Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27940 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27940 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2186/2022 proposto da:
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio digitale ex lege ;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1660/2021 della CORTE D’APPELLO DI SALERNO depositata l’1/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/9/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 1/12/2021, la Corte d’appello di Salerno, in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, e in riforma della decisione di primo grado, tra le restanti statuizioni, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la domanda originariamente avanzata da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME volta all’accertamento della nullità del contratto di locazione (registrato in data 9/7/2018) stipulato da NOME COGNOME (germana degli attori), quale locatrice, e NOME COGNOME e NOME COGNOME (marito e figlia di NOME COGNOME), quali conduttori; contratto di locazione avente ad oggetto un immobile acquistato per usucapione – secondo quanto accertato dalla corte territoriale -da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
con la stessa decisione, la corte territoriale ha nondimeno condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME al rilascio dell’immobile locato in favore della comunione dei comproprietari NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha preliminarmente rilevato come l’immobile oggetto di lite fosse stato originariamente concesso in locazione, con contratto di locazione del 17/12/1994, dalla proprietaria NOME COGNOME in favore di NOME COGNOME (coniuge di NOME COGNOME);
tale contratto si era tacitamente rinnovato anche dopo la morte di NOME COGNOME (avvenuta in data 30/4/2012), allorché tutti gli eredi di NOME COGNOME (ossia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la stessa NOME COGNOME) sarebbero subentrati (secondo la prospettazione degli originari attori) nel contratto di locazione per effetto del testamento olografo (registrato in data 30/5/2013) di NOME COGNOME;
ciò posto, con lettera raccomandata del 24/5/2018, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano comunicato al conduttore, NOME COGNOME, la propria intenzione di non rinnovare il contratto alla successiva scadenza del 31/12/2018;
in tale occasione, gli originari attori (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) erano venuti a conoscenza che, in data 30/4/2018, NOME COGNOME aveva consensualmente risolto, unitamente al conduttore NOME COGNOME (suo coniuge) (senza alcun consenso degli altri comproprietari), il contratto di locazione del 17/12/1994, provvedendo contestualmente, in data 1/5/2018, alla stipulazione di un nuovo contratto di locazione in favore di NOME COGNOME e della figlia NOME COGNOME;
sulla domanda proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (volta all’accertamento della nullità del secondo contratto di locazione concluso dalla sola NOME COGNOME e alla pronuncia della condanna del COGNOME al rilascio dell’immobile già concessogli in locazione nel 1994), il primo giudice ha rilevato il difetto di legittimazione attiva degli attori, avendo accertato che la proprietà dell’immobile de quo (concessi in locazione nel 1994 da NOME COGNOME in favore di NOME COGNOME) non fosse mai stata
acquistata da NOME COGNOME, con la conseguenza che gli attori non avevano mai acquistato, a loro volta, la proprietà di detto immobile per via ereditaria, avendo NOME COGNOME provveduto in via testamentaria su tale bene (l’immobile concesso in locazione) risultato di proprietà altrui;
sull’appello proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, la corte territoriale (contrariamente a quanto riconosciuto dal primo giudice) – rilevato che gli originari attori avevano avanzato una domanda di rivendicazione del bene in asserita loro comproprietà con la germana NOME (e non già una domanda di natura personale fondata sul contratto di locazione) – ha accertato come l’immobile concesso in locazione nel 1994 da NOME COGNOME ad NOME COGNOME – al di là del dedotto acquisto in forza del testamento di NOME COGNOME – fosse stato acquistato per usucapione da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (unendo il periodo di possesso esercitato da NOME COGNOME a quello esercitato dai suoi eredi a seguito del decesso di quest’ultima), con la conseguenza che gli originari attori (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) avevano legittimamente conseguito il diritto di concorrere (unitamente a NOME COGNOME) nell’amministrazione dell’immobile comune;
ciò posto, la corte territoriale ha accertato come, al momento della conclusione del secondo contratto di locazione tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME (la cui sola data certa era quella della registrazione avvenuta il 9/7/2018), i contraenti fossero pienamente a conoscenza della contrarietà degli altri comproprietari alla conclusione di tale nuovo contratto di locazione, avendo detti comproprietari già
inequivocabilmente manifestato la propria volontà di interrompere ogni rapporto locativo con il COGNOME con la lettera raccomandata del 24/5/2018, sì che detto secondo contratto, pur non nullo (come infondatamente preteso dagli originari attori) doveva comunque ritenersi inopponibile a questi ultimi, siccome concluso solo da uno dei comproprietari, NOME COGNOME, con il previo dissenso degli altri, e con la piena consapevolezza di tale previo dissenso (degli altri comproprietari) da parte dei nuovi conduttori (NOME COGNOME e NOME COGNOME), avuto riguardo agli stretti rapporti familiari degli stessi (marito e figlia) con la nuova locatrice;
da qui il rigetto della domanda di nullità del secondo contratto di locazione e la contestuale condanna di NOME COGNOME e di NOME COGNOME alla restituzione dell’immobile oggetto di locazione in favore della comunione dei proprietari;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria in previsione dell’originaria adunanza in camera di consiglio del 13/5/2025, allorché la causa è stata tolta dal ruolo e successivamente rifissata per la decisione all’odierna adunanza in camera di consiglio;
entrambe le parti hanno depositato ulteriore memoria in vista dell’odierna adunanza camerale;
considerato che,
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della legge degli artt. 345, 112, 101, 115 e 183 c.p.c., nonché dell’art. 24 Cost. (in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente qualificato l’azione di rilascio originariamente proposta dalle controparti nei confronti degli odierni istanti alla stregua di un’azione di rivendicazione fondata sul diritto di proprietà dell’immobile dedotto in giudizio (come tale esperibile nei confronti di coloro che detengono il bene senza un valido titolo) e non già quale azione di natura personale fondata sul contratto di locazione del medesimo immobile, giungendo per tale via all’illegittimo accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione, da parte degli eredi NOME COGNOME, della proprietà dell’immobile condotto in locazione dagli odierni ricorrenti, senza che nessuna delle parti in giudizio avesse mai spiegato alcuna domanda di accertamento della proprietà di detto immobile, in tal modo, incorrendo nella violazione dell’art. 345 c.p.c. (nella parte in cui esclude la proponibilità di domande nuove in appello), dell’art. 112 c.p.c. (in relazione alla mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato), e dell’art. 101 c.p.c., con particolare riguardo all’avvenuta decisione d’ufficio su un’eccezione (o domanda) di usucapione mai sollevata (o proposta) da alcuna delle parti e mai sottoposta al relativo contraddittorio, senza peraltro neppure considerare l’erroneità dell’as similazione della posizione di NOME COGNOME rispetto agli altri conduttori (NOME COGNOME e NOME COGNOME), considerata la riconducibilità di una situazione di natura reale unicamente in relazione alla prima e non già in relazione ai secondi, titolari di una mera situazione giuridica di natura personale;
il motivo è in parte inammissibile e, in ogni caso, infondato;
dev’essere in primo luogo rimarcata la non puntuale osservanza, da parte degli odierni ricorrenti, degli oneri di allegazione del ricorso imposti dall’art. 366 n 6 c.p.c., essendosi gli stessi limitati a una riproduzione irriducibilmente carente del tenore dei fatti costitutivi della domanda originariamente proposta dalle controparti, ed avendo in modo solo parziale attinto i contenuti della motivazione d’appello (ampiamente argomentata sul punto relativa alla qualificazione della domanda), in contrasto con il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale «il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘ non motivo ‘ , è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.» (cfr. Sez. 3,
Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 -01 e success. conformi; cfr. altresì Sez. U, Sentenza n. 7074 del 20/03/2017 in motivazione);
in particolare, la critica condotta nei confronti della motivazione della decisione impugnata si limita ad attingere solo un passo della sentenza a pag. 7 (nella pag. 4 del ricorso) e un altro passo di cui alla pag. 9 (pag. 7 del ricorso), là dove la motivazione risulta articolata con ampi ragionamenti prima dei due passi evocati;
varrà peraltro sottolineare l’infondatezza nel merito della censura in esame, avendo gli stessi ricorrenti dato atto dell’avvenuta originaria proposizione dell’azione delle controparti attraverso la deduzione, da parte di questi, della propria situazione di comproprietari (unitamente alla sorella NOME, locatrice ‘ in solitaria ‘ ) e, conseguentemente, atteggiando il thema decidendum di tale situazione (com)proprietaria alla stregua di una situazione legittimante il petitum ;
in breve, gli attori, deducendo di agire quali comproprietari e invocando la radicale inopponibilità, nei relativi confronti, dell’attività negoziale illegittimamente posta in essere dalla sorella NOME in relazione al loro bene, hanno invocato in via principale l’accertamento del proprio diritto dominicale e il conseguente obbligo degli occupanti abusivi alla restituzione del bene;
in particolare, proprio l’eccepita nullità, da parte dei convenuti, del titolo testamentario invocato dagli originari ricorrenti a fondamento della propria situazione dominicale ha imposto l’individuazione dell’accertamento di detta situazione dominicale quale fatto principale contestato e destinato ad essere accertato dal primo giudice (il quale ritenne di escluderla ravvisando la fondatezza dell’eccezione dei convenuti);
sulla base di tali premesse, l’avvenuto accertamento della comproprietà dei germani COGNOME per effetto dell’intervenuta usucapione (accertamento condotto sulla base di fatti acquisiti in corso di causa: decesso dell’originaria proprietaria, godimento successivo della de cuius autrice del testamento, nonché dei figli ricorrenti e della loro sorella NOME), in quanto operato nel quadro di una proposta azione di rivendicazione della proprietà, quale diritto ‘ autodeterminato ‘ (come tale indifferente alla diversità dei titoli posti a fondamento del relativo acquisto), non può in alcun modo ritenersi condotto in violazione dell’art . 112 c.p.c., avendo il giudice d’appello correttamente valorizzato elementi probatori già acquisiti al giudizio in relazione a un diritto avente tale qualità (di autodeterminazione), con la conseguente insussistenza di alcuna violazione, tanto del richiamato art. 112 c.p.c., quanto dell’art . 345 c.p.c. ( recte dell’art. 437 c.p.c.) in relazione all’eventuale deduzione di nova in sede di gravame;
quanto, infine, alla pretesa violazione dell’art. 101, co. 2, c.p.c. (in relazione al supposto carattere ‘a sorpresa’ della decisione del giudice d’appello sull’intervenuta usucapione del bene locato da parte degli originari attori), è appena il caso di rilevare come la questione concernente la ridetta intervenuta usucapione fosse stata dedotta in giudizio – e oggetto di discussione in sede d’appello – già in forza delle deduzioni contenute nell’atto d ‘ appello; deduzioni che, in quanto effettivamente contenute nella pag. 13 dell’atto d’appello (richiamata a pag. 10 del controricorso depositato in questa sede), valgono ad attestare per tabulas l ‘ insussistenza di alcun obbligo del giudice d’appello di prospettare in modo esplicito la questione dell’usucapione (come titolo giustificativo della situazione proprietaria legittimante
l’azione degli originari attori) ai fini del rispetto delle ragioni del contraddittorio;
dev’essere infine rilevata la sostanziale inammissibilità dell’illustrazione contenuta nella censura in esame con riguardo alla dedotta limitata invocazione del proprio titolo dominicale, da parte degli attori, nei confronti della sola NOME COGNOME, avendo i ricorrenti omesso di tener conto dei passaggi della motivazione (condivisibilmente elaborata dal giudice d’appello ) attraverso i quali la corte territoriale ha esplicitamente dato atto della piena consapevolezza della contrarietà dei comproprietari alla stipulazione della locazione da parte di tutti i conduttori (NOME COGNOME e NOME COGNOME: cfr. pagg. 9 ss. della sentenza impugnata);
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 101 e 183 c.p.c., nonché degli artt. 1418 e 1346 c.c. (in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla richiesta di parte convenuta (odierna ricorrente) volta a pronunciare la nullità del testamento olografo di NOME COGNOME, per avere quest’ultima disposto di cosa altrui;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la questione dedotta con il motivo in esame debba ritenersi definitivamente superata dalla decisività dell’avvenuto accertamento, da parte del giudice d’appello, dell’usucapione dell’immobile de quo ad opera dei fratelli COGNOME;
in breve, gli odierni ricorrenti non appaiono titolari di alcun interesse alla pronuncia relativa alla nullità del testamento olografo di NOME COGNOME, una volta individuata la decisività, ai fini dell’odierna
contro
versa, dell’avvenuto accertamento dell’usucapione quale titolo di acquisto della proprietà del bene da parte degli originari attori;
con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione in relazione dell’art. 115 c.p.c., nonché degli artt. 1105, 2028, 2029, 2030, 2031, 2032 c.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale ritenuto che, per effetto della conclusione del nuovo contratto di locazione da parte della sola comproprietaria NOME COGNOME (nella specie riconducibile al modello della negotiorum gestio ), gli altri comproprietari (divenuti tali per l’intervenuta usucapione rilevata dal giudice d’appello) fossero divenuti parti del medesimo contratto di locazione, e per aver altresì erroneamente omesso di rilevare che i comproprietari non locatori non avevano mai manifestato alcun previo dissenso alla conclusione del contratto di locazione, trascurando il dato secondo cui il secondo contratto di locazione dell’1/5/2018 era stato stipulato prima che il COGNOME ricevesse la disdetta relativa al primo contratto di locazione da parte degli altri comproprietari;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la censura in esame non contenga alcuna denuncia del paradigma dell’art. 115 c.p.c., essendosi gli odierni ricorrenti limitati a prospettare in questa sede una mera rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità, non contenendo, la censura in esame, alcuna denuncia del paradigma dell’art. 115 c.p.c.;
sul punto, varrà richiamare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale per dedurre la violazione del paradigma dell ‘ art. 115 c.p.c. è necessario denunciare
che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla ‘ valutazione delle prove ‘ (cfr. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01);
da ultimo, è appena il caso di rilevare come i ricorrenti abbiano del tutto omesso di considerare la deduzione contenuta nella sentenza impugnata nella parte in cui afferma come, solo con la registrazione del contratto dell’1/5/2018 (avvenuta in data 9.7.2018) quest’ultimo abbia assunto una data certa (ultima riga della pag. 9 e prima riga della pag. 10 della sentenza impugnata), da ciò rendendosi evidente che, sia COGNOME NOME (locatrice), sia NOME COGNOME che NOME COGNOME (conduttori), fossero consapevoli del dissenso della maggioranza dei comproprietari alla permanenza della locazione;
con il quarto motivo (proposto in via gradata rispetto alle precedenti doglianze), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1140, 1146 e 534 c.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) per avere la corte territoriale erroneamente ritenuta raggiunta la prova dell’intervenuta usucapione, da parte degli eredi di NOME COGNOME, dell’immobile dedotto in giudizio, atteso che l’unico soggetto ad aver posseduto detto immobile per il periodo eventualmente utile ai fini dell’usucapione era stata la sola NOME COGNOME;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, anche in relazione alla censura in esame, i ricorrenti si siano limitati a prospettare una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove (con particolare riguardo alla dimostrazione dell’intervenut a usucapione nell’immobile de quo da parte degli eredi di NOME COGNOME) ancora una volta sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede di legittimità;
con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.), per avere il giudice di appello erroneamente omesso di disporre la compensazione integrale delle spese del giudizio, in considerazione della complessità della vicenda e dell’accertata nullità del testamento olografo, circostanza, quest’ultima, tale da comportare la reciprocità della soccombenza delle parti;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, con riguardo al tema della contestata omessa compensazione delle spese del giudizio, sia appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa
Corte, ai sensi del quale, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 -01 e success. conformi);
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 18/9/2025.
Il Presidente NOME COGNOME