Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 265 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 265 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 966 R.G. anno 2023 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, titolare dell’ Impresa RAGIONE_SOCIALE Fiorano di COGNOME , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME presso il quale è domiciliato;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliata presso i primi due;
contro
ricorrente nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
intimata
avverso la sentenza n. 6144/2022 della Corte di appello di Roma, pubblicata il 5 ottobre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ La controversia in esame ha ad oggetto più marchi di impresa.
La vicenda processuale può essere così riassunta, avendo riguardo a quanto di interesse nella presente sede.
RAGIONE_SOCIALE ha agito in giudizio avanti al Tribunale di Roma nei confronti di NOME COGNOME COGNOME titolare dell ‘impresa agricola individuale omonima, domandando l’accertamento della nullità parziale dei marchi nn. 1222056 e 1558956, rispettivamente identificati nelle sentenze di merito con le lettere B e F, nella titolarità della convenuta, siccome carenti del requisito della novità per la priorità del proprio marchio n. 1223248, identificato con la lettera A, originariamente di titolarità della RAGIONE_SOCIALE COGNOME Adriana, trasferito all’attrice con atto di cessione trascritto presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi in data 20 dicembre 2012.
Il convenuto ha chiesto in via riconvenzionale l’accertamento della nullità dei marchi nella titolarità dell’attrice: il marchio A, di cui si è detto, e quelli registrati coi nn. 1285718, 1285720 e 1285716, rispettivamente indicati con le lettere C, D ed E.
Altro giudizio è stato introdotto da COGNOME dinanzi al Tribunale di Milano; in tale giudizio la società ha domandato l’accertamento della contraffazione del proprio marchio e della conseguente concorrenza sleale, il risarcimento del danno, l’inibitoria e le connesse pronunce accessorie, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE, individ uata quale concorrente nell’attività
illecita. Questo secondo procedimento è stato poi riassunto avanti al Tribunale di Roma e riunito a quello avente ad oggetto l’accertamento della nullità dei marchi B e F.
Il Tribunale di Roma ha rigettato le domande proposte da COGNOME e in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale di COGNOME ha dichiarato la nullità dei marchi A e C nella titolarità dell’attri ce.
2 . ─ Ha proposto appello la società RAGIONE_SOCIALE
In esito al giudizio di appello, in cui si sono costituiti COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, la Corte di Roma ha annullato la sentenza di primo grado per la mancata partecipazione al giudizio della RAGIONE_SOCIALE Stracci RAGIONE_SOCIALE, ritenuta parte necessaria in relazione alla domanda di nullità del marchio A. Il Giudice distrettuale ha in sintesi ritenuto che il giudizio sulla nullità del marchio in questione dovesse svolgersi nel contraddittorio con la nominata RAGIONE_SOCIALE, originaria titolare della privativa.
─ Ricorre per cas sazione, con due motivi, COGNOME. Resiste con controricorso COGNOME. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 122, comma 4, c.p.i. e degli artt. 102 e 354 c.p.c.. Secondo parte ricorrente il cit. art. 122, comma 4, andrebbe interpretato nel senso che titolari del diritto di proprietà industriale sono i soli «titolari dei diritti attuali sul titolo», con esclusione di quanti più non ricoprano tale posizione giuridica. Non vi sarebbe quindi alcuna necessità di convenire in giudizio i precedenti titolari della privativa.
Il motivo è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c..
Non vi sono ragioni che inducano a un ripensamento della giurisprudenza di questa Corte.
In base al comma 4 del l’art. 122 c.p.i. , l’azione di nullità di un
titolo di proprietà industriale, al pari di quella di decadenza, è esercitata in contraddittorio di tutti coloro che risultano annotati nel registro quali titolari di esso, onde tali soggetti sono litisconsorti necessari negli indicati giudizi di nullità e decadenza. La precisazione riferita alla situazione di titolarità si deve al decreto correttivo del 2010 (d.lgs. n. 131/2010) che , con l’art. 54, ha modificato nel senso precisato la richiamata norma del codice della proprietà industriale, prevedendo, poi , che la disposizione risultante dall’intervenuta modifica si applichi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo (art. 128).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’art. 122, comma 4, c.p.i., come modificato dall’art. 54 del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131, va interpretato nel senso che l’azione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale ivi prevista deve essere esercitata nel contraddittorio di tutti coloro che risultano annotati nel registro quali « aventi diritto », senza che l’aggiunta « in quanto titolari di esso », introdotta dal d.lgs. n. 131 cit., comporti l’esclusione di coloro che abbiano ceduto i diritti sul titolo, trattandosi pur sempre di soggetti iscritti nel registro « in quanto titolari », con conseguente insussistenza di ogni irragionevole disparità di trattamento tra titolari attuali ed originari del brevetto, portatori anch’essi di interessi patrimoniali qualificati e dipendenti dalla validità di quest’ultimo, i quali, diversamente, resterebbero vulnerati da una declaratoria di nullità o di decadenza resa a conclusione di un giudizio di cui non abbiano avuto conoscenza pur essendo annotati nel registro (Cass 18 giugno 2014, n. 13915; in senso conforme: Cass. 6 dicembre 2019, n. 31932).
Da tale punto di vista la norma non innova rispetto al passato. E infatti, con riguardo al profilo in esame, la giurisprudenza testé richiamata non si discosta da quella formatasi nel vigore dell’abrogata legge sulle invenzioni. Già in passato, infatti, questa Corte intendeva il secondo comma dell’art. 78 r.d. n. 1127/1939, secondo cui l’azione di
nullità o di decadenza del brevetto doveva essere esercitata nei confronti di tutti coloro che risultassero annotati nel registro quali aventi diritto sul brevetto, come idoneo a ricomprendere nel novero dei legittimati passivi rispetto alla detta azione -e quali litisconsorti necessari -anche quanti tale registro evidenziasse essere precedenti titolari del brevetto (Cass. 6 agosto 1991, n. 8564).
L’intervento emendativo del 2010 è valso invece a fugare incertezze interpretative quanto alla possibilità di individuare nel l’inventore, mero titolare del diritto di paternità del trovato brevettuale, un litisconsorte necessario del giudizio vertente sulla nullità o decadenza del brevetto. Merita ricordare, infatti, l’arrest o di questa Corte secondo cui la figura dell’inventore assume rilievo nelle vicende processuali del brevetto, quale litisconsorte necessario, solo ove lo stesso sia diventato, nell’esercizio delle sue facoltà, titolare originario del « diritto sul brevetto », acquisendo così i diritti patrimoniali conseguenti alla brevettazione, anche se per un arco temporale limitato, avendo successivamente ceduto tali diritti a terzi: ma non nel caso in cui, non avendo proceduto alla brevettazione, abbia ceduto a terzi il « diritto al brevetto » (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5963: nella fattispecie veniva in questione la contestata qualità di litisconsorte in capo all’inventore che non aveva proceduto alla registrazione del brevetto, avendo ceduto il suo diritto a terzi, che avevano poi provveduto alla registrazione).
Col secondo mezzo si oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 354 c.p.c.. Viene affermato che l’integrazione del contraddittorio andava disposta con rigua rdo alla domanda scindibile relativa al marchio n. 1223248 (marchio A), onde la Corte di merito avrebbe dovuto separare i giudizi e disporre l’ulteriore trattazione della causa con riguardo ai marchi nn. 1285718, 1285720 e 1285716 (marchi C, D ed E), oltre che ad altro marchio, identificato con la lettera G, e recante il numero di registrazione 0131871, di cui essa
ricorrente aveva domandato accertarsi la contraffazione.
Il motivo è inammissibile.
Anzitutto, come si legge nella sentenza impugnata (pag. 7), il Tribunale ha dichiarato inammissibili le domande proposte in via riconvenzionale da COGNOME con riguardo ai marchi D ed E: poiché l’odierno ricorrente non risulta aver impugnato detta statuizione del Giudice di primo grado, il motivo, con riguardo ai marchi in questione, si infrange contro il giudicato interno; in ragione di tale giudicato il tema introdotto dalla domanda riconvenzionale non poteva essere esaminato dalla Corte di merito e tanto esclude che il giudizio di appello potesse proseguire con riguardo ai nominati titoli di proprietà industriale. Nella propria memoria la ricorrente ha richiamato le conclusioni rassegnate in appello per dar conto di aver proposto, con riguardo ai detti marchi, una impugnazione incidentale: tuttavia, l’assunto non trova conferma della sentenza di appello, ove l’RAGIONE_SOCIALE è indicata come « parte appellata »; né l’odierna istante ha fatto menzione di censure dirette contro la statuizione di inammissibilità resa dal Tribunale: come è noto, un appello, per essere tale, deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199; in senso conforme, Cass. Sez. U. 13 dicembre 2022, n. 36481).
Con riguardo ai restanti marchi, va evidenziato che la scelta della Corte di appello di non separare la causa vertente sul marchio A da
quelle che investivano le altre privative non può essere qui posta in discussione. Difatti, l’esercizio, in senso positivo o negativo, del potere discrezionale del giudice ─ su cui non può incidere il dissenso della controparte ─ di disporre la separazione delle domande a norma dell’art. 104 c.p.c. è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 8 settembre 2006, n. 19299; Cass. 5 agosto 2003, n. 11831).
3. ─ Il ricorso è dichiarato inamm issibile.
4. ─ Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione