Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16889 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16889 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4096/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME DI COGNOME, DI COGNOME rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME.
– Ricorrenti –
Contro
CONDOMINIO DI INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME.
– Controricorrente –
Avverso la sentenza del la Corte d’appello di Roma n. 6259/2019 depositata il 17/10/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 10 giugno 2025.
Rilevato che:
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME proprietaria la prima di un appartamento ubicato al seminterrato,
Condominio
abitato dalle figlie NOME e NOME, interessato da allagamenti determinati dall’impianto fognario condominiale, con vennero davanti al Tribunale di Roma, il Condominio di INDIRIZZO Roma, per sentirlo condannare all’esecuzione degli interventi necessari ad eliminare il pericolo di altri allagamenti e al risarcimento del danno.
Il Condominio chiese di chiamare in causa il confinante Condominio di INDIRIZZO, sostenendo che la tubatura fognaria del Condominio di INDIRIZZO, ubicata a monte, non aveva l’imbocco diretto nel sistema fognario comunale, ma confluiva nella tubatura del Condominio di INDIRIZZO, che si allacciava alla condotta comunale; che eventuali lavori necessari per prevenire rigurgiti dalla condotta comunale non potevano che realizzarsi nella proprietà del Condominio di INDIRIZZO, perché collegata al collettore comunale; che quest’ultimo Condominio aveva effettuato lavori a ll’impianto fognario nel tratto finale di sua competenza ma di uso comune, alterando le originarie quote dei pozzetti e le pendenze della canalizzazione e così compromettendo la funzionalità del sistema delle acque reflue in danno del Condominio di INDIRIZZO; che, quindi, di eventuali danni imputabili all’impianto fognario doveva rispondere il Condominio di INDIRIZZO, in modo esclusivo e/o concorrente.
Il Tribunale di Roma, rigettata l’ istanza di chiamata del terzo, con sentenza n. 9387/2018, istruita la causa mediante una c.t.u., in accoglimento della domanda, condannò il Condominio di INDIRIZZO all’esecuzione d i determinati lavori (inserimento di una valvola di ritegno a valle dell’impianto fognario e realizzazione di un serbatoio per l’accumulo delle acque in eccesso ), nonché al risarcimento dei danni subiti dalle attrici, che liquidò in euro 12.963,80;
sull’impugnazione del Condominio di INDIRIZZO, la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle attrici, ha dichiarato
la nullità della sentenza di primo grado e ha rimesso la causa ex art. 354 c.p.c. al primo giudice per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Condominio di INDIRIZZO
Questi, in sintesi, gli argomenti essenziali della decisione: (i) è priva di fondamento l’eccezione delle appellate di invalidità della procura del difensore del Condominio per essere stata la deliberazione assembleare che autorizzava la proposizione dell’appello assunta in mancanza del quorum minimo di 500 millesimi ex art. 1136 commi 2 e 4 c.c.; la mancanza di quorum infatti potrebbe determinare al più l’annullabilità della delibera che, per non essere stata impugnata nel termini di trenta giorni, è valida ed efficace nei confronti di tutti i condòmini; (ii) il Tribunale, nel respingere la richiesta del Condominio di INDIRIZZO di chiamata del Condominio di INDIRIZZO ha violato le disposizioni in tema di litisconsorzio necessario, il che comporta la nullità della sentenza e la rimessione della causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c. Le attrici hanno proposto domanda di condanna del convenuto ad un facere , consistente nella realizzazione di interventi atti ad eliminare il rischio di nuovi allagamenti, e il Condominio di INDIRIZZO ha eccepito che la propria condotta fognaria confluiva in quella del Condominio di INDIRIZZO, quest’ultima collegata al collettore fognario comunale. Circostanze, queste, confermate dalla c.t.u. disposta dal Tribunale, che ha stabilito che le acque reflue del condominio convenuto per recapitare nel collettore comunale debbono scorrere nella porzione di impianto ‘a valle’ del Condominio di INDIRIZZO, e ha concluso che gli interventi atti ad eliminare gli inconvenienti debbono essere realizzati di concerto tra i due condominii. Trattandosi di domanda di condanna ad un facere , come indica la giurisprudenza di legittimità, i soggetti obbligati sono litisconsorti necessari;
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, cui ha resistito il Condominio di INDIRIZZO con controricorso.
Il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha concluso per iscritto per il rigetto del primo e del secondo motivo e per l’accoglimento del terzo motivo.
Il ricorso, assegnato alla terza sezione civile di questa Corte, trattato nella pubblica udienza del 23/11/2023, a seguito di ordinanza interlocutoria n. 5211 del 27/02/2024, è stato rimesso alla Prima Presidente che, con decreto del 05/03/2024, ne ha disposta l’assegnazione a questa seconda sezione.
In prossimità dell’udienza , le ricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che:
Innanzitutto, ritiene il Collegio che siano prive di fondamento le eccezioni di inammissibilità esposte in controricorso in relazione ai singoli motivi di ricorso per cassazione.
Nel dettaglio, non sussistono i prospettati difetto di specificità, sovrapposizione e ‘mescolanza’ delle censure che, anzi, come immediatamente si vedrà, si caratterizzano per un ‘ enunciazione sufficientemente chiara che pone la Corte nella condizione di comprendere il tenore delle doglianze.
Si aggiunga che, per giurisprudenza pacifica, in tema di ricorso per cassazione, l ‘ inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall ‘ art. 360 comma nn. 3 e 5 c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l ‘ esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi
diversi, singolarmente numerati (v. Sez. 1, Sentenza n. 39169 del 09/12/2021, Rv. 663425 – 02).
Inoltre, l’ erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all ‘ art. 360, comma 1 c.p.c., né determina l ‘ inammissibilità del ricorso, se dall ‘ articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (v., tra le moltissime, Sez. 5, Ordinanza n. 759 del 12/01/2025, Rv. 673686 – 01);
il primo motivo -che si riferisce alla posizione di NOME COGNOME e NOME COGNOME, le quali non sono condòmine – denuncia la violazione degli artt. 75, 82, 83, 84, 125, 163, 165, 182 c.p.c. e degli artt. 1136, 1137 c.c., nonché contraddittoria e manifesta illogicità della sentenza.
Sulla premessa che la delibera dell’assemblea del condominio convenuto che autorizzava l’amministratore a rilasciare la procura alle liti al procuratore per appellare la sentenza di primo grado era stata assunta da ll’assemblea in assenza del quorum minimo di 500 millesimi previsto dall’art. 1136 commi 2 e 4 c.c., poiché alla votazione erano presenti condòmini che rappresentavano 438 millesimi, le ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto valida ed efficace la stessa delibera per non essere stata impugnata nel termine di trenta giorni, senza considerare che le attrici NOME COGNOME e NOME COGNOME, in quanto estranee al condominio, non erano legittimate ad avvalersi del rimedio impugnatorio disciplinato del secondo comma dell’articolo 1137 e, ancora, che abbia conclusivamente esteso, in maniera illogica, gli effetti della delibera a chi, come le NOME COGNOME, non partecipava al condominio;
il secondo motivo -che si riferisce alla posizione di NOME COGNOMEdenuncia la violazione degli artt. 75, 82, 83, 84, 125, 163, 165, 182 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe male applicato le disposizioni in tema di procura e di rappresentanza processuale in quanto, nel disattendere l’eccezione di difetto di legittimazione a stare in giudizio del Condominio, avrebbe aggravato gli oneri processuali della condòmina (v. pag. 20 del ricorso) configurando ‘una sorta di obbligazione propter rem di carattere processuale in tutti i casi in cui sorga una controversia giudiziale con il Condominio di apparte nenza’ .
Si obietta inoltre che a COGNOME non era stato comunicato il verbale dell’assemblea che aveva autorizzato l’amministratore a impugnare la sentenza di primo grado e che, ponendosi nell’ottica della Corte di Roma, la stessa condòmina avrebbe dovuto sostenere due distinti giudizi, il giudizio di appello di cui si discute e un giudizio di impugnazione del verbale di assemblea;
il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati;
la questione posta dal motivo è stata di recente dipanata da questa Corte (v. Sez. 2, Sentenza n. 18003 del 01/07/2024, Rv. 671766, 01, in motivazione), la quale, discostandosi da Cass. 37739/2022 (menzionata dall’ordinanza interlocutoria n. 5211/2024 della terza sezione), ha affermato (v. punto 4.3. della sentenza) che, a llorché l’amministratore abbia esperito un’azione concernente le parti comuni dell’edificio, ma eccedente dai limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c., previa autorizzazione dell’assemblea, il giudice non può accertare incidentalmente che la deliberazione autorizzativa non è stata approvata con la maggioranza di cui all ‘ art. 1136 comma 4 c.c., in quanto una delibera adottata con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge è annullabile e perciò, ove non impugnata dai condòmini assenti, dissenzienti o astenuti nel termine di trenta giorni previsto dall ‘ art. 1137 c.c., è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.
Sicché, continua la Corte, sino a quando la delibera di autorizzazione alla lite annullabile non sia annullata (quale conseguenza dell’esercizio di un potere di parte e della necessaria pronuncia di una sentenza costitutiva) -e qui sta il fulcro della questione posta dai motivi di ricorso -, il giudice deve ritenere legittimamente instaurato il contraddittorio, in quanto l’atto annullabile produce gli effetti di cui è capace finché non sia annullato e, ove sia decorso il termine per l’esercizio dell’azione di annullamento, esso resta definitivamente e automaticamente valido.
Nella specie, è impeccabile, sul piano giuridico, la statuizione della Corte d’appello nella parte in cui, senza distinguere tra le diverse posizioni delle appellate, delle quali una soltanto (NOME COGNOME) è condòmina, ne ha complessivamente respinto l’eccezione per difetto di tempestiva impugnazione della delibera autorizzativa. E questo perché, in ultima analisi, l’azione processuale del Condominio di INDIRIZZO (nella specie, si tratta della proposizione del giudizio d’appello) trova la propria giustificazione e dipende da tale delibera, la quale poteva essere messa in crisi soltanto con specifiche e tempestive azioni, volte ad impugnare la decisione assembleare al fine di ottenerne la declaratoria di inefficacia.
Considerazioni, queste, che consentono di superare anche i rilievi sollevati da NOME COGNOME con la puntualizzazione che, in sostanza – in disparte la questione di fatto che non spetta alla Corte esaminare circa un’ asserita mancata comunicazione alla condòmina assente del verbale di assemblea che autorizzava l’amministratore a conferire al difensore la procura alle liti per proporre appello – la ricorrente non si duole di specifici errori di diritto imputabili alla Corte territoriale, ma rivolge generiche obiezioni alla disciplina delineata dal codice civile.
Da un diverso punto di vista, la censura è superata anche in forza della tesi esposta dal Procuratore generale, nella memoria depositata per l ‘udienza pubblica del 23/11/2023, secondo cui (v. pag. 2) « il Condominio di INDIRIZZO si era costituito in primo grado con l’avv. NOME COGNOME munita di mandato alle liti conferente potere di agire ‘in ogni fase e stato e grado del presente giudizio’. Anche la originaria procura alle liti, quindi, consentiva la proposizione dell’appello, senza necessità di una nuova procura e, a monte, di nuova delibera autorizzativa del Condominio. Si trattava di una procura rilasciata a margine della comparsa di costituzione e risposta, pertanto sicuramente rilasciata per quel giudizio dall’amministratore del condominio convenuto. Il riferimento, in tale mandato, alla qualifica di amministratore del Condominio di ‘INDIRIZZO in Roma’ appare corretto con l’indicazione a penna di ‘INDIRIZZO‘ e costituiva palesemente un mero errore materiale, un mero refuso, laddove l’unico dato rilevante è il rilascio del mandato da parte di NOME COGNOME pacificamente amministratore del convenuto Condominio di INDIRIZZO, mandato si ripete rilasciato a margine di comparsa di costituzione riferita a detto Condominio »;
4. il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 102, 103, 354 c.p.c., 1292, 1306, 2043, 2051 c.c.
Ad avviso delle ricorrenti, sarebbe errata la sentenza per aver dichiarato nulla la decisione di primo grado e per aver rimesso la causa al primo giudice trascurando che, nel caso in cui, come nella specie, sia proposta una domanda di condanna ad un facere e al risarcimento del danno , ove ricorra l’ipotesi di violazione del contraddittorio per mancata evocazione di un litisconsorte necessario, il giudice di appello deve separare le due domande, rimettendo al primo giudice la domanda di condanna ad un facere , rispetto alla quale opera il litisconsorzio necessario tra i coobbligati (nella specie, i
Condominii di INDIRIZZO e di INDIRIZZO, e deve trattenere e decidere la domanda risarcitoria, rispetto alla quale esiste litisconsorzio facoltativo tra i soggetti responsabili;
il motivo è fondato;
la premessa è che l’interrogativo cui occorre rispondere è esclusivamente se vi sia o meno litisconsorzio necessario tra i condominii rispetto alla domanda di risarcimento del danno, senza che analoga questione si ponga rispetto alla domanda di condanna ad un facere, quale aspetto non controverso in questa sede di legittimità.
Il Tribunale di Roma, negata la chiamata in causa del Condominio di INDIRIZZO, aveva ritenuto il Condominio di INDIRIZZO responsabile della violazione del dovere di custodia dell’impianto fognario e lo aveva condannato all’esecuzione di opere di ripristino e al risarcimento del danno.
La Corte d’appello , stabilito, attenendosi alla c.t.u., che gli interventi sull’impianto fognario indicati dal consulente d’ufficio avrebbero dovuto essere realizzati di concerto tra i due condominii, trattandosi di impianto fognario unico, a servizio dell’intero fabbricato (che comprende i due condominii), ha erroneamente dichiarato nulla, per difetto di integrità del contraddittorio, la sentenza di primo grado nella sua interezza, cioè, sia in relazione alla condanna all’esecuzione di opere, sia in relazione alla condanna risarcitoria.
Le due domande, pur cumulativamente proposte dalle attrici, sono distinte e autonome, ragion per cui il giudice di merito avrebbe potuto e dovuto disporre la separazione delle relative cause.
Non è corretta, pertanto, la decisione della Corte territoriale, la quale, per un verso, doveva rimettere al primo giudice non tutta quanta la controversia, ma esclusivamente la causa attinente alla domanda di condanna ad un facere , valorizzando la mancata
partecipazione al giudizio del Condominio di INDIRIZZO, il quale, rispetto a tale domanda, era litisconsorte necessario; per altro verso, doveva trattenere e decidere la domanda di risarcimento del danno proposta dalle attrici contro il Condominio di INDIRIZZO, in ragione del carattere facoltativo e non necessario del consortium litis tra i litisconsorti passivi, per la natura solidale della responsabilità dei coobbligati, ancorché derivante da un rapporto unico plurisoggettivo.
La posizione di comproprietari dell ‘ unico impianto fognario in capo ai due condominii era il titolo della responsabilità di ognuno, ma l’accertamento del suo concreto atteggiarsi non era affatto implicato dalla domanda delle attrici (spiegata verso il solo Condominio di INDIRIZZO) e non imponeva quindi l ‘unicità del giudizio (ben potendo queste ultime limitarsi a chiedere i danni al condominio convenuto o chiedere i danni ai due enti in separati giudizi).
Si badi che questa considerazione si regge sul l’implicito assioma che la separazione delle cause era possibile e doverosa non avendo le attrici proposto fin dall’inizio domanda nei confronti dei due condominii responsabili, quali litisconsorti facoltativi, nel qual caso, invece, per prescrizione del secondo comma dell’art. 103 c.p.c., l’azione avrebbe dovuto proseguire nei confronti di tutti i convenuti ed il giudice avrebbe potuto separare le cause « se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo ».
Le conclusioni sopra illustrate con riferimento alla possibilità, da parte della Corte d’appello, a seguito della declaratoria di parziale nullità della sentenza impugnata, di rimessione al primo giudice ex art. 354 c.p.c. della sola causa relativa alla domanda di condanna ad un facere, per violazione del litisconsorzio necessario, con prosecuzione del giudizio davanti a sé rispetto alla domanda di
risarcimento dei danni, sono confermate dalla giurisprudenza di questa Corte, formatasi tanto sul tema del litisconsorzio necessario, che su fattispecie concrete (danni causati dall’impianto fognario di proprietà di più condominii) analoghe a quella all’attenzione del Collegio.
Precedenti pronunce della S.C. (v. Sez. 3, Sentenza n. 10208 del 10/05/2011, Rv. 618211 -01; citata dalla sentenza d’appello , che pure non ne trae le corrette conseguenze giuridiche lì dove dichiara la nullità a tutto tondo della decisione di primo grado anche in relazione alla domanda di risarcimento del danno; in termini, Sez. 2, Ordinanza n. 2634 del 04/02/2021, per la quale la domanda volta ad ottenere l ‘ esecuzione di determinate opere sulle parti comuni di un edificio ovvero l ‘ accertamento dell ‘ obbligo di un condomino di realizzare delle modifiche sulle stesse, impone il litisconsorzio necessario tra tutti i condòmini), hanno chiarito che «ra i comproprietari di un immobile sussiste litisconsorzio necessario passivo quando sia domandata nei loro confronti la condanna ad un ‘ facere ‘ (nella specie, eliminazione di una situazione di pericolo causata dalla loro proprietà), mentre sussiste litisconsorzio solo facoltativo quando nei loro confronti sia domandata la condanna al risarcimento del danno. In questo secondo caso, pertanto, il giudice d ‘ appello, ove accerti che uno dei convenuti sia stato illegittimamente dichiarato contumace, deve scindere le cause e rimettere al primo giudice soltanto quella proposta nei confronti del contumace, decidendo nel merito le altre ».
È indubitabile che la pretesa risarcitoria non comporta, sul piano processuale, il contestuale esercizio della relativa azione nei confronti di tutti quanti i danneggianti.
Recentemente, le Sezioni Unite , nell’ enunciare il principio secondo cui, in caso di più fondi intercludenti appartenenti a diversi soggetti, l ‘ azione per la costituzione di servitù coattiva di passaggio in favore
del fondo intercluso (anche nelle ipotesi previste dagli artt. 1051, comma 3, e 1052 c.c.) deve essere promossa nei confronti di tutti i proprietari, hanno messo a fuoco la ragione giustificatrice (nella specie insussistente in rapporto alla domanda risarcitoria) del l’istituto del litisconsorzio necessario delineato dall’art. 102 c.p.c. (v. Sez. U, Sentenza n. 1900 del 27/01/2025, Rv. 673629 – 01).
Nel dettaglio, spiegano le Sezioni Unite, c on l’introduzione dell’istituto generale del litisconsorzio generale, risalente alla riforma del 1940 (in precedenza le ipotesi venivano individuate di volta in volta dalla legge), alle parti viene sottratta la disponibilità del risultato del processo, essendo stato attribuito al giudice il potere di impedire la pronuncia di sentenze inutili perché rese solo ‘ inter pauciores ‘ e perciò inidonee ad affermare in concreto la ‘ voluntas legis ‘ .
Rischio, quello dell ‘ inutilità della decisione, che chiaramente non è nemmeno ipotizzabile rispetto alla domanda di risarcimento del danno che, nel presente giudizio, le attrici assumono di avere subito per effetto del malfunzionamento dell’impianto fognaria appartenente ai due condominii, domanda che, conseguentemente, si ripete, non comporta il litisconsorzio necessario tra gli stessi enti collettivi.
Per completezza, sul punto è il caso di richiamare Cass. n. 2623/2021, la quale (v. pagg. 10 e 11 della sentenza) in primis afferma che tale obbligazione risarcitoria trova la propria fonte immediata non nei doveri legali o convenzionali di provvedere alla manutenzione dell ‘ impianto, bensì nel disposto dell ‘ art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell ‘ accertamento della responsabilità, occorre rinvenire la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l ‘ evento dannoso (che risulti riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa), nonché dell ‘ esistenza di un effettivo potere fisico su di essa
da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigilare onde evitare che produca danni a terzi (v. Cass. n. 22179/2014); in secondo luogo, descrive la fattispecie rimessa al l’esame del giudice di merito, relativa ad un impianto fognario posto in rapporto di accessorietà con una pluralità di edifici costituiti in distinti condominii, giacché oggettivamente e stabilmente destinato all ‘ uso od al godimento di tutti i fabbricati; infine, stabilisce che «ispetto a tale impianto trova comunque applicazione la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione, e perciò opera la presunzione legale di condominialità, ma sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocamente destinate a ciascun edificio (cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/2010, n. 13883; Cass. Sez. 2, 02/03/2007, n. 4973 )»;
5. in conclusione, accolto il terzo motivo, respinti i primi due, la sentenza è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice a quo , anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del