Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15678 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 15678 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
Oggetto
Locazione ad uso non abitativo -Diniego di rinnovo alla prima scadenza -Immobile staggito -Legittimazione sostanziale -Mancanza -Conseguenze
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31846/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO (p.e.c.
indicata: EMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
nonché contro
NOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL), NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 1733/2020, pubblicata il 21 agosto 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
udito l’AVV_NOTAIO;
udito l’AVV_NOTAIO;
udito l’AVV_NOTAIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE propose ricorso ex art. 30 legge 27 luglio 1978, n. 392, nei confronti della conduttrice RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere il rilascio di un immobile locato con contratto ad uso diverso stipulato in data 31 marzo 2011 e adibito a negozio di orologeria e gioielleria; ciò a seguito di diniego (comunicato il 7 marzo 2016) di rinnovo alla prima scadenza del 31 marzo 2017, motivato dalla volontà della locatrice di adibire i locali ad esercizio in proprio di un’attività commerciale .
RAGIONE_SOCIALE resistette alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, la condanna della ricorrente alla restituzione di somme che assumeva di avere versato in contanti, a titolo di extra canoni e in violazione dell’art. 79 l. n. 392 del 1978, a NOME, NOME e NOME COGNOME dal 1949 al 2015, nonché al risarcimento dei danni patiti; chiese, altresì, che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale venisse dichiarata dovuta nell’importo massimo e calcolata sui canoni effettivi.
La ricorrente contestò la riconvenzionale e ottenne di chiamare in causa, per l’eventuale manleva (quali asseriti percettori degli extra canoni) NOME, NOME e NOME COGNOME.
Si costituirono in giudizio NOME e NOME COGNOME (mentre NOME era risultato deceduto), negando la percezione delle somme.
2. Il Tribunale emise ordinanza di rilascio ex art. 30, ult. co. l. n. 392/78 e , all’esito del giudizio, pronunciò sentenza con cui dichiarò cessato il contratto alla data del 31 marzo 2017 e confermò l’ordinanza di rilascio; rigettò la domanda riconvenzionale della COGNOME e quella di manleva formulata dalla ricorrente nei confronti di NOME e NOME COGNOME; determinò la somma dovuta per indennità di avviamento in Euro 81.000,00.
Pronunciando sul gravame proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, salvo rideterminare in Euro 84.618,00 l’importo dell’indennità per la perdita dell’avviamento .
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, sulla base di quattro motivi (il terzo e il quarto articolati anche con censure svolte in subordine); ad esso hanno resistito, con distinti controricorsi, la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
5 . All’esito dell’adunanza camerale del 21 settembre 2023, in vista della quale avevano depositato memoria la ricorrente e il Controricorrente NOME COGNOME, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 33465 del 30/11/2023, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, perché fosse trattata in pubblica udienza, atteso il rilievo nomofilattico delle questioni poste dal primo motivo.
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Sono state depositate memorie dalla resistente RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 65, primo comma, 100, 559, primo e secondo comma c.p.c. e dell’art. 1334 c.c. e censura la sentenza per aver ritenuto che la locatrice potesse validamente comunicare il diniego del rinnovo (per la scadenza del 31 marzo 2017 e in forza del contratto del 31 marzo 2011, registrato il 19 gennaio 2016) in pendenza di una procedura esecutiva sul bene locato, iniziata nel 2014, nell’ambito della quale il custode giudiziario aveva precedentemente comunicato (il 31 luglio 2015) il recesso ( rectius : diniego di rinnovo) in relazione alla diversa scadenza del 29 dicembre 2019 (individuata sulla base di un contratto del 29 dicembre 1995); assume che, in pendenza del
pignoramento, la locatrice esecutata non avrebbe potuto inviare il diniego, non essendovi « possibilità che il soggetto spossessato compia, in pendenza dell’esecuzione, atti diversi o incompatibili con quelli già posti in essere dal custode e specialmente nel caso in cui detti atti e negozi del custode abbiano già instaurato effetti ».
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 29, commi terzo e quarto della legge n. 392 del 1978 « laddove rispettivamente dispongono che il locatore, a pena di decadenza, debba comunicare il diniego di rinnovo con dodici mesi di preavviso e, in quella stessa comunicazione, debba ‘specificare’ a pena di nullità il motivo sul quale la disdetta è fondata nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116, secondo comma, c.p.c. dove rispettivamente dispongono che il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, le nozione di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115 cod. proc. civ.) e desumere argomenti di prova in AVV_NOTAIO dal contegno delle parti stesse nel processo (art. 116 cod. proc. civ.) ».
Lamenta che la Corte « abbia omesso di ravvisare l’invalidità del diniego di rinnovazione de quo , in quanto privo dei requisiti della serietà, attualità e della tecnica realizzabilità dei motivi di recesso , in rapporto alle prospettazioni della stessa locatrice che hanno invero evidenziato l’insussistenza di un’intenzione seria e tecnicamente realizzabile, sotto un profilo oggettivo e soggettivo, di avviare un’attività in proprio nell’immobile alla data del 7 marzo 2016 », erroneamente attribuendo rilevanza ad « evoluzioni delle manifestazioni di volontà del locatore successive alla comunicazione di diniego di rinnovazione ».
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116, secondo comma c.p.c. « dove rispettivamente dispongono che il giudice debba porre a fondamento
della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115 cod. proc. civ.) e desumere argomenti di prova in AVV_NOTAIO dal contegno delle parti stesse nel processo (art. 116 cod. proc. civ.) con particolare riferimento alle ammissioni fatte in corso giudizio dalla locatrice in merito a) all’esigenza di adeguare il canone ai livelli di mercato e b) all’esigenza di locare l’immobile alla conduttrice o a terzi a canoni superiori ».
Con il « terzo motivo sub 1) » la ricorrente denuncia « nullità e/o inesistenza della motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. nella parte in cui la Corte territoriale afferma che il rimedio esperibile dal conduttore dopo lo sfratto ai sensi dell’art. 31 legge n. 392 del 1978 (risarcimento di 48 mensilità a carico del locatore) costituirebbe motivo per ritenere le doglianze della conduttrice ‘assorbite’ in questa motivazione ».
Col quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2266, 2384 e 2724 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 79 l. n. 392 del 1978, e, altresì la nullità e/o inesistenza della motivazione: la ricorrente si duole « di come la Corte di Appello abbia ritenuto acriticamente condivisibile la sentenza del giudice di prime cure laddove quest’ultimo ha ritenuto non provata (senza tuttavia ammettere le istanze istruttorie) la domanda riconvenzionale del pagamento in contanti brevi manu alla locatrice di canoni addizionali, rispetto a quelli contrattuali, direttamente nelle mani dei precedenti amministratori e soci di RAGIONE_SOCIALE ».
Con il « quarto motivo sub 1) » viene denunciata la nullità o inesistenza della motivazione, « con particolare riferimento al tema della rappresentanza », sull’assunto che « la motivazione presenta invero elementi di contraddizione tali da non consentire di ricostruire l’iter logico attraverso il quale la Corte d’appello sia pervenuta la decisione ».
Il primo motivo è fondato, nei termini appresso precisati.
7.1. Lo scrutinio deve muovere dalle norme che regolano i poteri di gestione e amministrazione del bene pignorato, le quali in particolare vanno desunte dalle seguenti disposizioni:
─ art. 65, primo comma, cod. proc. civ.: « La conservazione e la amministrazione dei beni pignorati o sequestrati sono affidate a un custode, quando la legge non dispone altrimenti »;
─ art. 559, primo e secondo comma, cod. proc. civ. : « Col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, compresi le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso. / Su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, può nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore. Il giudice provvede a nominare una persona diversa quando l’immobile non sia occupato dal debitore »;
─ art. 560, primo e secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis , vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal l’art. 4, commi 2 e 4, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12): « Il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto a norma dell’articolo 593. / Ad essi è fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice dell’esecuzione ».
─ art. 2912 cod. civ. (« il pignoramento comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata ») in correlazione con l’art. 820 cod. civ., in ragione del quale sono compresi nel pignoramento anche i frutti civili, tra i quali rientra « il corrispettivo delle locazioni ».
Tali norme escludono che il titolare del bene pignorato possa,
dopo il pignoramento, continuare a riscuotere, come tale, i canoni della locazione del bene pignorato, e ciò a prescindere dalla circostanza che la locazione sia o meno opponibile alla procedura.
L’inopponibilità alla procedura non significa, infatti, che il rapporto instauratosi tra locatore e conduttore sia estraneo alla procedura e che in particolare questa non possa acquisirne i canoni (più avanti si tornerà su tale argomento: § 7.10). Le norme che disciplinano i poteri di gestione e amministrazione del bene locato, pendente l’esecuzione, prescindono, dunque, dal fatto che la locazione sia oppure no opponibile alla procedura.
7.2. Il potere di amministrazione, conferito al custode dall’art. 65 cod. proc. civ., il « divieto » di dare in locazione l’immobile pignorato se non con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione (art. 560, secondo comma, cod. proc. civ.), nonché l’interesse del creditore procedente, che potrebbe essere seriamente compromesso sia dalla locazione del bene pignorato (donde le cautele apprestate dal cit. art. 560 cod. proc. civ.) sia dall’esercizio (o dal mancato esercizio) da parte del debitore delle azioni che da esse discendono, convergono, tutti, nell’attribuire al solo custode la legittimazione sostanziale a richiedere tanto il pagamento dei canoni, quanto ogni altra azione che scaturisce dai poteri di amministrazione e gestione del bene (così, in motivazione, Cass. 29/04/2015, n. 8695).
In tale prospettiva è stato precisato che il proprietario-locatore di un immobile pignorato, che ne sia stato nominato custode, è legittimato a promuovere le azioni scaturenti dal contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile stesso solo nella sua qualità di custode e non in quella di proprietario locatore, essendo il bene a lui sottratto per tutelare le ragioni del terzo creditore; con la conseguenza che, se nell’atto introduttivo del giudizio il proprietario locatore non abbia speso la suddetta qualità, la domanda va dichiarata inammissibile (Cass. 21/06/2011, n. 13587).
Invero, dopo il pignoramento, pur permanendo l’identità del soggetto, muta il titolo del possesso da parte del proprietario-locatore e debitore, in quanto ogni sua attività costituisce conseguenza del potere ex art. 559 cod. proc. civ. di amministrazione e gestione del bene pignorato, di cui egli continua ad avere il possesso solo in qualità di organo ausiliario del giudice dell’esecuzione (v. Cass. n. 8695 del 2015, cit.).
7.2.1. Al riguardo non deve peraltro trascurarsi il rilievo ricostruttivo attribuibile, nel contesto normativo sopra descritto applicabile alla fattispecie ratione temporis , al secondo inciso del secondo comma dell’art. 559, introdotto dall’art. 2, comma 3, lettera e), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80: « Il giudice provvede a nominare una persona diversa quando l’immobile non sia occupato dal debitore ».
Nella vigenza di tale disposizione il debitore, a seguito del pignoramento immobiliare, continua ad essere costituito custode dei beni pignorati; ma quella che, prima di detta modifica, era la regola, suscettibile di essere derogata solo su istanza di un creditore pignorante o intervenuto, non lo è più dopo . Il debitore è, dunque, destinato ad essere custode del bene pignorato non per tutto il corso della procedura, come nel precedente sistema, ma solo limitatamente alla fase iniziale; quando si passa a quella liquidativa, la custodia dei beni pignorati è attribuita dal giudice ad un istituto autorizzato, di cui al primo comma dell’art. 534 c.p.c., oppure, nel caso di delega delle operazioni di vendita, al professionista delegato. Solo se il giudice ritenga che la particolare natura dei beni pignorati renda inutile la sostituzione del custode, il debitore pignorato permarrà nella custodia (art. 559, quarto comma, c.p.c.). Quindi, quella che era la regola, diviene l’eccezione.
7.2.2. Il dato rilevante che emerge da ciò, ai fini della presente disamina, è l ‘accentuazione della separatezza, insieme con il
patrimonio staggito, della titolarità dei poteri di gestione e amministrazione dei beni pignorati e, correlativamente, della titolarità delle azioni che discendono da quel potere, che non è correlata ad un titolo convenzionale o unilaterale (la proprietà del bene e/o il contratto di locazione), bensì ad una relazione con il bene pignorato, qualificata come «custodia» in forza dell’investitura derivante dalla legge (per il debitore esecutato) o dal provvedimento del giudice (ove ad essere nominato custode sia un terzo) (cfr. Cass. n. 8695 del 2015, cit.; v. anche Cass. 16/07/2019, n. 18942; 28/03/2018, n. 7748; 03/10/2005, n. 19323).
7.3. Ebbene, il quadro che emerge da tali indicatori appare chiaramente quello di un sistema, relativo ai poteri ed agli atti di gestione del bene pignorato, totalmente asservito alle esigenze della procedura esecutiva ed alle determinazioni che, in funzione di essa, sono assunte dai relativi organi, sotto il controllo e previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione. Da una visione d’insieme della disciplina del processo esecutivo è dato anzi ricavare che l’aspetto dell’amministrazione del bene staggito ha un rilievo centrale, tanto da far sì che sugli esiti di tale gestione ricadano, cristallizzandosi, gli effetti sostanziali del pignoramento.
Se l’immobile è produttivo di rendite, compito precipuo del custode è quello di raccoglierle e conservarle per i creditori (art. 2912 c.c.), garantendo, al contempo, la gestione dell’immobile, nell’interesse dei terzi occupanti. E dato che non si tratta tanto di conservare il bene pignorato, quanto soprattutto di amministrarlo, è ritenuto preferibile sottrarne la custodia al debitore, per attribuirla ad altri soggetti, più attenti a tali adempimenti di quanto può essere chi, come il debitore, di regola ritiene ormai persa la titolarità del proprio immobile. Scelta, del resto, in linea con quanto emergeva chiaramente già dall’art. 592 c.p.c., dove gli aspetti di amministrazione sono prevalenti rispetto alla mera conservazione.
7.4. Non sembra allora revocabile in dubbio che tutto ciò che attiene al raggiungimento di tale scopo debba potersi tradurre in precise attribuzioni, concretamente esercitabili e pertanto anche tassativamente riservate al soggetto deputato all’esercizio di quella funzione, se previamente autorizzato dal g.e. nei casi -quale certamente quello in esamein cui l’autorizzazione debba considerarsi necessaria.
7.5. Ebbene, reputa il Collegio che tale contesto necessariamente «endoprocedimentale», il quale cioè riserva agli organi della procedura ed esclusivamente ad essi la gestione del rapporto locativo in essere, osti alla configurabilità di una qualche efficacia, sia pure postergata alla chiusura della procedura, di atti di gestione del rapporto locativo posti in essere dal proprietario-locatore, debitore esecutato, non nella qualità di custode e/o in mancanza della previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ove richiesta.
A differenza degli atti dispositivi che, se posti in essere dal debitore esecutato, soggiacciono alla regola della c.d. « inefficacia relativa » (v. Cass. 14/11/2019, n. 29491, Rv. 655830 e giurisprudenza ivi richiamata) e, in quanto non strutturalmente invalidi, sono suscettibili di esplicare i propri effetti in caso di estinzione della procedura, gli atti di gestione -afferendo a rapporto già in essere, soggetto ai poteri di governo degli organi della procedura -sono concepibili come tali solo se e in quanto posti in essere in funzione degli scopi propri di questa e dagli organi a ciò legittimati.
Nel disegno sotteso alle norme richiamate tali atti o sono tali (ossia posti in essere in funzione della procedura e dagli organi relativi) o altrimenti non sono. Se posti in essere, dunque, al di fuori di tale contesto, ovvero dal debitore esecutato non in quanto custode o in assenza di autorizzazione del giudice dell’esecuzione , essi sono da considerare tamquam non essent . Il difetto di legittimazione
sostanziale a compiere l’atto gestorio, proprio in quanto un tale atto non è concepibile al di fuori della procedura, priva questo radicalmente della capacità di produrre effetto, e ciò anche una volta che, come nella specie, la procedura si sia estinta; a poter sopravvivere alla procedura saranno solo gli effetti degli atti gestori ad essa effettivamente riferibili (es. mancata disdetta comunicata dal custode all’uopo autorizzato dal g.e. e conseguente rinnovazione del contratto per un periodo che, a posteriori , si riveli eccedente la residua durata della procedura) e non quelli che, nel corso di essa, non potevano produrre e non hanno prodotto alcun effetto.
7.6. Non è pertanto possibile ipotizzare una inefficacia relativa degli atti di gestione, tale che una disdetta o un recesso possano dirsi inopponibili nei confronti dei creditori del proprietario/locatore ed opponibili invece nei confronti del conduttore.
Tali atti, ove impropriamente comunicati al conduttore dal locatore esecutato (non in qualità di custode o, bensì in tale qualità, ma in mancanza della autorizzazione del giudice dell’esecuzione) vanno considerati inefficaci anche nei confronti del conduttore, perché svolti da un soggetto che non era legittimato a esercitare i relativi poteri.
Un atto gestorio proveniente da soggetto carente di poteri è, come detto, radicalmente inidoneo a produrre i suoi effetti e dunque a modificare la realtà del rapporto, il che non può che coinvolgere anche la posizione del conduttore.
Non può dunque sostenersi che il conduttore, estraneo alle esigenze di tutela dei creditori cui provvede il pignoramento, a differenza di questi non sarebbe comunque legittimato a far valere l’inefficacia della disdetta (o del diniego di rinnovo), essendo del tutto evidente che tale legittimazione deriva dal coinvolgimento della sua posizione nella realtà giuridica che si tratta di mantenere immodificata a tutela dei primi: dire che la disdetta (o il diniego) è
inopponibile ai creditori significa dire che questi hanno diritto a continuare a fare affidamento sulla prosecuzione del rapporto e a pretendere dal conduttore il pagamento dei canoni, il che a sua volta equivale a dire pretendere che il conduttore permanga nella detenzione dell’immobile locato.
7.7. Soccorre in tale direzione anche il principio di buona fede. La posizione del conduttore che, perdurante la procedura esecutiva, si veda recapitare il diniego da un soggetto non legittimato, non può che essere quella di chi deve considerarlo del tutto privo di effetti e si ritenga pertanto legittimato a fare affidamento sulla rinnovazione del rapporto.
La dimensione temporale degli effetti che il diniego è destinato a produrre (o a non produrre se mancante o inidoneo) e la tutela dei contrapposti interessi ed aspettative cui è diretta l’anticipazione ad un anno prima della scadenza del termine entro il quale la comunicazione deve avvenire, devono indurre ad escludere che, nell’ipotesi in cui la procedura si estingua anteriormente alla scadenza in questione, tale comunicazione possa acquisire l’efficacia che al momento in cui fu fatta non aveva. Ciò anzitutto e in via assorbente perché l’idoneità dell’atto a produrre i suoi effetti va verificata con riferimento alle condizioni esistenti ed al modo di essere dell’atto al momento in cui fu posto in essere; in secondo luogo, e comunque, perché -e il rilievo sarebbe dirimente nella fattispecie anche nella qui non accolta prospettiva della inefficacia relativa- una volta trascorso detto termine anticipato, la mancanza o la inidoneità del diniego avrebbero già determinato la rinnovazione del contratto di locazione, ancorché a partire da una data successiva alla estinzione della procedura.
7.8. Coerente con la ricostruzione qui accolta è del resto il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data
antecedente alla scadenza del termine per l’esercizio della facoltà di disdetta del contratto locativo da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dall’art. 560, secondo comma, c.p.c. (Cass. 29/05/2015, n. 11168; vedi anche: Cass. n. 16375 del 2009, Cass. n. 22711 del 2011, Cass. n. 26238 del 2007), salvo che non si tratti di rinnovazione alla prima scadenza di locazione ad uso diverso, nel qual caso la rinnovazione discende ex lege e non necessita pertanto di autorizzazione (Cass. Sez. U. n. 11830 del 2013).
Tale principio, che realizza una rilevante deviazione dalla disciplina sostanziale della locazione dando prevalenza alle esigenze ed agli scopi del processo esecutivo, evidentemente sottende l’attribuzione alla mancata disdetta per scadenza successiva alla prima, oltre che il valore di atto negoziale (« il non esercitare la disdetta immotivata equivale a “dare in locazione” »: Cass. n. 11168 del 2015, in motivazione, pag. 10), anche il significato di scelta gestoria del rapporto locativo in corso che, come tale, è sottratta al debitore esecutato ed è piuttosto riservata agli organi della procedura esecutiva.
7.9. Non dissimili considerazioni valgono, per converso, per il diniego di rinnovo alla prima scadenza, anch’essa scelta gestoria di natura negoziale, differenziantesi dalla disdetta solo per l’esigenza che sia correlata all’esistenza di gravi motivi.
Il diniego di rinnovo alla prima scadenza costituisce un negozio unilaterale recettizio a contenuto patrimoniale espressione di una facoltà attribuita al locatore in presenza dei motivi tassativamente indicati dall’art. 29 l. n. 392 del 1978 ; motivi da indicare, naturalmente, nella comunicazione di diniego onde consentire al conduttore di verificarne la serietà e concretezza ed ex post l’effettività ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 31.
Come per la disdetta (o per il suo contrario: la tacita
rinnovazione) la scelta se comunicare o meno il diniego per gravi motivi ha rilevanti effetti per la procedura e non può che essere riservata agli organi della stessa.
A maggior ragione, anzi, tanto deve dirsi per il diniego di rinnovo alla prima scadenza, la relativa facoltà essendo esercitabile -non va dimenticato- solo in presenza dei motivi tassativi di cui all’art. 29 , i quali tutti presuppongono il pieno potere di disporre, anche materialmente, dell’immobile in capo al locatore . Tale potere, infatti, è per definizione ad esso sottratto nella pendenza della procedura esecutiva, ai cui organi -come detto- deve essere riservata la valutazione in termini di convenienza e opportunità per i fini della procedura di ogni atto diretto a incidere sul bene e sulla sua amministrazione.
7.10. Come pure si è già detto, alle considerazioni che si vanno qui svolgendo non osta la circostanza che, nella specie, si tratti di contratto di locazione già in radice inopponibile alla procedura perché non registrato anteriormente al pignoramento. L’inopponibilità non esclude che del rapporto in essere, quale fatto comunque indicativo di una fruttuosità del bene, la procedura possa e debba curarsi, avendone tutto l’interesse, ai sensi e nei termini indicati. Va del resto ricordato che, a norma dell’art . 2923, quarto comma, cod. civ., « se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al pignoramento della cosa locata, l’acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato », il che sta evidentemente a confermare che locazione inopponibile non equivale a locazione inesistente per la procedura. Ove la sicurezza del contratto di locazione non venga conseguita attraverso il meccanismo della data certa, interviene la regola suppletiva prevista dal quarto comma, in base alla quale la semplice detenzione della cosa da parte del conduttore in epoca precedente al pignoramento vincola
l’acquirente al rispetto della locazione, sebbene limitatamente ad una durata pari a quella contemplata per le locazioni a tempo indeterminato.
7.11. Alla luce delle considerazioni che precedono deve ritenersi per più ragioni non percorribile l’ipotesi qualificatoria proposta dal rappresentante della Procura Generale nelle proprie conclusioni, attraverso il richiamo analogico alle norme in tema di rappresentanza senza potere (artt. 1398 e 1399 cod. civ.).
Un potere di ratifica successiva, con effetto ex tunc , da parte del debitore tornato in bonis non è configurabile, sia per la detta impossibilità di ritenere l’atto compiuto dal debitore pignorato non custode atto capace di produrre effetto, sia pure potenziale o postergato o solo relativamente inefficace, sia per l’impossibilità di parificare la posizione del debitore pignorato a quella del falsus procurator . Nel caso del falsus procurator l’invio della disdetta (ma la stessa cosa varrebbe per il diniego di rinnovo) è atto compiuto dal procurator , ma quale rappresentante del soggetto legittimato, cioè il locatore; nel caso in esame, invece, il diniego è stato posto in essere da un soggetto privo di legittimazione, ma tale atto in difetto di legittimazione non si è accompagnato alla spendita del nome del soggetto legittimato, bensì è stato posto in essere dal debitore in nome proprio.
7.12. Deve, però, a questo punto rilevarsi che la stessa registrazione del contratto, che si dà atto in sentenza essere intervenuta nel corso della procedura (il 19 gennaio 2016), oltre e prima ancora di essere ad essa inopponibile, costituisce essa stessa atto gestorio di grande rilevanza che il locatore, debitore esecutore, non aveva il potere di compiere, se non nella qualità di custode e previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione.
Dalla mancanza di tali presupposti discende dunque che, non potendosi per quanto detto riconoscere alla registrazione, riguardata
necessariamente quale atto gestorio, alcun effetto, non può nemmeno ad essa attribuirsi ─ sia pure nei solo confronti del conduttore e al termine della procedura ─ effetto sanante retroattivo del contratto nullo ex art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004, secondo il principio affermato da Sez. U. 09/10/2017, n. 23601. Tale principio presuppone, infatti, pur sempre che alla registrazione provveda soggetto legittimato a gestire il rapporto locativo.
Anche tale aspetto dovrà dunque essere riconsiderato dal giudice del rinvio nella complessiva nuova valutazione del rapporto tra le parti, alla luce delle considerazioni svolte e del principio appresso enunciato . La Corte d’appello dovrà cioè tener conto, da un lato, della mancata registrazione del contratto del 2011 (quella del 2016 dovendo ritenersi improduttiva di effetto, per quanto detto) e, dall’altro, della eventuale esistenza di precedente contratto idoneo comunque a giustificare la protratta detenzione dell’immobile da parte della RAGIONE_SOCIALE (ove stipulato anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 346, l. n. 311 del 2004 ): contratto al quale, del resto, siccome emerge dalla sentenza e dalle stesse indicazioni delle parti, il custode sembra avesse fatto riferimento nella comunicazione di recesso per una data diversa e più lontana da quella cui è stata invece infondatamente riferita la pretesa di rilascio della società RAGIONE_SOCIALE.
Le considerazioni che precedono devono dunque condurre alla cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato cessato il contratto alla data del 31 marzo 2017 e confermato l’ordinanza di rilascio ; resta conseguentemente assorbito l’esame degli altri argomenti di critica proposti con il primo motivo nonché dei motivi secondo, terzo e terzo sub 1, questi ultimi afferenti ai presupposti di validità del diniego di rinnovo alla prima scadenza.
Il quarto motivo di ricorso va detto, invece, inammissibile in
quanto non prospetta effettivamente una violazione delle norme richiamate in rubrica, ma la postula sul presupposto di un rinnovato apprezzamento delle risultanze istruttorie che viene indebitamente sollecitato a questa Corte.
Il « quarto motivo sub 1 » è inammissibile poiché non si confronta adeguatamente col complessivo tenore della motivazione, dalla quale emerge chiaramente il percorso logico-giuridico sotteso alla decisione.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti; piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa (sostanzialmente mirandosi, inammissibilmente, ad una rilettura del
materiale istruttorio).
Devesi invero ribadire che, intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione.
Non può invece un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).
In questo secondo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) diretta a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di Cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti .
Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio.
11. In accoglimento, dunque, del primo motivo di ricorso, nei sensi sopra spiegati, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa al giudice a quo , in diversa composizione, il quale dovrà attenersi al seguente principio di diritto: « gli atti di gestione del rapporto locativo ad uso diverso ─ quali devono considerarsi sia la registrazione tardiva del contratto, sia il diniego di rinnovo alla prima scadenza ex art. 29 legge n. 392 del 1978 ─ posti in essere, nella pendenza della procedura esecutiva, dal debitore esecutato non nella qualità di custode o senza previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, sono radicalmente improduttivi di effetti nei confronti della procedura e dello stesso conduttore e tali rimangono anche qualora la procedura esecutiva si estingua, per causa diversa dalla vendita forzata dell’immobile, anteriormente alla prima scadenza del rapporto ».
Al giudice del rinvio va demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibili il quarto e il quarto sub 1; assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione de lla Corte d’appello di Milano, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza