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Maggior danno: quando spetta e come provarlo in appello

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma chiarisce i presupposti per il riconoscimento del maggior danno da svalutazione monetaria. In un caso riguardante il mancato compenso a un medico specializzando, la Corte ha riformato la decisione di primo grado, negando il risarcimento per il maggior danno perché il creditore non aveva fornito la prova specifica del pregiudizio subito, oltre gli interessi legali. La decisione sottolinea che l’onere della prova spetta interamente al creditore.

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Pubblicato il 11 giugno 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Maggior danno per svalutazione monetaria: la prova è a carico del creditore

Il concetto di maggior danno da svalutazione monetaria, previsto dall’articolo 1224, secondo comma, del codice civile, rappresenta un tema cruciale nelle obbligazioni pecuniarie. Quando un debitore tarda a pagare una somma di denaro, il creditore ha diritto agli interessi legali. Ma se l’inflazione erode il potere d’acquisto di quella somma in misura superiore agli interessi, è possibile ottenere un risarcimento aggiuntivo? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma fa chiarezza, ribadendo un principio fondamentale: l’onere di dimostrare tale pregiudizio grava interamente sul creditore.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di risarcimento di un medico che, dopo aver frequentato una scuola di specializzazione tra il 1985 e il 1989, non aveva ricevuto la corretta remunerazione prevista da direttive europee. Il Tribunale di Roma, in primo grado, aveva accolto la sua domanda, condannando l’ente pubblico al pagamento di circa 27.000 euro, oltre interessi e, appunto, il cosiddetto “maggior danno” derivante dalla svalutazione monetaria accumulatasi negli anni.

Il giudice di prime cure aveva liquidato questo danno aggiuntivo basandosi su un criterio presuntivo, legato alla differenza tra il rendimento dei titoli di Stato e il tasso degli interessi legali, richiamando un orientamento della Corte di Cassazione.

L’Appello e il Tema del Maggior Danno

L’amministrazione pubblica ha proposto appello, contestando la sentenza non nella sua interezza, ma esclusivamente sulla parte relativa al riconoscimento del maggior danno. La tesi difensiva era chiara: l’obbligazione in questione è un debito di valuta, e in questi casi il danno da svalutazione non è automatico. Spettava al creditore, secondo l’appellante, non solo allegare ma anche provare concretamente di aver subito un pregiudizio superiore a quello già coperto dagli interessi moratori, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

In sostanza, la questione sottoposta alla Corte d’Appello era la seguente: per ottenere il risarcimento del danno da inflazione, è sufficiente che il creditore lo richieda o è necessario che dimostri in modo specifico come avrebbe impiegato quella somma se l’avesse ricevuta puntualmente, subendo così un danno concreto?

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha accolto l’impugnazione, riformando parzialmente la sentenza di primo grado. I giudici hanno chiarito che, sebbene il tribunale avesse correttamente inquadrato la somma come debito di valuta, aveva poi errato nel riconoscere il maggior danno in assenza di una prova specifica.

Il principio cardine, ribadito dalla Corte, è che spetta al creditore allegare e dimostrare il danno ulteriore derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora. Non è un automatismo. Il creditore deve provare che, se avesse ricevuto il denaro tempestivamente, lo avrebbe impiegato in modo tale da ottenere un rendimento superiore al tasso degli interessi legali, proteggendolo così dall’erosione dell’inflazione.

Nel caso esaminato, il medico si era limitato a produrre un calcolo degli importi che riteneva dovuti, senza aggiungere alcuna allegazione o prova circa il danno specifico subito. Non avendo assolto a questo onere probatorio, la sua richiesta di risarcimento per il danno da svalutazione non poteva essere accolta.

Le Conclusioni

La decisione della Corte d’Appello di Roma ha un’importante implicazione pratica. Conferma che chi agisce in giudizio per il recupero di un credito pecuniario non può limitarsi a chiedere genericamente il risarcimento del danno da svalutazione. È indispensabile costruire una solida argomentazione, supportata da prove, che dimostri come il ritardato pagamento abbia causato un pregiudizio economico concreto e superiore a quello forfettariamente coperto dagli interessi di legge. In assenza di tale dimostrazione, come accaduto nel caso di specie, la richiesta di maggior danno è destinata a essere respinta.

Quando è possibile ottenere il risarcimento del ‘maggior danno’ da svalutazione monetaria per un debito di valuta?
Secondo la sentenza, è possibile solo se il creditore allega e dimostra di aver subito un danno specifico, derivante dalla mancata disponibilità della somma, che sia superiore a quello già coperto dagli interessi legali. Non è un risarcimento automatico.

A chi spetta l’onere di provare il maggior danno?
L’onere della prova grava interamente sul creditore. È quest’ultimo che deve dimostrare in giudizio il pregiudizio effettivo subito a causa del ritardo nel pagamento.

È sufficiente produrre un calcolo degli importi dovuti per dimostrare il maggior danno?
No. La sentenza chiarisce che la sola produzione di un calcolo degli importi asseritamente dovuti non è sufficiente. Il creditore deve allegare e provare la consistenza effettiva del danno, ad esempio dimostrando come avrebbe investito la somma se l’avesse ricevuta tempestivamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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