Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25288 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25288 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15768/2023 R.G. proposto da : GENOVESE COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
GENOVESE
SERAFINO
-intimato- avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 400/2023 depositata il 10/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1. -Tra i fratelli COGNOME e NOME COGNOME, soci di un’attività di impresa, è intercorso un arbitrato a definizione di una controversia. NOME ha posto il lodo in esecuzione, facendolo ratificare dal Tribunale. COGNOME si è opposto, osservando che si trattava di un lodo irrituale, che dunque non poteva essere oggetto di delibazione e che di conseguenza non poteva avere efficacia di titolo esecutivo. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno invece interpretato il lodo come rituale, e dunque suscettibile di
-exequatur.
NOME COGNOME ha dunque proposto ricorso per cassazione che questa Corte ha dichiarato inammissibile.
3. -Egli ricorre ora nuovamente per la revocazione della ordinanza di questa Corte (n. 400 del 2023), con un motivo di censura illustrato da memoria.
L’intimato non si è costituito.
Ragioni della decisione
1. -Il ricorrente propone revocazione della ordinanza di questa Corte, sostenendo che essa è incorsa in errore per avere <>.
In sostanza, questa Corte avrebbe travisato il significato dei motivi di ricorso, i quali miravano a contestare altresì la legittimità dell’ exequatur, ossia miravano a sostenere che, trattandosi di lodo irrituale, non si poteva apporre l’ exequatur ; che poi si trattasse di lodo irrituale era evidente dal fatto che tale lo avevano qualificato gli stessi arbitri.
Se questa Corte, nella precedente decisione, avesse bene inteso quali erano i motivi di ricorso avrebbe dovuto accoglierlo, sulla base degli stessi principi di diritto cui quella stessa decisione ha fatto riferimento.
Il motivo è inammissibile.
Giova ricordare quali siano i presupposti della revocazione, compresi quelli fatti valere verso una decisione della Corte di cassazione: <> (Cass. Sez. Un., 20013/ 2024).
Qui non ricorre alcuna di queste ipotesi.
Il ricorrente si duole semmai di una errata interpretazione dei suoi motivi di ricorso, ed in particolare del fatto che la decisione precedente ha erroneamente inteso quale fosse l’oggetto della
impugnazione: era anche quello relativo, secondo il ricorrente, alla legittimità dell’ exequatur in un lodo irrituale.
In sostanza, il ricorrente sostiene che la precedente decisione, quella qui oggetto di revocazione, avendo male inteso i motivi di ricorso, ha di conseguenza escluso che oggetto di esso fosse la contestazione dell’ exequatur ad un lodo irrituale.
E dunque, chiaramente si lamenta un asserito vizio che non consente la revocazione della sentenza, non rientrando tra quelli per i quali, come prima ricordato, quella revocazione è ammessa.
Sia detto per inciso che è il ricorrente a non avere adeguatamente inteso la ratio della decisione di questa Corte di cui chiede la revocazione, ratio che era la seguente: per contestare l’apponibilità dell’ exequatur si doveva altresì contestare l’interpretazione che del lodo avevano dato i giudici di merito, i quali lo avevano, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, inteso come un lodo rituale e dunque suscettibile di exequatur .
Si legge infatti nella decisione qui impugnata che <>.
Resta poi evidente che la contestazione della legittimità dell’ exequatur presuppone la contestazione della natura del lodo, da cui quella dipende.
E la ratio della sentenza impugnata è proprio in questo: che la natura di quel lodo non poteva essere più contestata in sede di legittimità.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 1000,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, ed oltre spese generali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 07/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME