Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13656 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13656 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
476/2023 r.g., proposto
da
“RAGIONE_SOCIALE” di NOME e “RAGIONE_SOCIALE” di NOME , elett. dom.ti in INDIRIZZO, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrenti
contro
NOME.
intimato avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 577/2022 pubblicata in data 30/09/2022, n.r.g. 515/2021, notificata in data 18/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.L’odierno intimato conveniva in giudizio gli odierni ricorrenti, titolari di due ditte individuali e tra loro fratelli, rivendicando differenze retributive per il rapporto di lavoro dipendente svolto con mansioni di pizzaiolo presso entrambi i convenuti e la condanna dei medesimi, in solido, al pagamento
OGGETTO:
domanda di condanna per differenze retributive -litisconsorzio necessario dell’RAGIONE_SOCIALE – condizioni
della complessiva somma di euro 86.366,10, trattandosi di un unico centro di imputazione giuridica o, in subordine, la condanna del primo al pagamento della somma di euro 83.690,77 e del secondo al pagamento della somma di euro 2.675,33.
Deduceva che, a fronte dell’orario di lavoro indicato nei contratti (dapprima a tempo determinato, poi a tempo indeterminato) come pari a 20 ore settimanali, suddivise in sei giorni lavorativi, aveva in realtà sempre lavorato per 9-10 ore al giorno per sei giorni a settimana, non aveva mai fruito di ferie, né di permessi, né di festività. Assumeva di aver diritto all’ inquadramento nel 4^ livello ccnl, nel quale era inserita la figura del cuoco-pizzaiolo.
2.- I due convenuti si costituivano tardivamente in giudizio.
Assunta la prova testimoniale ammessa, il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condannava il titolare della ditta ‘RAGIONE_SOCIALE‘ a pagare la somma di euro 21.500,00 a titolo di differenze retributive equitativamente determinate, nonché euro 1.592,60 a titolo di t.f.r., e il titolare della ditta ‘RAGIONE_SOCIALE‘ a pagare la somma di euro 537,00 equitativamente determinata; condannava entrambi i convenuti a rimborsare, in solido, al ricorrente le spese di lite.
Proposto appello da entrambi i datori di lavoro, espletata una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame proposto dal titolare della ditta ‘RAGIONE_SOCIALE‘, mentre accoglieva parzialmente quello proposto dal titolare della ditta ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la condanna al minor importo di euro 391,65; infine condannava entrambi gli appellanti al rimborso -non in solido -delle spese processuali dei due gradi di giudizio.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
nessun litisconsorzio sussiste nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, posto che il lavoratore non ha chiesto somme per contributi e neppure la regolarizzazione contributiva;
ai due rapporti di lavoro è pacificamente applicabile il ccnl turismo e pubblici esercizi;
al consulente tecnico d’ufficio è stato chiesto di accertare il credito del lavoratore sulla base del 4^ livello ccnl citato per il full time ;
dalla relazione è emerso che il credito nei confronti de ‘Il RAGIONE_SOCIALE‘ sarebbe di euro 27.465,85, ma in difetto di appello incidentale del lavoratore la minor somma riconosciuta dal Tribunale non può essere riformata;
dalla medesima relazione è emerso che il credito nei confronti de ‘RAGIONE_SOCIALE‘ è di euro 391,65, ossia minore di quello riconosciuto dal Tribunale, la cui sentenza va sul punto riformata;
le spese del doppio grado di giudizio seguono la preminente soccombenza degli appellanti.
4.- Avverso tale sentenza “RAGIONE_SOCIALE” di NOME e “RAGIONE_SOCIALE” di NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- NOME è rimasto intimato.
6.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. i ricorrenti lamentano ‘violazione di legge’ per avere la Corte territoriale mancato di integrare il contraddittorio nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è inammissibile per assoluta contraddittorietà.
La Corte d’Appello ha rigettato il primo motivo di gravame (con cui i due appellanti chiedevano di rimettere la causa al giudice di primo grado per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE ), evidenziando che il lavoratore non aveva chiesto anche la condanna al versamento dei contributi, ossia la c.d. regolarizzazione contributiva.
A fr onte di questa specifica motivazione i ricorrenti richiamano l’ordinanza n. 29637/2021 di questa Corte, secondo cui la presenza dell’RAGIONE_SOCIALE come parte processuale è necessaria qualora il lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione della posizione lavorativa. Ma trascurano di considerare che in quell’ordinanza il riferimento era alla regolarizzazione c.d. previdenziale (in quel giudizio la ricorrente, ex dipendente dimissionaria del RAGIONE_SOCIALE di Napoli, aveva chiesto la condanna di quest’ultimo al versamento, all’RAGIONE_SOCIALE, della differente contribuzione tra
quanto dovuto, ai sensi del D.M. n. 158/2000 e del D.Lgs. n. 184/1997, art. 7, commi 1 e 5, e quanto già versato in misura inferiore dalla data dell’esodo volontario e incentivato a quella della maturazione del trattamento pensionistico), che in nessun modo può essere confusa con la domanda volta al pagamento di una maggiore retribuzione dovuta all’esatto inquadramento e al numero di ore lavorate, come invece è nel caso in esame. Quindi il motivo è basato su un principio di diritto affermato da questa Corte, che tuttavia non smentisce, anzi conferma l’esattezza della decisione dei giudici d’appello.
2.- Con il secondo motivo, proposto senza indicarne la sussunzione in uno di quelli a critica vincolata imposti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. i ricorrenti lamenta no ‘violazione di legge’ ed in particolare del principio della reciproca soccombenza in tema di liquidazione delle spese processuali, ciò che avrebbe comportato una compensazione almeno parziale.
Il motivo è inammissibile.
Va in primo luogo precisato che, mentre il Tribunale ha condannato i due convenuti in solido al rimborso delle spese processuali, la Corte d’Appello, regolando nuovamente le spese di entrambi i gradi di giudizio, ha escluso la solidarietà, non avendola disposta espressamente (come invece richiede a tal fine l’art. 97 c.p.c.).
In tal senso deve ritenersi sia stato implicitamente (ed univocamente) accolto il quinto motivo di appello, con cui gli appellanti si erano doluti appunto della condanna al rimborso solidale delle spese del primo grado di giudizio, evidenziando la macroscopica diversità della misura delle differenze retributive poste a carico, rispettivamente, dei due datori di lavoro.
Quanto, invece, al potere di compensazione, esso resta affidato alla discrezionalità del giudice del merito, sicché, pur in presenza delle condizioni previste dall’art. 92 c.p.c. per la compensazione, questa non è mai obbligatoria, potendo essere disattesa in presenza di un’adeguata motivazione. Nella specie la Corte territoriale ha adeguatamente motivato, laddove ha fatto espresso riferimento alla ‘preminente soccombenza’ dei datori di lavoro, sicché questo capo resta insindacabile in sede di legittimità.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. i ricorrenti lamenta no ‘violazione e/o falsa applicazione’ dei contratti collettivi
nazionali di lavoro, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che la somma riconosciuta dal consulente tecnico d’ufficio come credito del lavoratore nei confronti di ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, pari ad euro 391,65, era quella corrispondente all’inquadramento nel 5^ livello ccnl. Addebitano ai Giudici di appello di avere invece contraddittoriamente considerato il credito del lavoratore nei confronti di ‘Il RAGIONE_SOCIALE‘ come corrispondente all’inquadramento nel 4^ livello, pur essendo pacificamente rimaste inalterate le mansioni svolte.
Il motivo è infondato.
Come riportato dagli stessi ricorrenti (v. ricorso per cassazione, p. 8), nella sua relazione l’ausiliario nominato in grado di appello, dopo aver compiuto due calcoli alternativi, ha quantificato il credito del lavoratore nei confronti di ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ come corrispondente all’inquadramento nel 4^ livello e non nel 5^, avendo anzi accertato che, laddove fosse stata accolta la tesi dei datori di lavoro nel senso dell’inquadramento nel 5^ livello, il lavoratore non avrebbe avuto alcun credito residuo nei confronti di ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘. Dunque il presupposto processuale sul quale i ricorrenti basano la loro doglianza è smentito dalla stessa relazione di consulenza tecnica d’ufficio , come dagli stessi riportata.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. i ricorrenti lamenta no l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia l’inattendibilità del teste NOME, addotto dal lavoratore.
Il motivo è inammissibile, atteso che i dubbi di attendibilità sono stati espressamente esaminati dalla Corte territoriale e risolti nel senso dell’attendibilità (v. sentenza impugnata, pp. 4 -5) , nell’ambito di un potere valutativo rimesso esclusivamente al giudice di merito e, quindi, insindacabile in sede di legittimità.
5.- Nulla va disposto sulle spese del giudizio di legittimità, in quanto l’intimato è rimasto tale.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi
dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in