Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8133 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8133 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30874/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME ed COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL);
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL); -controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME;
s sul ricorso incidentale proposto da:
COGNOME NOME;
-ricorrente incidentale non costituito -contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL); -controricorrente al ricorso incidentale- e nei confronti di
COGNOME NOME ed COGNOME NOME;
-intimati-
Avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 3268/2020 depositata il 29/09/2020 e notificata, tramite pec, in data 1/10/2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME, proprietaria dell’immobile di INDIRIZZO nel comune di RAGIONE_SOCIALE, conveniva, dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari del piano terra, e NOME COGNOME, proprietario del primo piano del palazzo in INDIRIZZO, chiedendo che fossero condannati a regolarizzare le aperture sulla sua proprietà o a chiuderle e
-intimato-
comunque a far cessare l’abuso ed a risarcirle i danni medio tempore prodotti;
i coniugi COGNOME, costituitisi, eccepivano -ai fini che ancora interessano -il difetto di legittimazione attiva e passiva, in quanto le luci insistevano su un muro condominiale e per di più, essendo quello di INDIRIZZO, un palazzo di notevole interesse storico ed artistico, lamentavano la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE archeologici RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE;
NOME COGNOME chiedeva il rigetto delle domande dell’attrice e e, in via riconvenzionale, che la stessa fosse condannata ex art. 96 cod. proc. civ. per lite temeraria;
con la sentenza n. 64/15, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attorea e, per l’effetto, condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME a regolarizzare le luci secondo i criteri e con le modalità stabilite dal CTU e al pagamento, a titolo risarcitorio, di euro 500,00, rigettava la domanda nei confronti di NOME COGNOME e, accogliendo la domanda riconvenzionale di quest’ultimo, condannava NOME COGNOME a corrispondergli la somma di euro 400,00, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.;
avverso detta decisione interponevano appello NOME COGNOME (solo per le statuizioni nei confronti di NOME COGNOME) ed i coniugi COGNOME;
la Corte d’Appello, riuniti gli appelli, con la sentenza n. 3268/2020, pubblicata il 29 settembre 2020 e notificata in data 1/10/2020 , ha accolto l’appello di NOME COGNOME, ha, quindi, dichiarato cessata la materia del contendere nei confronti di NOME COGNOME, ha annullato la condanna ex art. 96 cod. proc. civ., ha dichiarato NOME COGNOME soccombente virtuale, ha rigettato l’appello dei coniugi COGNOME;
i coniugi COGNOME affidano a quattro motivi il ricorso per la cassazione di detta pronuncia e lo illustrano con memoria;
resiste con controricorso NOME;
NOME COGNOME ha notificato, ma non depositato, ricorso incidentale, basato su un solo motivo, al quale ha resistito con controricorso NOME;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod. proc. civ.;
NOME COGNOME ha depositato memoria
Considerato che:
Ricorso di NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME
con il primo motivo alla Corte d’appello si imputa di aver violato e falsamente applicato gli artt. 101, 102 cod. proc. civ. e l’art. 111 Cost;
i ricorrenti insistono circa la violazione del principio del contraddittorio, per la pretermissione del condominio e degli altri comproprietari delle mura maestre ove insistono le luci, oggetto di controversia, ritenuti litisconsorti necessari;
oggetto di impugnazione è la statuizione con cui la Corte d’appello, come già il Tribunale, ha ritenuto che le luci servivano unicamente i locali di proprietà degli odierni ricorrenti, per cui non potevano essere considerate condominiali (diversamente dal muro perimetrale nel quale si aprivano), ma di loro proprietà esclusiva e ha evocato Cass. n. 7745/1999 per affermare che la domanda di eliminazione delle vedute aperte sul muro perimetrale avrebbe dovuto essere proposta nei confronti del proprietario delle vedute e non nei confronti di tutti i condomini, perché l’azione, volta a regolarizzare le luci, ha natura reale e in quanto tale ha come destinatario il proprietario dell’immobile servito dalle luci prive dei requisiti di legge;
l’errore della Corte d’Appello consisterebbe nel travisamento del principio di diritto enunciato da questa Corte nella pronuncia evocata;
i ricorrenti aggiungono che la Corte d’Appello, con ragionamento distorto, avrebbe negato il fatto che per regolarizzare le luci avrebbero dovuto compiere illeciti amministrativi e reati, per il fatto di dover intervenire su un immobile di interesse storico, osservando che, del resto, NOME COGNOME vi aveva provveduto;
il motivo va rigettato;
il travisamento del principio di diritto che viene attribuito alla sentenza qui impugnata è argomentato riprendendo la motivazione in diritto della pronuncia n. 7745/1999; il caso sottoposto allo scrutinio di legittimità era molto simile a quello per cui è causa: era stata chiesta la chiusura di alcune vedute aperte sul muro perimetrale dell’immobile prospiciente quello dell’attore o, quanto meno, l’intervento sulle stesse per renderle conformi alle prescrizioni dell’art. 901 cod. civ.; la domanda era stata accolta dal giudice di appello; con il primo motivo di ricorso per cassazione la sentenza d’appello veniva censurata per vizio del contraddittorio, perché, secondo il ricorrente, la domanda di chiusura delle vedute andava proposta nei confronti di tutti i condomini dell’edificio, nel cui muro perimetrale le vedute si aprivano; questa Corte ha ritenuto detta censura ‘ destituita di fondamento, poiché la domanda tendeva solo all’eliminazione delle vedute, che, al contrario, del perimetrale nel quale si aprono, non costituiscono RAGIONE_SOCIALE condominiali.
Peraltro, il ripristino a luci delle vedute non inciderebbe affatto sul muro perimetrale, sicché anche la prospettazione fatta con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., fondata sul pregio architettonico dell’edificio, a prescindere dalla sua inammissibilità, conseguente alla novità della questione, si rivela comunque infondata ‘;
è chiaro, dunque, che questa Corte ha rigettato il motivo con cui si lamentava il fatto che la sentenza non fosse stata pronunciata
nei confronti di tutti i condomini dell’edificio nel cui muro perimetrale si aprivano le vedute, ritenendo che il muro perimetrale costituisse un bene condominiale, ma che lo stesso non poteva dirsi per la veduta;
ne consegue che la Corte d’appello ha evocato e correttamente applicato il principio di diritto enunciato da Cass. n. 7745/1999 , sicché deve dirsi del tutto sfornita di fondamento la censura dei ricorrenti che sostengono, invece, (cfr. p. 10) che ‘ a rigor di logica ‘ la decisione di legittimità avrebbe affermato ‘ l’esatto contrario ovvero che quando le modifiche richieste incidono sulle parti comuni legittimato passivo è il condominio essendo proprietario delle mura maestre in uno a tutti i condomini ‘;
parimenti non meritano accoglimento le ulteriori critiche mosse al decisum impugnato, perché non ne è stato colto il fondamento, atteso che il giudice a quo ha replicato, respingendole, alle argomentazioni difensive che gli appellanti/odierni ricorrenti avevano addotto a sostegno della loro tesi, secondo cui per effettuare la modifica richiesta dal Tribunale avrebbero dovuto chiedere il permesso di costruire al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, la quale, peraltro, non avrebbe potuto concederlo essendo l’edificio sottoposto a vincolo paesaggistico;
con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., ‘ degli artt. 822 c.p.c. e 111 Cost. violazione e falsa applicazione del principio dell’abuso del diritto ‘;
i ricorrenti assumono -dopo un’ampia illustrazione degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sull’abuso del diritto, allo scopo dichiarato di offrire le coordinate per cassare la sentenza -che la domanda attorea sarebbe stata proposta a scopo vendicativo, a seguito di una accesa discussione tra l’attrice e NOME COGNOME, come sarebbe dimostrato dalle foto a corredo
della CTU e dal fatto che solo alcune luci e non altre sarebbero state denunciate per violazione dell’art. 902 cod. proc. civ.;
il motivo non ha pregio;
la Corte d’Appello ha dichiarato assorbito il quarto motivo di appello con cui era stata denunciata la natura emulativa dell’azione, affermando ‘ che deve essere esclusa in ragione della sua fondatezza ‘ ;
il che già è sufficiente per non dare seguito alla censura, la quale non indica affatto le ragioni per cui la sentenza d’appello dovrebbe considerarsi errata in iure , limitandosi a teorizzare sulla ricorrenza di una figura generale di abuso del diritto che emerge dalle trame del nostro sistema giuridico -i ricorrenti evocano tutti i formanti: quello normativo giudiziale, quello dottrinario e quello normativo -che la Corte d’appello, però, non ha disconosciuto, essendosi limitata a rilevare che la fondatezza della domanda attorea bastava ad escludere la natura emulativa della stessa;
3) con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 901 e 902 c.p.c. ‘ e dell’art. 2697 cod. civ. in combinato disposto con gli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2056 cod. civ.;
il motivo è illustrato in questo modo: i ricorrenti premettono che ‘tutto ciò assorbe la statuizione relativa alla condanna dei danni statuiti dal primo giudice ‘, riportano alcuni stralci del dispositivo della sentenza del Tribunale, alcuni passaggi della motivazione della stessa, aggiungono ‘sul punto è il caso riportare il 3° quesito ‘verificare eventualmente la sussistenza di danni’. Pag. 7 CTU considerato che nessuna modica sostanziale sia stata effettuata alle citate luci, non ci sono stati danni arrecati al fondo della parte attorea”, concludono che la statuizione del giudice è stata resa in aperta violazione del principio dell’onere della prova e dell’art. 2056 cod. civ.;
le ragioni di inammissibilità del motivo sono plurime:
l’illustrazione del motivo riguarda direttamente la sentenza di prime cure, non prospetta alcuna critica alla sentenza qui impugnata ed è pertanto inammissibile sotto il profilo dell’art. 366, n. 4 cod. proc. civ., poiché non si correla alla motivazione enunciata dalla Corte territoriale nel riformare la sentenza di primo grado, in ossequio alla funzione di ” revisio prioris instantiae ” del giudizio di appello, il quale, pur se circoscritto ai motivi di censura, mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata del giudizio di legittimità anche con riguardo al dovere del giudice di rivalutare autonomamente la CTU e il materiale probatorio osservato dal giudice di primo grado (Cass. 20/12/2021, n. 40753; Cass. 5/05/2020, n. 8460; Cass., Sez. Un., 16/11/2017, n. 27199); sicché, non apparendo il motivo correlato alla ratio decidendi , esso va incontro alla declaratoria di inammissibilità, in applicazione del principio di diritto enunciato da Cass., Sez. Un. 20/03/2017, n. 7074: ” Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo ‘;
ulteriore ragione di inammissibilità è insita nel fatto che il motivo richiama la sentenza di prime cure, il quesito formulato al CTU, la
CTU stessa in totale spregio delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod. proc. civ. ;
anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, la quale ha ritenuto soddisfatte le prescrizioni di cui all’art. 366 comma 1°, n. 6 cod. proc. civ., perché parte ricorrente nell’enucleare i motivi di ricorso, aveva ‘fatto specifico riferimento ai diversi atti e documenti allegati nel giudizio innanzi al Tsap, individuandoli in modo sufficientemente chiaro e nei termini in cui già erano stati richiamati nella sentenza di merito, nonché riportandone alcuni estratti’): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘ anche ‘ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod. proc. civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022 , n. 12481);
4) con il quarto nonché ultimo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., del dm n. 55/2014;
oggetto di censura è la statuizione di condanna alle spese di lite a favore di NOME contenuta nella sentenza del Tribunale,
confermata dalla sentenza d’appello, perché mancherebbe di motivazione e sarebbe viziata per erronea quantificazione delle spese di lite;
il motivo va disatteso;
la condanna alle spese di lite del giudizio di primo grado non è stata oggetto di impugnazione; la Corte d’Appello, avendo confermato sul punto la sentenza del Tribunale, non ha provveduto -né era tenuta a farlo -sul capo della sentenza del Tribunale che aveva disposto la condanna alle spese degli odierni ricorrenti (cfr. ex plurimis Cass. 30/01/2023, n. 2697); in aggiunta, la censura mossa alla sentenza gravata in punto di quantificazione delle spese di lite è dedotta in maniera generica e priva di pertinenti argomenti di critica, non essendo illustrate le ragioni per cui gli importi liquidabili avrebbero dovuto essere diversi da quelli riconosciuti dal giudice a quo ed in particolare, facendo solo riferimento ai minimi dei compensi tabellari, non si confronta con il principio secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo (cfr. Cass., ord., n. 8561 del 27/03/2023; Cass., ord., n. 19989 del 13/07/2021; in senso conforme, cfr. Cass., ord., n. 12537 del 10/05/2019); infatti la Corte di merito, tenendo conto dello scaglione indicato dagli stessi ricorrenti, non ha superato il massimo previsto, pur a non voler considerare la fase istruttoria, il cui compenso spetta comunque, atteso che la disposizione di cui al D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. non prevede alcun compenso per una specifica fase istruttoria, ma un compenso unitario per la fase di trattazione, che
comprende anche l’eventuale attività istruttoria; detto compenso, di conseguenza, spetta al procuratore della parte vittoriosa anche a prescindere dall’effettivo svolgimento, nel corso del grado del singolo giudizio di merito, di attività a contenuto istruttorio, essendo sufficiente la semplice trattazione della causa, che è fase ineludibile (cfr. Cass., ord., n. 8561 del 27/03/2023; Cass., ord., 17/03/2022, n. 8703; Cass, ord., 26/05/2012, n. 27056);
Ricorso incidentale di NOME COGNOME
NOME COGNOME lamenta, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 , cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla CTU e dagli esiti delle prove testimoniali;
detto ricorso non risulta iscritto a ruolo;
nondimeno, la copia del ricorso incidentale notificata è stata allegata al controricorso di NOME; pertanto, facendo applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 25/02/2020, n. 4917, Cass., Sez. Un., 15/07/2009, n. 16503; Cass. 16/01/2007, n. 840), esso deve dichiararsi improcedibile e NOME; deve considerarsi legittimata ad ottenere la refusione delle spese sostenute per resistere ad esso;
va, pertanto, rigettato il ricorso principale e dichiarato improcedibile quello incidentale;
le spese di lite sono liquidate come da dispositivo, disponendosene la distrazione in favore dei difensori di NOME COGNOME, che hanno dichiarato di averle anticipate, e precisandosi che non vi è luogo a provvedere per dette spese tra i ricorrenti principali e il ricorrente incidentale in difetto di istanze fra dette parti;
si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara improcedibile quello incidentale.
Condanna i ricorrenti principali al pagamento, in favore di NOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Le somme a tal fine liquidate vanno distratte a favore degli avvocati NOME ed NOME COGNOME, che hanno dichiarato di averle anticipate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 19/12/2023 dalla Terza