Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20599 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20599 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24947-2023 proposto da:
OLIOSO DOLORES, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI VERONA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 359/2023 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/06/2023 R.G.N. 358/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 24947/2023
Ud. 09/05/2025 CC
Fatti di causa :
1. Con ricorso innanzi al Tribunale di Verona, in funzione di giudice del lavoro, NOME COGNOME ha chiesto accertarsi che, in seguito all’applicazione da parte del Comune di Verona del C.C.N.L. Comparto Regioni Autonomie Locali anziché il C.C.N.L. Comparto Scuola, aveva subito di fatto una modificazione in peius del carico di lavoro ed una riduzione della retribuzione, contribuzione e calcolo del TFR e, conseguentemente, condannarsi il Comune di Verona a corrispondere le differenze retributive e le differenze contributive; ordinarsi all’INPS il ricalcolo della pensione erogata a far data dal mese di settembre 2014 alla luce della retribuzione maturata e ricalcolata in base all’applicazione del C.C.N.L. Comparto Scuola anziché del C.C.N.L. Comparto Regioni Autonomie Locali sino alla fine del servizio reso all’Amministrazione Comunale; accertare che, in conseguenza del trattamento peggiorativo subito e dell’illegittimo comportamento tenuti negli anni, la ricorrente aveva accusato danni alla salute ed alla vita di relazione e condannare il Comune al risarcimento. Il Comune di Verona si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso. Con la sentenza n. 604/2018 depositata il 19/11/2018 il Tribunale di Verona, sezione lavoro rigettava il ricorso.
NOME COGNOME ha proposto appello con tre motivi, con il primo dei quali sollecitava la riforma della sentenza nella parte in cui aveva respinto le domande di condanna del Comune al pagamento delle differenze retributive e contributive; con il secondo e il terzo motivo sollecitava la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso la sussistenza di un demansionamento e negato il risarcimento del danno richiesto. Il Comune di Verona si è costituito nel secondo grado di giudizio chiedend o il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n.
359/2023 depositata il 13/06/2023 la Corte di Appello di Venezia, sezione lavoro, ha accolto parzialmente l’appello dichiarando la nullità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva definito le domande di condanna al pagamento delle differenze retributive e contributive in violazione del litisconsorzio necessario atteso che non era stata evocato in giudizio l’INPS con conseguente rimessione delle parti innanzi al Tribunale di Verona; nel resto ha rigettato l’appello.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con impugnazione affidata a due motivi. Il Comune di Verona si è costituito in giudizio chiedendo rigettarsi l’impugnazione.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis. 1, cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 9 maggio 2025.
Ragioni della decisione :
Con il primo motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c. violazione e falsa applicazione di norme di diritto per: violazione dell’art. artt. 115 c.p.c, per non essersi la Corte D’Appello di Venezia pronunciata sull’ammissione di debito del Comune di Verona, e sulla violazione e disapplicazione dei contratti e accordi nazionali di lavoro, in particolare con riferimento al CCNL Comparto scuola, e sull’erronea applicazione del CCNL Autonomie locali nei due periodi maggio 2010-maggio 2011 e gennaio 2013 – settembre 2014; violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto il Giudice di secondo grado non avrebbe pronunciato su tutte le domande formulate dalla ricorrente con ricorso in appello, tralasciando di pronunciarsi sulla parte di domanda con la quale la ricorrente aveva chiesto il ricalcolo delle differenze retributive, sia alla luce
della illegittima disapplicazione del CCNL Comparto Scuola, sia in virtù delle ore in eccedenza lavorate da NOME COGNOME sotto l’illegittima applicazione del CCNL Comparto autonomie locali nei due periodi di disapplicazione del CCNL Comparto scuola; violazione dell’art. 92 c.p.c. in quanto la Corte veneziana avrebbe condannato illegittimamente la ricorrente a rifondere interamente le spese del giudizio di secondo grado, anzichè stabilire la ripartizione o compensazione delle spese per reciproca soccombenza; violazione dell’art. 354 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c. perché la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la domanda sulle differenze retributive non scindibile rispetto alla domanda di ricalcolo delle differenze contributive e nel rinviarla al giudice di primo grado senza deciderla; violazione dell’art. 354 c.p.c., relativamente alla parte della sentenza impugnata che ha rigettato, senza accertare il presupposto logico delle differenze retributive, e senza nemmeno in subordine rimettere la decisione al giudice di prime cure, la domanda di cui al n. 3) delle conclusioni di cui al ricorso in appello della ricorrente, relativa al risarcimento dei danni patrimoniali, ed anche in parte non patrimoniali, derivati in quota parte dal trattamento deteriore, integrato anche dalla riduzione illegittima delle retribuzioni e dall’aumento delle ore, subito dalla lavoratrice nei due periodi di disapplicazione del CCNL Comparto Scuola; violazione dell’art. 2697 c.c. in quanto la Corte D’Appello non ha accolto la domanda avente ad oggetto le differenze retributive, pur non avendo il Comune di Verona fornito la prova circa i fatti estintivi eccepiti, non essendo a tal uopo stato ritenuto idoneo il generico prospetto esibito in atti dalla parte resistente, come evidenziato dalla medesima Corte D’Appello veneziana, e non avendo disposto né il Giudice di prime cure né il giudice di secondo grado la consulenza contabile
al fine di verificare la correttezza dei conteggi offerti dalle parti, in spregio alle richieste di parte ricorrente.
1.1. Il primo motivo di ricorso è, innanzi tutto, infondato sotto il profilo della dedotta violazione degli artt. 115, 112 e 354 c.p.c. e 2697 c.c. perché la sentenza ha fatto corretta applicazione delle norme richiamate e dei principi di diritto affermati sul punto dalla Corte di cassazione circa la sussistenza della violazione del litisconsorzio necessario, non essendo stato evocato in giudizio l’INPS . Ha ravvisato la connessione tra le domande di accertamento delle differenze retributive e di condanna al pagamento di esse e la domanda di accertamento del dovuto contributivo ai fini pensionistici, atteso che la stessa ricorrente aveva proposto le relative domande in via connessa in primo grado e in ordine alle stesse aveva formulato un unico motivo di appello. Si consideri, peraltro, che la retribuzione imponibile ai fini previdenziali non può essere inferiore all’importo della retribuzione stabilito da leggi, regolamenti e contratti collettivi e tanto impone di prendere a base di calcolo dei contributi previdenziali la retribuzione dovuta, e non quella corrisposta, di fatto, in misura inferiore (Cass. 17/04/2012, n. 6001), sicché sussistono elementi di connessione oggettiva e soggettiva tra le domande e la Corte territoriale ha ritenuto, con valutazione riservata al giudice di merito se congruamente motivata (Cass. 01/03/2024, n. 5484), che andasse celebrato il simultaneus processus innanzi al giudice di primo grado cui è stata rinviata la causa. Per questa via, la Corte di Appello, ravvisata la violazione del litisconsorzio per la mancata evocazione in giudizio dell’INPS , ha dichiarato la nullità parziale con riguardo al capo (unico) della sentenza di primo grado che aveva pronunciato su differenze retributive e calcolo contributivo e ha rimesso la materia e la
trattazione delle domande, connesse fin dal ricorso introduttivo, al giudice di primo grado. Non sussiste, allora, l’ omessa pronuncia né la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato denunciati con il primo motivo di ricorso perché tutte le domande sulle quali la sentenza di appello non si è pronunciata nel merito sono oggetto della parte della sentenza di primo grado dichiarata nulla per difetto del contraddittorio, sicchè sulle stesse non si è formato giudicato e sono oggetto del giudizio di primo grado riassunto dalla ricorrente. Il giudice di primo grado al quale è stata rinviata la causa dovrà pronunciarsi su tutte le domande contenute nel primo e nel secondo punto delle conclusioni spiegate dalla ricorrente innanzi al Tribunale di Verona all’atto della introduzione del giudizio (riportate dalla difesa di NOME COGNOME a pagina 7 del ricorso innanzi a questa Corte) e, pertanto, anche sulla applicabilità o meno del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola in luogo del contratto collettivo nazionale del comparto enti locali e per tutti gli anni dal 2010 al 2014.
1.2. Il primo motivo è infondato anche sotto il profilo della pretesa violazione dell’art. 92 c.p.c. e, con esso, della disciplina delle spese legali atteso che la sentenza impugnata si è attenuta, sul punto, al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale: il giudice d’appello, qualora rinvii la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., per integrare il contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, deve provvedere in ordine alle spese del processo di secondo grado, condannando al pagamento delle stesse la parte riconosciuta soccombente per avere dato causa alla nullità che ha determinato il rinvio; inoltre, ove abbia elementi sufficienti per stabilire a chi debba essere
attribuita l’irregolarità che ha dato luogo alla rimessione, può decidere anche sulle spese di primo grado (Cass.17/12/2024, n. 32933).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti perché il giudice d’appello non avrebbe esaminato il danno alla salute psichica conseguito al demansionamento, limitandosi ad escluderlo su erronei presupposti.
2.1. Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata non omette di valutare la domanda di risarcimento del danno ma, con dovizia di argomenti, esclude il diritto al risarcimento e la sussistenza di un concreto pregiudizio. Per questa via risulta applicabile il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale: l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., come riformulato ex art. 54 d.l. n. 83 del 2012, prevede un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia formato oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); va peraltro escluso che tale omesso esame possa riguardare l’argomentazione della parte la quale, svolgendo le proprie tesi difensive, non fa che manifestare il proprio pensiero sulle conseguenze di un certo fatto o di una determinata situazione giuridica (Cass. 06/02/2025, n. 2961). Con il secondo motivo di ricorso non è, allora, dedotto alcun omesso esame di un fatto storico, ma è, piuttosto, sollecitata una nuova valutazione del materiale istruttorio che conduca all’apprezzamento del danno allegato dalla parte ricorrente,
valutazione irriferibile alla corte perché riservata al giudice di merito e, peraltro, condotta in modo conforme in primo e in secondo grado.
Il ricorso deve, allora, essere integralmente respinto.
Considerata la novità delle questioni trattate e lo sviluppo processuale della controversia sussistono valide ragioni per compensare integralmente le spese di questo giudizio in sede di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, compensa le spese del giudizio di legittimità;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione