Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26939 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26939 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1595/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3689/2018 depositata il 31/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.il Tribunale di Velletri con sentenza 352/2013 accertò che la società RAGIONE_SOCIALE aveva frapposto ostacoli all’esercizio di una servitù di passo costituita con atto pubblico in data 23 luglio 2007 a favore di un fondo appartenente a NOME COGNOME e condannò la convenuta alla rimozione di un cancello ed al ripristino della strada alla quota originaria.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3689 del 31 maggio 2018, ha rigettato il gravame della RAGIONE_SOCIALE e questa ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi avversati da NOME COGNOME con controricorso.
È stata formulata proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità o manifesta infondatezza dei quattro motivi di ricorso.
La ricorrente ha fatto istanza di decisione della causa.
Nell’istanza è stato rimarcato che contro la predetta sentenza n.3689/2018 avevano proposto opposizione di terzo, ex art. 404 c.p.c., NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Costoro erano tutti condomini del complesso immobiliare ‘Parco RAGIONE_SOCIALE‘, realizzato dalla RAGIONE_SOCIALE, e quindi comproprietari pro-indiviso del viale di accesso al complesso
immobiliare, che avrebbe costituito altresì parte del fondo servente, su cui si esercitava il passaggio da parte del COGNOME. Nella resistenza del COGNOME e della stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 2441 del 12 aprile 2022, aveva dichiarato inammissibile l’opposizione ritenendo gli opponenti privi della legittimazione attiva in ragione del fatto che gli stessi, avendo acquistato, ciascuno, un immobile dalla società convenuta, ed essendo dunque aventi causa dalla stessa, non avrebbero rivestito la qualità di soggetti terzi, non vantando un diritto autonomo ed incompatibile con la situazione giuridica accertata dalla sentenza pronunziata fra le altre parti. La Corte di Appello aveva ritenuto irrilevante, ai fini della legittimazione, l’epoca dell’acquisto, ‘se precedente o successivo all’introduzione del giudizio, perché la qualità di terzo che legittima la proposizione della presente azione risiede nel fatto non di essere rimasti terzi rispetto al processo, quanto, piuttosto, nel fatto che il diritto di ciascuno derivando dalla società convenuta nel giudizio, non è autonomo o incompatibile con quello, come detto, accertato in giudizio’. La Corte di Appello aveva infine ritenuto assorbita ‘l’eccezione di difetto di litisconsorzio necessario, attivo e passivo, … poiché solo se gli attori fossero stati legittimati all’azione proposta o se fossero intervenuti nel giudizio, avrebbe potuto, semmai, essere esaminata’. La sentenza n. 2441/2022 è stata cassata con rinvio da questa Corte con ordinanza n.28779 del 17 ottobre 2023 c.p.c. resa nel contradditorio di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE. Quest’ultima aveva aderito alle conclusioni dei ricorrenti. La Corte di Cassazione ha statuito che: ‘L’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata consiste nell’aver posposto la successione logica degli argomenti da trattare: la questione riguardante l’integrità del contraddittorio era necessariamente preliminare rispetto al contenuto del diritto azionato e, dunque, alla legittimazione ad processum. Infatti, il comproprietario può impugnare con opposizione di terzo la
sentenza resa “inter alios” che abbia ordinato la demolizione o la modifica della cosa, anche qualora egli non specifichi il “pregiudizio” ex art. 404, comma 1 c.p.c., giacché questo, e il correlativo interesse ad impugnare, sono “in re ipsa”, discendendo dalla natura del “decisum”, implicante il mutamento della cosa oggetto del diritto sostanziale (Sez. 2, n. 35457 del 2 dicembre 2022; Sez. 2, n. 22694 del 6 novembre 2015). D’altronde, non è dubbio che l’azione, di natura reale, volta alla modifica di un immobile in comunione va proposta nei confronti di tutti i comproprietari, quali litisconsorti necessari dal lato passivo, giacché, stante l’unitarietà del rapporto dedotto in giudizio, la sentenza pronunziata solo nei confronti di alcuni è “inutiliter data” (Sez. 2, n. 3925 del 29 febbraio 2016). In tal senso -contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello ha importanza peculiare stabilire se, al momento dell’inizio del processo, il fondo asserito servente fosse in proprietà esclusiva o in comproprietà. E, a maggior ragione, ha importanza stabilire se la domanda originaria sia stata trascritta oppure no, come avrebbe dovuto essere, ai sensi dell’art. 2653 n. 1 c.c.’; considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta ‘la nullità della sentenza o del procedimento per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari nonché per mancata rimessione al primo giudice, rispettivamente ex art. 102 c.p.c. e 354 c.p.c.’. Si sottolinea che nell’originaria citazione NOME COGNOME si era dichiarato ‘comproprietario’ del fondo dominante e si deduce che essa ricorrente aveva nel tempo venduto molte unità immobiliari. Se ne trae che, in relazione alla natura petitoria della azione proposta ex adverso e al contenuto della domanda, comprensivo della richiesta di riduzione in pristino e quindi di modifica dello stato del fondo servente, la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare il difetto iniziale dei necessari litisconsorti sia dal
lato attivo sia dal lato passivo, dichiarare nulla la sentenza di primo grado e rimettere la causa al Tribunale per la rinnovazione del procedimento a contraddittorio integro;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta ‘nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma n.4, c.p.c. ovvero, anche in via subordinata, violazione o falsa applicazione degli artt. 1064, comma 2, e 1065 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c.’. Ricorda la ricorrente di avere fino dal primo grado di giudizio offerto alla controparte le chiavi e telecomandi del cancello la cui apposizione era stata ritenuta lesiva della servitù di passo. Sostiene che la Corte di Appello aveva trascurato di pronunciarsi ‘sulla sufficienza o meno di tale dotazione’ e così violato l’art. 112 c.p.c. e che comunque, disponendo la rimozione del cancello senza considerare che l’utilità per il fondo dominante sarebbe stata reintegrata con minore aggravio per il fondo servente mediante la consegna delle chiavi e dei telecomandi aveva violato i suddetti articoli del codice civile. La ricorrente deduce infine che ‘tutt’affatto analoghe violazioni caratterizzano la sentenza anche sull’aspetto dell’asserito dislivello tra le quote del fondo servente e le residue proprietà dei venditori e titolari del fondo dominante’ atteso che la Corte di Appello aveva mancato di verificare ‘se e come tale dislivello incidesse’;
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1028, comma 2, 1063 e 1065 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c.’. Sostiene la ricorrente che il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere, anche mal interpretando la relazione del CTU, la natura ‘industriale della servitù’ vantata dal COGNOME e che la Corte di Appello aveva commesso lo stesso errore. Viene su questa base attaccata la affermazione della Corte di Appello secondo cui ‘era immune da censure l’iter logico giuridico seguito dal Tribunale di Velletri,
laddove ha posto le suddette risultanze peritali a fondamento della propria decisione’;
4. con il quarto motivo di ricorso si lamenta ‘nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 61 e 113 c.p.c.’, in relazione all’art. 360, primo comma n.4, c.p.c. per avere la Corte di Appello rigettato il motivo di appello con cui era stata criticata la sentenza di primo grado in relazione al fatto che il tribunale aveva delegato al ctu attività giuridiche. La Corte di Appello ha affermato che il ctu aveva ‘correttamente risposto ai quesiti specifici richiesti rilevando la sussistenza di un ostacolo obiettivo all’esercizio della servitù costituito dalla apposizione del cancello privo di impianto di apertura a distanza e di impianti citofonici il quale andava a limitare e pregiudicare la destinazione sia residenziale che commerciale del fondo dominante; la realizzazione ad opera della RAGIONE_SOCIALE di una strada posta a quota più bassa rispetto al terreno del COGNOME‘;
5.Il primo motivo di ricorso è infondato.
La ricorrente sostiene che poiché il ricorrente si era sempre dichiarato comproprietario del fondo dominante la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare il difetto di contraddittorio rispetto agli altri comproprietari da ritenersi litisconsorti necessari. Va al riguardo ribadito che ciascuno dei comproprietari è abilitato ad esercitare azioni a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune (v. Cass. 11199/2000; Cass. 4354/1999)
La ricorrente sostiene poi che vi sarebbero comproprietari del fondo servente e che la Corte di Appello avrebbe dovuto compiere accertamenti per verificarne l’esistenza per poi, trattandosi di soggetti litisconsorti necessari, rilevare il difetto originario di contraddittorio. Va al riguardo ribadito invece che ‘ In tema di litisconsorzio necessario, nel caso in cui la non integrità del contraddittorio non possa essere rilevata direttamente dagli atti o in base alle prospettazioni delle parti e venga eccepita da una di
esse, spetta alla parte che la deduce l’onere non solo di indicare le persone dei litisconsorti asseritamene pretermessi, ma anche di provare i presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’invocata integrazione e, cioè, i titoli in base ai quali i soggetti pretermessi assumono la veste di litisconsorti necessari’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n.5580 del 16/03/2006).
In questa sede e allo stato non è dirimente, al contrario di quanto assume la società ricorrente, il ricordato pronunciamento di questa Corte di legittimità n.28779/2023 con cui è stata cassata la decisione dei giudici di appello romani, n.2441/2022, atteso che questa Corte ha rinviato la causa alla Corte territoriale per la verifica della integrità del contraddittorio sollevata con il ricorso ex art. 404 c.p.c., rispetto all’azione, di natura reale, volta alla modifica dell’immobile in comunione tra i ricorrenti e la RAGIONE_SOCIALE;
6. il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. la ricorrente deduce di essersi offerta di consegnare al COGNOME le chiavi o i telecomandi del cancello e che la Corte di Appello avrebbe violato la norma omettendo di pronunciare ‘sulla sufficienza o meno della dotazione’. La violazione dell’art. 112 c.p.c. può essere lamentata in riferimento all’omesso esame di una domanda o di una eccezione o, in appello, di un motivo di appello, non della ‘sufficienza o meno’ di una dotazione che la parte si offra di adottare per soddisfare l’interesse della controparte.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 1064 c.c. per aver la Corte di Appello disposto la rimozione del cancello senza considerare che l’utilità per il fondo dominante sarebbe stata reintegrata con minore aggravio per il fondo servente mediante la consegna delle chiavi e dei telecomandi deve osservarsi che tale deduzione è scollegata dall’accertamento in fatto della Corte di Appello secondo cui il cancello era privo di meccanismi di apertura a distanza e di citofono. Alla luce di tale accertamento, la statuizione della Corte di
Appello appare coerente con il principio per cui il proprietario del fondo gravato da servitù di passaggio, conserva sì il diritto di difenderlo dall’ingerenza di terzi, diritto del quale costituisce lecita esplicazione l’ installazione di un cancello all’ingresso della strada su cui si esercita il passaggio, purché però siano adottati gli accorgimenti idonei a consentire al titolare della relativa servitù il libero esercizio del suo diritto senza che ne risultino, al di là di trascurabili disagi, limitazione al suo contenuto. Ne consegue che, pur potendo il proprietario del fondo installare un cancello, da questo dovranno derivare solo disagi minimi e trascurabili in relazione alle pregresse modalità di transito. Nel caso è evidente la violazione dell’art. 1064 c.c. dal momento che il cancello apposto era privo di dispositivi di apertura a distanza e di citofono cosicché l’effettivo godimento del passaggio era ostacolato.
Inammissibile per totale difetto di specificità è l’ulteriore doglianza per cui la Corte di Appello avrebbe commesso ‘tutt’affatto analoghe violazioni … anche sull’aspetto dell’asserito dislivello tra le quote del fondo servente e le residue proprietà dei venditori e titolari del fondo dominante’ atteso che la Corte di Appello aveva mancato di verificare ‘se e come tale dislivello incidesse’. Si osserva del resto che la statuizione della Corte di Appello di conferma della sentenza di primo grado in punto di ripristino della strada alla quota originaria è conseguente all’accertata ‘realizzazione ad opera della RAGIONE_SOCIALE di una strada posta a quota più bassa rispetto ai terreni del COGNOME‘ (v. sentenza impugnata, ultima pagina) ed alla violazione della clausola del contratto costitutivo della servitù per cui la servitù veniva costituita ‘attraverso una strada della larghezza di metri sei oltre marciapiedi nel rispetto della quota del terreno confinante di proprietà residua dei venditori’ (v. controricorso, p. 5);
7. il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si risolve nella prospettazione di una ricostruzione dei fatti e di una lettura
della Ctu alternative rispetto a quelle date dalla Corte di Appello e quindi il motivo è estraneo all’ambito del giudizio di legittimità (v. Cass. SU n.24148/2013). Peraltro la Corte di Appello non ha legato la decisione all’accertamento della natura ‘industriale della servitù’ (art. 1028 c.c.) avendo legato invece la decisione all’accertamento per cui la apposizione del cancello ‘andava a limitare e pregiudicare la destinazione sia residenziale che commerciale del fondo dominante’;
8. il quarto motivo di ricorso è inammissibile. La Corte di Appello (v. ultima pagina della sentenza impugnata e il superiore punto 4.) ha basato la propria decisione sugli accertamenti del CTU riguardanti fatti non valutazioni giuridiche. La Corte di Appello non ha quindi violato l’art.61 del c.p.c. confermando l’ammissibilità della CTU disposta dal Tribunale nel rispetto del limite intrinseco consistente nella funzionalità del mezzo alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico o all’accertamento, implicante in sé cognizione tecniche, di determinati fatti (v. precisazione della Corte di Appello, p. 4 della sentenza impugnata, per cui la CTU disposta aveva ‘natura percipiente’);
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
11. poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatto applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;
12. sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna la parte ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 3500,00 in favore della controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma 9 ottobre 2024
Il Presidente NOME COGNOME