Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25085 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25085 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5828/2023 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in PUTIGNANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2556/2022 depositata il 12/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., datato 17 febbraio 2020, NOME COGNOME titolare della rivendita speciale tabacchi n. 63, sita all’interno della stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova, chiedeva l’accertamento della nullità parziale del contratto di locazione stipulato con la locatrice RAGIONE_SOCIALE.a. il 18 dicembre 2007 con riferimento: 1) all’art. 4 del contratto, nella parte in cui era previsto un contributo a carico della parte conduttrice da versarsi nei confronti della locatrice, pari a euro 300.000,00, per lavori di riqualificazione del complesso ferroviario; 2) all’art. 8, con riferimento, da un lato, alla clausola con cui era previsto il pagamento di un canone diverso da quello legalmente previsto dall’art. 11, II comma, legge 25/1986 e, dall’altro, della clausola che prevedeva l’aggiornamento automatico del canone in misura pari alla variazione dell’Istat; 3) all’art. 11, nella parte in cui prevedeva l’obbligo della conduttrice di provvedere al pagamento degli oneri accessori relativi alle parti comuni del complesso della stazione ferroviaria, in quanto in contrasto con l’art. 9 legge 392/1078 e in quanto servizi destinati in via esclusiva al servizio della clientela di parte convenuta e dei viaggiatori; 4) agli artt. 22 e 18, ossia della clausola che prevedeva il diritto della locatrice al rimborso delle attività promozionali e/o pubblicitarie pari al 5% del canone complessivo annuo, per contrasto con l’art. 79 legge 392/78.
Chiedeva, inoltre, la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 300.000,00 in quanto indebitamente corrisposta in ragione della dedotta nullità di cui all’art. 4.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE affermando la infondatezza e pretestuosità dell’avverso ricorso.
Con sentenza n. 300/2022 il Tribunale di Verona dichiarava la nullità parziale del contratto stipulato in data 18 dicembre 2007, con riferimento agli art. 4 e 8; dichiarava l’art. 8 sostituito di diritto ex artt. 1339 1419 c.c. dal disposto di cui all’ar t. 11, II comma, legge 25/1988; condannava la convenuta alla restituzione dell’importo di euro 300.000,00 (a seguito della ritenuta natura indebita del pagamento richiesto ai sensi dell’art. 4), oltre interessi di mora; rigettava le domande attoree di accertamento della nullità delle clausole di cui agli art. 11 e 22 del contratto; dichiarava integralmente compensate le spese di lite.
Secondo il Tribunale trovava applicazione la disposizione speciale di cui all’art. 11, II comma, legge 25/1986 secondo cui ‘Il canone annuo che le rivendite di stazione corrispondono all’Ente delle ferrovie dello Stato è determinato, dal 1° gennaio 1985, nella misura massima del quindici per cento del reddito a tabacchi conseguito dall’esercizio nell’anno finanziario precedente, al netto dell’imposta di concessione governativa’.
Parimenti nulla era la previsione di cui all’art. 4 del contratto, che prevedeva il contributo di euro 300.000,00 da parte della conduttrice per rimborso oneri di riqualificazione per ‘miglioramento immagine e qualità degli spazi commerciali’, trattandosi, in realtà, di un indebito vantaggio.
Avverso detta sentenza proponeva appello RAGIONE_SOCIALE Si costituiva NOME COGNOME contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
A seguito della istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza avanzata da GSR, si radicava il subprocedimento definito con ordinanza di rigetto dell’istanza.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 12 gennaio 2023 accoglieva l’appello, rilevava la novità del dedotto abuso di
dipendenza economica da parte dell’appellata. Riteneva giustificata la clausola ex art. 4 costituendo la causa del corrispettivo una tantum, di euro 300.000,00, individuata nell’interesse comune dei contraenti alla riqualificazione della stazione ferroviaria di Verona, ove è ubicata l’unità immobiliare da concedere in locazione.
Quanto all’art. 11, secondo la Corte l’ente Ferrovie poteva richiedere un corrispettivo per l’affidamento della rivendita di tabacchi ulteriore rispetto a quello richiesto per il godimento dei locali ove essa sarà esercitata. Solo per limitare la forza con trattuale dell’ente Ferrovie in relazione al primo corrispettivo sarebbe stata dunque introdotta la disposizione di cui all’art. 11, III comma, legge n. 25/1986, ferma restando l’autonomia contrattuale delle parti nella determinazione del corrispettivo della locazione immobiliare sottostante.
Pertanto, in accoglimento dell’appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, la Corte territoriale accertava la validità delle previsioni di cui agli artt. 4 e 8 del contratto di locazione del 18 dicembre 2007 e rigettava la domanda formulata da parte di NOME COGNOME di restituzione della somma di euro 300.000,00 e compensava le spese di lite di entrambi i gradi.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 132 n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omessa considerazione delle risultanze della prova testimoniale e dei documenti posti a fondamento della decisione del Tribunale che avrebbe posto a fondamento della decisione tali elementi ritenendoli idonei a dimostrare un dato fattuale di indubbia valenza storicofenomenica, decisivo al fine di dimostrare l’illecita p retesa di parte
locatrice del rimborso oneri. La Corte veneziana, al contrario, avrebbe ritenuto non condivisile la tesi del Tribunale in ordine alla nullità della clausola contrattuale, senza considerare che dalla prova testimoniale era emerso che i lavori di riqualificazione erano stati eseguiti dalla locatrice, non sull’immobile oggetto del contratto, ma solo sull’area circostante della stazione ed esterna ad essa. Sul punto la motivazione sarebbe solo apparente.
La Corte di Appello non avrebbe esaminato i fatti costitutivi dei diritti controversi (deposizione testimoniale e documentazione prodotta dalla difesa di GSR) e la sentenza non consentirebbe di individuare le fonti del convincimento che hanno indotto la Corte giudicante a negare le evidenze istruttorie.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
In primo luogo, rileva il Collegio che il motivo presuppone -peraltro senza nemmeno dedurre formalmente la violazione di norme ermeneutiche una sostanziale errata interpretazione dell’art. 4 del contratto. Peraltro, al di là dell’assenza di detta deduzi one, nell’illustrazione lo fa senza sottoporre la questione alla Corte di legittimità secondo i canoni previsti dalla giurisprudenza.
La censura ruota intorno al testo dell’art. 4 (Rimborso Oneri) del contratto che prevede che ‘A titolo di parziale rimborso degli oneri che Grandi Stazioni dovrà direttamente sostenere per l’esecuzione di opere ed interventi vari, nell’ambito dei lavori di riqualificazione del complesso di Verona INDIRIZZO, direttamente ed indirettamente finalizzati al miglioramento dell’immagine e della qualità degli spazi commerciali in genere ed in particolare di quelli destinati all’attività di cui al presente contratto, e ciò al fine di elevare gli standard offerti alla clientela di stazione e, conseguentemente, il livello qualiquantitativo dei servizi offerti, Avesani si impegna a corrispondere a Grandi Stazioni l’importo di € 300.000,00 oltre Iva…’.
Si ricorda che, al fine di far valere una violazione ermeneutica il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle
regole legali di interpretazione (artt. 1362 e segg. c.c.) mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044).
Nel caso di specie il motivo -al di là dell’assenza di deduzione formale dei criteri ermeneutici – non presenta nella sostanza nessuno di tali caratteri.
Il motivo, fermo l’esposto rilievo, se si scrutina considerando le norme di cui formalmente lamenta la violazione, è infondato.
La ricorrente prospetta due censure distinte.
La prima, sub Ia) concerne la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ma non è dedotta nel rispetto dei criteri indicati a suo tempo da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi ex multis, da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020.
Infatti, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al
notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, Rv. 659037 – 01)
La doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, Rv. 659037 – 02).
In realtà, parte ricorrente lamenta l’omesso esame di emergenze istruttorie e se anche si volesse intendere la censura come omesso esame dei fatti rappresentati da esse, ai sensi dell’art. 360 n. 5, difetterebbe -come necessario secondo S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014 -l’indicazione del se e dove tali fatti erano stati dedotti sulla base di dette emergenze, nonché l’indicazione della loro decisività.
Vi è poi la seconda censura, quella sub 1b), che deve essere ricondotta all’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.
Anch’essa è infondata. Parte ricorrente rileva che la Corte territoriale si sarebbe limitata a argomentare che <>, ma nel censurare l’assenza di m otivazione
omette di legittimarsi alla censura indicando se ed in quale fase del procedimento aveva contestato l’esecuzione.
Tale indicazione sarebbe stata necessaria, mentre la ricorrente, anche per quello che ha dedotto con la prima censura evocando le prove, trascura di considerare che essa stessa ha sostenuto di avere posto in discussione la pertinenza dei lavori all’immobil e locatole. La Corte d’appello ha inteso la clausola come relativa ai lavori di riqualificazione del complesso della stazione.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 79 della legge 392/1978 con riferimento all’art. 4 del contratto di locazione VR1/2007, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c. – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, assenza di sinallagmaticità tra l’esecuzione dei lavori nel complesso di stazione e il beneficio ricavato dal conduttore oggetto di discussione – Omessa considerazione delle risultanze della prova per testi tra le parti in relazione all’art. 3 60 n. 5, c.p.c.
La clausola sarebbe priva di causa con il conseguente obbligo di RAGIONE_SOCIALE di restituire la somma ricevuta a titolo di ‘rimborso oneri’ perché inadempiente rispetto all’impegno preso in contratto (non avendo riqualificato l’immobile condotto in locazione dal la ditta COGNOME).
Inoltre, le opere eseguite nel complesso di stazione consisterebbero in interventi di straordinaria manutenzione che avendo riguardato l’edificio della stazione nel suo complesso e non l’immobile condotto in locazione, non giustificherebbero l’onere pretes o da parte locatrice (Cass. n. 20551/2014). Infine, la clausola n.4 del contratto sarebbe nulla perché, RAGIONE_SOCIALE, anche qualora avesse effettivamente migliorato l’immagine e la qualità dello spazio commerciale concesso in locazione, avrebbe preteso una somma scollegata ad un eventuale incremento del volume di affari della conduttrice.
Il motivo è infondato.
La Corte di Venezia ha espresso una valutazione corretta in iure, là dove ha affermato, con riguardo alla detta clausola, che ‘Una simile
previsione, ricorrendo un evidente interesse comune delle parti ad addivenire a tale riqualificazione, interesse che nella locatrice risiede nella valorizzazione del proprio patrimonio e nel conduttore nelle maggiori opportunità di commercio che offre un locale posto all’interno di una stazione ove è piacevole intrattenersi rispetto ad uno ubicato in una stazione degradata’, evidentemente ha escluderebbe la rilevanza del dato fattuale della mancata esecuzione di opere all’interno dei locali locati, dovendo reputarsi decisivo solo il profilo sinallagmatico dell’interesse delle parti alla riqualificazione dell’area della stazione e non anche del locale adibito a rivendita.
La censura della ricorrente tesa a negare l’interesse alla realizzazione dei lavori del complesso è priva di fondamento, per l’assorbente ragione che la riqualificazione del complesso non poteva che non giuocare a favore della ricorrente.
Pertanto, anche sotto tale profilo la motivazione in iure della Corte territoriale è corretta.
Correttamente la Corte territoriale ha evidenziato che la clausola censurata deve ritenersi legittima trattandosi di previsione di oneri predeterminati in misura anche forfettaria sinallagmatici rispetto a prestazioni ‘secondarie’ del contratto previste a carico del locatore. La previsione di un esborso predeterminato forfettariamente nel suo esatto ammontare (non destinato quindi a protrarsi per tutta la durata della locazione) ove volto a compensare una prestazione individuata a carico del locatore (le opere di ristrutturazione e riqualificazione interne al complesso di stazione) deve ritenersi legittima, ponendosi in rapporto di corrispettività con il godimento dei locali e la maggiore appetibilità degli stessi da parte dell’utenza. Trattasi di oneri determinati ex ante e previsti in termini di sinallagmaticità nel contesto dell’intero regime contrattuale; la causa del corrispettivo una tantum risiede nell’interesse comune dei contraenti alla riqualificazione della stazione ferroviaria ove è ubicata l’unità immobiliare da concedere in locazione.
Sussiste, quindi, un interesse comune delle parti ad addivenire alla riqualificazione della stazione ferroviaria (interesse che per la locatrice risiede nella valorizzazione del proprio patrimonio e per il conduttore nelle maggiori opportunità di commercio che offre un locale posto all’interno di una stazione ove è gradevole intrattenersi) e ciò esclude l’ipotesi di indebito vantaggio posto a carico di parte conduttrice, in violazione dell’art. 79 legge 392/1978.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 comma 2 della legge 25/1986, con riferimento all’art. 53 DPR 1074/1958, all’art. 15 della legge 210/1985 e all’art. 79 legge 392/1978 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p .c.
La decisione impugnata si fonderebbe sulla errata lettura dell’art. 53 DPR 14.10.1958 in ordine alla concessione della licenza speciale tabacchi nella convinzione che l’RAGIONE_SOCIALEoggi RAGIONE_SOCIALE agisca in regime di concessione e non in regime di diritto privato in relazione all’art. 15 L. 29.01.1986, n. 210.
La Corte d’appello di Venezia, effettuando una esegesi non corretta dell’art. 11, comma 2, legge 25/1986, avrebbe applicato in maniera errata la norma alla fattispecie senza considerare la successione di leggi intercorsa negli anni, con particolare riferimento alla privatizzazione dei beni delle Ferrovie dello Stato avvenuta nell’anno 1985 con l’art. 15 della legge 210.
Secondo la Corte d’Appello di Venezia, l’Ente Ferrovie dello Stato sarebbe, ancora oggi, deputato a concedere la licenza speciale tabacchi ai c.d. ‘tabaccai di stazione’ e legittimato a richiedere un canone concessorio per un’attività che non possiede e di cui non ha la licenza.
Il motivo è infondato.
Occorrere distinguere i due profili relativi al canone di locazione dell’immobile e all’importo da corrispondere all’Erario, per il tramite di Ferrovie dello Stato (oggi RAGIONE_SOCIALE) per la vendita di prodotti specifici in monopolio previsti dalla legge.
La Corte territoriale ha correttamente distinto i due profili, evidenziando che la normativa del 1986 e quella del 1957 definiscono ‘un aggio per i rivenditori di tabacco per i generi di monopolio: nessun riferimento è contenuto in alcuna delle due disposizioni alla vendita di prodotti di generi diversi che ne sono pacificamente esclusi. Quello che viene in rilevo è esclusivamente il rapporto tra il rivenditore e lo Stato (o nel caso delle Ferrovie dal soggetto che si occupa di riscuotere il canone per conto dello stato) in relazione al ‘canone’ da corrispondere per la particolare concessione ossia la rivendita di tabacchi ed altri generi di monopolio. Tale ‘canone’ dovuto in quanto previsto ex lege non è da confondere con il canone di locazione oggetto del contratto che il singolo rivenditore stipula rispettivamente con il privato che gli concede in locazione il locale all’interno del quale esercitare l’attività o nel caso in esame da Grandi Stazioni che gestisce il patrimonio disponibile di Ferrovie (tra l’ altro privatizzata nel 1985)’.
Correttamente, quindi, il canone di cui all’art. 11 comma 2 legge 25/86 è stato inteso ‘per la sola attività consistente nel commercio dei generi di monopolio’. Ove il legislatore del 1986 avesse voluto far riferimento al 15% del reddito derivante dalla vendita di tabacchi e altri prodotti, avrebbe menzionato nel comma in questione il reddito della rivendita, senza alcun ulteriore distinguo. Quando sia esercitata sia l’attività di rivendita speciale tabacchi, sia la vendita di articoli extra privativa, le parti possono concordare una quota parte ulteriore di canone relativa alla vendita di altri prodotti, fermo il rispetto delle disposizioni relative alla percentuale dovuta sulla vendita dei tabacchi.
Appaiono ragionevoli e giuridicamente corrette le due principali argomentazioni poste a sostegno del provvedimento impugnato.
In primo luogo, appare pertinente il riferimento al dato letterale della norma. La disposizione di cui all’art. 11 comma 2 L. 25/1986, determina la misura massima del canone annuo dovuto all’Ente
Ferrovie (ed oggi, dopo la relativa privatizzazione, a RAGIONE_SOCIALE) e si riferisce al corrispettivo per l’esercizio della rivendita di generi di monopolio, e non anche al canone per il godimento dei locali in cui quell’attività si svolge. Ciò si evince dal fatto che la norma non menziona il profilo della vendita da parte del concessionario di generi extra privativa, mentre fa riferimento al reddito ricavato dalla vendita di tabacchi.
In secondo luogo, come rilevato dalla Corte territoriale, non appare sostenibile l’interpretazione opposta.
La previsione di un canone massimo per le rivendite di generi di monopolio trova la sua ratio nella necessità di garantire la presenza di esercizi commerciali producono introiti per l’erario, mentre l’estensione di tale limite più favorevole anche ai casi in cui la vendita di generi di monopolio si accompagni a quella di vendita di generi extra privativa lederebbe la libera concorrenza nel settore, rispetto agli esercizi commerciali aventi differenti caratteristiche, ma abilitati a vendere i medesimi beni di consumo.
Il motivo va conclusivamente rigettato sulla base del seguente principio di diritto: <>.
Il ricorso, conclusivamente, è rigettato.
Le spese di lite, stante la obiettiva peculiarità della vicenda e la novità di alcune questioni, non esaminate in questa sede di
legittimità nei termini che precedono, possono interamente compensarsi tra le parti.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di lite
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte