Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26227 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26227 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30120/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso in proprio, domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) e COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) , domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dai difensori
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 3533/2021 depositata il 1° ottobre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ai sensi dell’art. 702 -bis cod. proc. civ. l’AVV_NOTAIO convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli,
R.G. 30120/2021
COGNOME.
Rep.
C.C. 18/6/2024
C.C. 14/4/2022
RILASCIO DI IMMOBILE DETENUTO SENZA TITOLO.
NOME COGNOME, compagna del proprio fratello NOME COGNOME, chiedendo che fosse condannata al rilascio di un immobile sito a Pozzuoli, da lei occupato in modo asseritamente illegittimo.
A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che l’immobile gli era stato attribuito, a titolo di legato, dalla propria madre con testamento olografo datato 8 dicembre 2014, con l’espressa disposizione di procedere all’alienazione del bene per dividerne il ricavato con gli altri quattro fratelli (NOME, NOME, NOME e NOME). Aggiunse che, in ottemperanza alla volontà della defunta madre, egli aveva reperito un acquirente dell’immobile, col quale aveva stipulato un contratto preliminare di compravendita, per cui aveva bisogno che lo stesso venisse al più presto liberato.
Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda e osservando che la vicenda doveva essere inquadrata nel più ampio contesto di una lite successoria in atto tra i coeredi, per la quale pendevano già due autonomi giudizi innanzi al Tribunale di Napoli. Aggiunse ancora, a propria difesa, di occupare legittimamente l’immobile insieme alle proprie figlie ed al proprio compagno NOME COGNOME, atteso che quest’ultimo risultava essere assegnatario esclusivo del bene sulla base degli atti di ultima volontà del padre NOME COGNOME e della madre NOME COGNOME.
Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese processuali.
La decisione è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 1° ottobre 2021, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, dopo aver richiamato il contenuto dei tre motivi di appello, che lo stesso poteva essere deciso, in nome del principio della c.d. ragione più liquida , esaminando il secondo e il terzo motivo di appello, la cui infondatezza rivestiva valore assorbente.
A questo proposito la Corte napoletana ha trascritto un’ampia parte della motivazione del Tribunale, dichiarando di condividerla e di farla propria. Era stato osservato dal primo giudice che era necessario, innanzitutto, procedere all’esatta qualificazione giuridica della domanda proposta. Richiamando, in argomento, una serie di pronunce di legittimità, il Tribunale aveva rilevato che l’azione volta ad accertare l’occupazione sine titulo di un immobile può, in termini astratti, essere proposta o come azione di rivendicazione, avente natura reale, o come azione di restituzione, avente natura personale. Mentre nel primo caso «l’attore mira a far accertare il proprio diritto di proprietà e, per l’effetto, agisce contro chi eserciti il possesso illegittimo sul bene al fine di esserne reintegrato, nella seconda ipotesi, l’attore non chiede di accertare il proprio diritto di proprietà, ma si limita a chiedere la restituzione del bene da parte di chi lo detenga», sia perché gli sia stato consegnato e il titolo di consegna sia venuto meno, sia perché se ne sia impossessato senza alcun titolo.
Tanto premesso per il corretto inquadramento giuridico, la Corte d’appello, confermando la decisione del Tribunale, ha affermato che l’attore aveva esercitato un’azione di rivendicazione e non un’azione di carattere personale, perché non aveva fatto valere l’invalidità o la caducazione di un titolo preesistente che potesse legittimare il possesso dell’immobile occupato da parte della compagna del fratello, bensì aveva denunciato l’assenza di alcun titolo legittimante il possesso da parte della convenuta. Così inquadrato il tipo di azione proposta, il Tribunale aveva rilevato che l’attore non aveva assolto il proprio onere probatorio, perché a fondamento della domanda aveva posto l’esistenza di un titolo cioè il legato in suo favore da parte della defunta madre -che era stato già impugnato per falsità in un diverso procedimento civile e che, pertanto, non poteva fondare l’accoglimento dell’azione di rivendicazione.
Ha poi aggiunto la Corte d’appello che le considerazioni critiche poste dall’appellante rispetto alla decisione del Tribunale non avevano minimamente scalfito il carattere reale dell’azione esperita, posto che l’attore non aveva mai dedotto la preesistenza, in capo alla COGNOME, di un titolo (neanche specificato in sede di gravame) che potesse legittimare l’originaria occupazione del bene. D’altro canto, l’attenuazione dell’onere probatorio derivante dal riconoscimento della provenienza del bene da un comune dante causa non poteva comunque esimere l’attore dall’onere della prova dell’esistenza di un valido titolo di acquisto in suo favore.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso l’AVV_NOTAIO con atto affidato a sei motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso affiancato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. relativo al divieto delle c.d. decisioni a sorpresa.
Il ricorrente rileva, innanzitutto, che il Tribunale aveva posto in decisione la causa senza concedere un termine per note, com’era stato richiesto, e, modificando la chiara domanda di restituzione, aveva rigettato la domanda senza aver prima concesso termini alle parti. Tanto premesso, il ricorrente ricorda di non aver avanzato una domanda di rivendicazione quanto, piuttosto, una domanda di carattere restitutorio, fondata sulla premessa per cui la convenuta -che godeva dell’immobile a titolo di comodato gratuito finché era in vita la madre dei fratelli NOME -dopo la morte di quest’ultima non aveva più alcun titolo per rimanere nella detenzione del bene. Poiché era pacifico che la proprietà dell’immobile era della COGNOME fino alla data della sua morte, era evidente che l’azione proposta era di carattere restitutorio, volta cioè a far dichiarare l’abusività
della detenzione. E poiché il Tribunale aveva deciso la causa interpretando la domanda come azione di rivendicazione, il ricorrente rileva che simile decisione avrebbe dovuto essere preceduta dalla concessione alle parti dei termini di cui all’art. 101, secondo comma, cit., ricorrendo altrimenti un’ipotesi espressa di nullità.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. in materia di legittimazione ad agire.
La censura richiama il passaggio della motivazione dove la Corte d’appello ha affermato che il ricorrente era carente di interesse ad agire perché, anche in ipotesi di accoglimento della domanda, egli non sarebbe comunque potuto rientrare nel possesso dell’immobile, occupato anche dal fratello NOME COGNOME e dai figli di questo e della COGNOME. Tale ricostruzione sarebbe errata, perché il creditore ha comunque interesse anche al solo accertamento del suo diritto di credito; d’altra parte, l’ordinanza di rilascio, ad avviso del ricorrente, spiegherebbe i suoi effetti «non solo nei confronti della NOME e del suo compagno, ma anche nei confronti di chiunque si trovi nel possesso o nella detenzione del bene», per cui l’interesse ad agire avrebbe dovuto comunque essere considerato esistente. Secondo il ricorrente, il bene in questione dovrebbe essere considerato estraneo alla comunione ereditaria in quanto a lui attribuito in legato dalla madre; per cui, fin quando quel titolo non venga caducato, nessuno degli occupanti avrebbe un titolo per rimanere nell’immobile. Né la sentenza si è preoccupata di spiegare le ragioni per le quali, essendo il legato a favore del ricorrente ultimo in ordine di tempo rispetto a precedenti disposizioni testamentarie della madre, quel legato non dovrebbe essere considerato valido fino a quando non vi sia una sentenza che stabilisca il contrario.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione delle norme relative alla qualificazione della domanda.
Ad avviso del ricorrente, la sentenza sarebbe incorsa in un evidente errore perché, mentre da un lato ha escluso la legittimazione ad agire dell’attore per non potere questi portare in esecuzione il titolo in danno di uno dei soggetti occupanti, nello stesso tempo ha qualificato tale azione come rivendicazione, di carattere petitorio e reale e, in quanto tale, esperibile erga omnes . Il ricorrente aggiunge che non sarebbe suo onere fornire la probatio diabolica della circostanza di essere legittimo e unico proprietario, potendo la restituzione essere chiesta anche da altri soggetti, quali l’erede.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dei principi cardine relativi all’attenuazione dell’onere probatorio a carico dell’attore.
Il ricorrente ricorda che la sentenza impugnata ha riconosciuto che l’onere della prova nell’azione di rivendicazione è attenuato nel caso in cui il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, perché in tal caso all’attore è sufficiente dimostrare l’esistenza, in suo favore, di un valido titolo di acquisto. Nella specie, la convenuta ha sempre affermato che il proprio convivente, NOME COGNOME, era divenuto comproprietario in forza di un atto di ultima volontà della madre NOME COGNOME; per cui ella ha ammesso l’esistenza di una comune dante causa. Ora, poiché i due fratelli NOME e NOME hanno invocato entrambi due diversi titoli successori -l’uno il legato e l’altro il testamento -anche in ipotesi di totale nullità del legato, la divisione ereditaria che pretermette un legittimario è comunque contraria alla legge. Ne consegue che il ricorrente, in quanto figlio e
perciò legittimario, sarebbe comunque coerede e comproprietario del bene, legittimato ad esperire la domanda di restituzione.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente rileva che la convenuta ha ammesso fin dal primo grado di aver occupato, insieme a NOME COGNOME, solo una parte dell’immobile, mentre l’altra parte era rimasta libera. Non essendo in contestazione che una parte era vuota, la sentenza non avrebbe considerato che la convenuta non aveva alcun interesse a resistere alla restituzione di un immobile vuoto.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., motivazione assente, che si traduce in nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., in relazione alla liquidazione delle spese processuali.
Il ricorrente sostiene che sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno dichiarato di liquidare le spese per la soccombenza secondo i parametri del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, ma che non sarebbe dato comprendere quale sarebbe il valore della controversia individuato e il conseguente scaglione applicato come base di calcolo.
La Corte ritiene che il ricorso, prescindendo dai motivi fin qui riassunti, sia meritevole di accoglimento per una ragione preliminare che può e deve essere rilevata d’ufficio, trattandosi di integrazione necessaria del contraddittorio.
Ed invero, la sentenza di primo grado, alla quale la Corte d’appello si è pressoché integralmente riportata, ha osservato, tra l’altro, che risultava chiaro che «il possesso del bene esercitato dalla NOME non sia autonomo ed indipendente rispetto a quello del proprio compagno NOME, fratello del ricorrente, atteso che la convivente fa parte del nucleo familiare del proprio compagno
unitamente alle proprie figlie (in questo senso, si ricorda che per oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità la posizione del convivente more uxorio risulta parificata per molti aspetti a quella del coniuge, in particolar modo con riferimento alla situazione soggettiva di detenzione qualificata o di possesso sulla casa familiare)».
Il Tribunale, d’altra parte, aveva premesso al passaggio motivazionale che si è qui riportato un’altra importante affermazione, e cioè che «la controversia relativa al godimento della villa in questione si inseriva in una più complessa vicenda di divisione ereditaria, nell’ambito della quale risulta proposta, da un lato, azione di riduzione rispetto alle disposizioni testamentarie attributive del bene in via esclusiva a NOME COGNOME, dall’altro, azione di impugnazione per falsità della disposizione testamentaria attributiva del bene a titolo di legato all’odierno ricorrente NOME».
Deve pertanto osservarsi, anche alla luce di quella che è stata la linea difensiva dell’odierna controricorrente riportata nell’atto difensivo davanti a questa Corte, che, a prescindere dall’effettivo titolo invocato dall’odierno ricorrente per ottenere il rilascio dell’immobile, la COGNOME ha sempre addotto, a supporto della propria difesa, di avere ricevuto in godimento il bene sulla base della volontà dei genitori dei fratelli NOME, i quali avevano destinato l’immobile al figlio NOME e al suo gruppo familiare. Detto in termini più chiari, quindi, la COGNOME ha invocato, come titolo legittimante la propria detenzione, una sorta di comodato per ragioni familiari disposto, in particolare, dalla madre di NOME e NOME, venuta a mancare dopo il proprio marito.
Consegue da tale ricostruzione che il contraddittorio sulla domanda di rilascio proposta da NOME COGNOME avrebbe dovuto essere correttamente integrato, fin dal giudizio di primo grado, nei confronti del fratello NOME, compagno convivente della COGNOME, unico soggetto invece convenuto nel giudizio odierno.
Ciò in quanto l’azione di rilascio di un bene immobile dato in comodato congiuntamente a due soggetti, determinando la cessazione del rapporto, non poteva che essere instaurata, in mancanza di recesso di uno dei due, se non nel contraddittorio di entrambi, in quanto era evidentemente rivolta nei riguardi di tutti e due (art. 102 cod. proc. civ.). Nella specie deve trovare applicazione, quindi, l’art. 383, terzo comma, cod. proc. civ., perché il giudice d’appello avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio. E poiché tanto non è avvenuto, la sentenza impugnata deve essere cassata e il giudizio rimesso in primo grado, affinché riparta a contraddittorio integro nei confronti anche di NOME COGNOME.
La sentenza impugnata, pertanto, è cassata e il giudizio è rimesso al Tribunale di Napoli, in persona di un diverso Magistrato, in qualità di giudice di primo grado, il quale deciderà la causa disponendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del giudizio di cassazione e dei precedenti gradi di merito, alla luce dell’esito della decisione definitiva.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e, visto l’art. 383, terzo comma, cod. proc. civ., rimette le parti davanti al Tribunale di Napoli, in qualità di giudice di primo grado ed in persona di un diverso Magistrato rispetto a quello che decise già in primo grado; dispone che detto giudice provveda sulla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione e dei precedenti gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza