Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9736 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22316/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentate e difese dal AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore unico p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dal AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1790/21, depositata l’8 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con lodo non definitivo sottoscritto il 27 giugno 2016, il collegio arbitrale costituito per la risoluzione di una controversia insorta tra la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE in sede di esecuzione di un contratto stipulato il 7 agosto 2009, ed avente ad oggetto la fornitura e l’installazione di diciassette aerogeneratori per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica, dichiarò risolto il contratto per impossibilità di esecuzione, a causa della mancata realizzazione della condizione sospensiva apposta con gli amendments nn. 2 e 3, disponendo la prosecuzione del procedimento per l’accertamento dei costi e delle spese sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE.
L’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE fu rigettata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza del 19 novembre 2018, passata in giudicato.
1.1. Nel frattempo, il procedimento arbitrale era proseguito, concludendosi con la pronuncia del lodo definitivo, sottoscritto il 30 marzo 2018, con cui il collegio arbitrale aveva accertato il diritto della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE di trattenere l’importo di Euro 10.642.000,00, corrisposto dalla WER a titolo di acconto.
L’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE è stata accolta dalla Corte d’appello di Milano, che con sentenza dell’8 giugno 2021 ha dichiarato la nullità del lodo definitivo, e, pronunciando in sede rescissoria, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione della somma di Euro 10.642.000,00, oltre interessi legali.
A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato che il lodo non definitivo a) aveva ricostruito la volontà delle parti alla luce delle varie modifiche intervenute nel tempo, desumendone il comune intento di mettere il contratto in una fase di stand by , in attesa della concessione di un project financing , b) aveva valorizzato la condotta successiva delle parti, ritenuta idonea ad evidenziare la presa d’atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto, c) aveva quindi accertato la risoluzione dello stesso con efficacia retroattiva, d) esclu-
dendo il diritto di entrambe le parti al risarcimento del danno, ma e) ritenendo equo il riconoscimento delle spese sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base del ragionevole affidamento riposto nell’esito positivo del programma contrattuale.
Ha osservato inoltre che il lodo definitivo aveva escluso l’efficacia retroattiva della risoluzione, a) qualificando il contratto come contratto ad esecuzione periodica, b) ritenendo che le parti avessero inteso mantenerlo in vigore, sia pure con le modifiche medio tempore intervenute e nella consapevolezza del carattere dirimente da assegnare al project financing , e c) ritenendo pertanto configurabile non già un’impossibilità sopravvenuta, ma una sorta di mancato avveramento della condizione sospensiva.
Ciò posto, la Corte ha ravvisato una contraddizione tra il lodo non definitivo e quello definitivo, rilevando che gli arbitri, invece di limitarsi ad accertare le spese riconducibili alla fase iniziale del rapporto contrattuale, avevano riesaminato la questione concernente la risoluzione del contratto, affermandone l’irretroattività, in contrasto con quanto precedentemente affermato. Ha ritenuto che tale contraddizione impedisse di ricostruire l’ iter logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, non risultando comprensibile, in particolare, la ragione per cui l’efficacia della risoluzione era stata ancorata al momento della conclusione degli amendments , i quali non solo subordinavano gli obblighi di pagamento dell’acquirente al conseguimento del finanziamento, ma modificavano il regime della termination charge , limitando la stessa all’importo già pagato dalla WER.
Passando al rescissorio, la Corte ha poi ritenuto che l’accertamento contenuto nel lodo non definitivo comportasse il diritto della parte acquirente alla restituzione dell’acconto versato, non essendo valutabili le spese sostenute dalla parte venditrice, il cui rimborso rientrava nell’alveo del risarcimento dei danni, espressamente escluso dal lodo non definitivo.
Avverso la predetta sentenza la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. La COGNOME ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, le ricorrenti denunciano la viola-
zione e/o la falsa applicazione degli artt. 100 e 324 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare il giudicato interno formatosi in ordine al lodo definitivo, ed il conseguente difetto d’interesse della WER all’impugnazione. Premesso infatti che il lodo era fondato su due rationes decidendi alternative, l’una rappresentata dall’efficacia irretroattiva della risoluzione del contratto, con decorrenza dal momento in cui era risultato evidente che la condizione prevista dagli amendments non si sarebbe verificata, e dalla conseguente applicazione della termination charge , l’altra dall’obbligo delle parti di restituire, in caso di retroattività della risoluzione, l’importo pagato dall’attrice a titolo di acconto e le spese sostenute dalle convenute per l’adempimento del contratto, osservano che quest’ultima affermazione era passata in giudicato, non avendo costituito oggetto d’impugnazione da parte della RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., affermando la contraddittorietà, l’illogicità e l’incomprensibilità della motivazione, nella parte in cui, dopo aver illustrato l’accertamento compiuto dagli arbitri in ordine al contenuto del contratto ed alla sua esecuzione, ha ritenuto non adeguatamente motivate la qualificazione della fattispecie come contratto ad esecuzione periodica e la rilevanza attribuita al project financing . Aggiunge che, nel pronunciare in sede rescissoria, la Corte territoriale ha per un verso dato atto dell’intento degli arbitri di ristorare la parte venditrice delle spese sostenute, e per altro verso escluso la valutabilità delle stesse, in quanto rientranti nel risarcimento del danno.
Con il terzo motivo, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2909 cod. civ., osservando che, nell’escludere la valutabilità delle spese sostenute dalla venditrice, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del giudicato formatosi in ordine al lodo non definitivo, nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto della RAGIONE_SOCIALE al pagamento della fornitura dei conci di fondazione degli aerogeneratori ed il rimborso delle spese dalla stessa sostenute sulla base del ragionevole affidamento riposto nell’esecuzione del contratto.
Così riassunte le censure proposte dalle ricorrenti, non merita accoglimento l’eccezione d’inammissibilità proposta dalla difesa della controricor-
rente, secondo cui la mancata impugnazione della sentenza di secondo grado, nella parte in cui ha dichiarato la nullità del lodo definitivo per aver pronunciato al di fuori dei limiti segnati da quello non definitivo, travolgendo quest’ultimo nella sua interezza, escluderebbe l’interesse a censurare le altre argomentazioni svolte dalla Corte d’appello.
E’ pur vero, infatti, che quest’ultima, nel dichiarare la nullità del lodo definitivo, ha fatto ricorso a due diversi ordini di considerazioni, autonomamente idonee a sorreggere la decisione adottata, non essendosi limitata ad affermarne la contraddittorietà, ma avendo riscontrato anche un altro vizio, costituito dall’aver riesaminato il merito della controversia, già deciso dal lodo non definitivo: questa seconda argomentazione, configurabile come una distinta ratio decidendi , risulta tuttavia anch’essa attinta dai motivi del ricorso per cassazione, i quali, riflettendo rispettivamente il passaggio in giudicato del lodo definitivo e la possibilità di desumere da quello non definitivo una diversa qualificazione della fattispecie, investono per un verso la stessa ammissibilità dell’impugnazione proposta dinanzi alla Corte d’appello e per altro verso la configurabilità della preclusione da quest’ultima rilevata. Non può quindi trovare applicazione, nella specie, il principio invocato dalla difesa della controricorrente, secondo cui, qualora la sentenza impugnata sia fondata su due diverse rationes decidendi , la mancata impugnazione di una delle stesse rende inammissibili, per difetto d’interesse, le censure mosse alle altre ragioni che hanno costituito specificamente oggetto di doglianza, giacché l’accoglimento di queste ultime non potrebbe in alcun caso condurre alla cassazione della sentenza impugnata, stante l’intervenuta definitività delle altre (cfr. Cass., Sez. III, 6/ 07/2020, n. 13880; Cass., Sez. V, 11/05/2018, n. 11493; Cass., Sez. I, 27/ 07/2017, n. 18641).
Il primo motivo, con cui le ricorrenti fanno valere la mancata impugnazione del lodo definitivo, nella parte in cui aveva ritenuto possibile pervenire alle medesime conclusioni, anche nel caso di retroattività della risoluzione, è peraltro infondato.
A corredo delle proprie censure, le ricorrenti riportano i passi salienti del lodo, da cui si evince che il collegio arbitrale, dopo aver attribuito efficacia ex nunc alla risoluzione del contratto, con decorrenza dal momento in cui era
risultato evidente che la condizione prevista dagli amendments nn. 2 e 3 non si sarebbe avverata, e dopo avere quindi riconosciuto alle convenute il diritto di trattenere la termination charge , corrispondente all’importo pagato dall’attrice a titolo di primo anticipo, aveva affermato che, anche a voler ritenere che la risoluzione avesse efficacia ex tunc , con il conseguente annullamento retroattivo degli effetti del contratto e degli amendments , si sarebbe dovuta riconoscere l’insorgenza di due crediti restitutori reciproci, aventi ad oggetto rispettivamente l’importo pagato dall’attrice a titolo di anticipo e quello delle spese effettivamente sostenute dalle convenute per l’adempimento del contratto, la cui compensazione avrebbe consentito alle convenute di trattenere la somma ricevuta.
Tale osservazione, come riconoscono le stesse ricorrenti, era peraltro riportata in un distinto paragrafo della motivazione, espressamente intitolato « ad abundantiam », il quale esordiva con l’espressa precisazione che le considerazioni in esso contenute erano svolte «a titolo meramente accessorio e senza che occorra entrare nei dettagli»: tale dichiarazione, rendendo evidente che le predette considerazioni non costituivano il fondamento logico-giuridico della decisione degli arbitri, ma erano volte esclusivamente a rafforzarla attraverso un argumentum a contrario , consente di affermarne l’estraneità alla ratio decidendi del lodo definitivo, e quindi di escluderne l’incidenza sulle statuizioni concretamente adottate, con la conseguenza che la WER non aveva né l’onere, né l’interesse ad impugnarle, al fine di evitarne il passaggio in giudicato (cfr. Cass., Sez. I, 8/06/2022, n. 18429; 10/04/2018, n. 8755; Cass., Sez. lav., 22/10/2014, n. 22380).
6. E’ altresì infondato il secondo motivo, con cui le ricorrenti lamentano il difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella parte riguardante la qualificazione della fattispecie.
La Corte territoriale ha diffusamente e chiaramente spiegato le ragioni per cui ha ritenuto carente la motivazione del lodo definitivo, rilevando che, nell’escludere l’efficacia retroattiva della risoluzione, gli arbitri avevano riesaminato una questione già risolta in senso contrario dal lodo non definitivo, in tal modo incorrendo non solo nella violazione dell’art. 829, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., ma rendendo incomprensibile l’ iter logico-giuridico seguito
per giungere alla decisione. Premesso infatti che il lodo non definitivo non si era posto in alcun modo il problema della qualificazione del contratto come contratto ad esecuzione continuata o periodica e della concessione del project financing come condizione sospensiva, ma si era preoccupato soltanto di ristorare la parte venditrice delle spese sostenute per aver riposto un ragionevole affidamento nel buon esito del rapporto contrattuale, ha osservato che il compito demandato al lodo definitivo consisteva esclusivamente nell’accertamento delle spese congruamente riconducibili alla fase iniziale del rapporto, in cui la parte venditrice aveva sostenuto i costi necessari per l’esecuzione del contratto nel rispetto dei termini concordati. Ha aggiunto che gli arbitri non avevano spiegato le ragioni per cui avevano ancorato gli effetti della risoluzione al momento della conclusione degli amendments , in tal modo rappresentando come efficacia ex nunc quella che in realtà era un’efficacia ex tunc , sulla base di un percorso motivazionale incentrato sulla ricostruzione della volontà delle parti e sulla consapevolezza da parte delle stesse in ordine all’importanza del project financing , non esplicitato in modo chiaro e non sorretto da adeguata documentazione.
In quanto sostenuto da ampie e coerenti argomentazioni in fatto e in diritto, il predetto accertamento deve ritenersi senz’altro sufficiente a soddisfare l’obbligo di motivazione imposto dall’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dall’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., consentendo di ricostruire senza difficoltà il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, ed attingendo, nella sua completezza e logicità, la soglia del minimo costituzionale garantito dall’art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/ 2014, n. 8053; Cass., Sez. I, 30/06/2020, n. 13248; Cass., Sez. VI, 7/04/ 2017, n. 9105). L’apprezzamento compiuto dalla Corte territoriale s’inscrive d’altronde perfettamente nell’ambito del sindacato rimesso al giudice ordinario in sede d’impugnazione del lodo arbitrale ai sensi dell’art. 829, primo comma, nn. 4 e 11 cod. proc. civ., nel testo attualmente vigente, riflettendo per un verso la contrarietà del lodo definitivo ad un lodo non definitivo emesso nell’ambito del medesimo procedimento arbitrale (cfr. Cass., Sez. I, 8/01/ 2014, n. 131), e per altro verso la contraddittorietà intrinseca del lodo impugnato, la quale ne determina la nullità non soltanto nel caso in cui sussista
un contrasto tra le diverse componenti del dispositivo o tra quest’ultimo e la motivazione, ma anche nel caso in cui, come nella specie, possa ravvisarsi un’antinomia tra le diverse parti della motivazione, a condizione che la stessa risulti talmente grave da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass., Sez. I, 5/02/2021, n. 2747; 25/01/2016, n. 1258; 28/05/2014, n. 11895).
7. Il terzo motivo, con cui le ricorrenti denunciano la violazione del giudicato interno formatosi in ordine al lodo non definitivo, nella parte riguardante il pagamento della fornitura dei conci di fondazione e il rimborso delle spese sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE, è invece fondato.
Ai fini dell’esclusione del diritto della ricorrente al riconoscimento dei predetti importi, la sentenza impugnata ha dato atto del passaggio in giudicato dell’accertamento compiuto dal lodo non definitivo in ordine all’intervenuta risoluzione del contratto, con efficacia retroattiva, per constatata impossibilità dell’esecuzione, nonché in ordine all’esclusione di ogni profilo risarcitorio, per non essere stato riscontrato alcun inadempimento a carico delle parti: ha quindi riconosciuto il diritto della parte acquirente alla restituzione dell’acconto versato, a titolo d’indebito oggettivo, ritenendo invece non valutabili le spese sostenute dalla parte venditrice, in quanto sussumibili nella nozione di risarcimento del danno, la cui ricorrenza era stata espressamente esclusa dal lodo non definitivo.
In tal modo, tuttavia, la Corte territoriale non ha tenuto conto dell’accertamento, anch’esso contenuto nel lodo non definitivo e rimasto incensurato, del diritto della RAGIONE_SOCIALE al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione della prestazione: pur essendo stato ricollegato alla lesione del ragionevole affidamento riposto dalla parte venditrice nel buon esito del rapporto contrattuale, tale diritto era stato infatti inquadrato dagli arbitri nella fattispecie di cui allo art. 2033 cod. civ., restando pertanto estraneo all’ambito del risarcimento del danno, ritenuto non dovuto dal lodo non definitivo. La mancata impugnazione del lodo non definitivo, comportando il passaggio in giudicato anche di tale statuizione, precludeva al Giudice dell’impugnazione il riesame del predetto accertamento, imponendogli di procedere, all’esito dell’annullamento del lodo definitivo, esclusivamente alla liquidazione delle predette spese, ivi comprese
quelle sostenute per la fornitura dei conci di fondazione.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento del terzo motivo d’impugnazione, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 30/01/2024