la mancata parziale compensazione delle spese di lite, stante la parziale soccombenza reciproca delle parti.
5.1. Il quinto motivo è anch’esso infondato e va rigettato dal momento che, legittimamente, il giudice di appello ha applicato il principio della soccombenza di cui all’art. 91 cod. proc. civ., coniugato con quello di causalità, tenendo conto del risultato definitivo raggiunto con l’adottata sentenza, con la quale è stata respinta per intero la domanda di pagamento delle competenze professionali della RAGIONE_SOCIALE, non incidendo sul punto – ai fini della complessiva regolazione delle spese giudiziali – il rigetto di quella che è un’istanza (come formulata dall’appellante) di possibile verifica, da parte del giudice, della sussistenza, in una causa già instaurata (con carattere, perciò, endoprocessuale), delle ragioni per l’applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ., tanto è vero che essa non può costituire oggetto di un’azione autonoma.
In senso conforme la più recente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 9532/2017 e Cass. n. 11792/2018) ha, in proposito, chiarito che il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, ex art. 96 cod. proc. civ., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non
può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ.
6. Con il sesto motivo si deduce violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., del D.M. n. 55 del 2014. La ricorrente ritiene assolutamente spropositata l’entità della condanna alle spese di lite, in quanto il petitum originario ammontava ad € . 3.875,72: anche aggiungendo gli interessi legali dal 05.12.2006 risulta che alla data della decisione la somma totale ammontava a € . 4.564,16. Su tale somma avrebbero dovuto essere liquidate le spese legali, applicando lo scaglione da € . 1.101,00 a € 5.200,00, sia per il giudizio in tribunale che per il grado d’appello. La Corte d’Appello, invece, ha erroneamente applicato lo scaglione di valore da € . 5.200,00 a € . 26.501,00.
6.1. Anche il sesto ed ultimo motivo deve essere rigettato perché la Corte di appello ha, nell’impugnata sentenza, ai fini della liquidazione delle spese giudiziali del doppio grado poste a carico della soccombente appellata, applicato i parametri tariffari in concreto vigenti, tenuto conto – si badi – dell’effettivo valore della controversia e, soprattutto, della complessiva attività difensiva svolta in concreto nell’interesse dell’odierna parte controricorrente, in relazione all’art. 4, comma 1, del D.M. n. 55/2014. E’ infatti risaputo che, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva all’entrata in vigore del citato D.M. non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe. La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, ha dato conto – quantomeno in via essenziale – delle ragioni giustificative della liquidazione effettuata, correlandole oltre che al valore della controversia – alla complessità dell’attività difensiva ed assistenziale globalmente eseguita.
Essendo stata la pretesa interamente rigettata e non risultando superati i massimi tariffari in relazione al valore della stessa, la decisione non è qui sindacabile.
In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente grado, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, con attribuzione ai difensori della controricorrente che si sono dichiarati anticipatari.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i corrispondenti ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € . 1.500,00, oltre ad € . 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%, con distrazione in favore del procuratore antistatario del controricorrente che ne ha fatto richiesta.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 13 aprile 2023.
Il Presidente NOME COGNOME