Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25095 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25095 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8957/2021 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elett.te domiciliati in BERGAMOINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di n.36/2021 depositata il 20.1.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ Consigliere NOME COGNOME.
BRESCIA 11.9.2024 dal
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 2.12.2014 COGNOME NOME e COGNOME NOME, comproprietari di una villetta a schiera in Cavernago (BG), convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Bergamo COGNOME NOME, indicandola come proprietaria della villetta confinante, costruita in forza della concessione edilizia del 21.1.1995 e della variante del 7.8.1995, lamentando che la COGNOME nella parte posteriore della villetta aveva realizzato, in prossimità del confine, un muro con parapetto in cemento armato, al piano interrato, di sostegno dell’ampliamento della sua autorimessa interrata, con una terrazza sovrastante, in allargamento del balconcino che era sopra il vano autorimessa preesistente, in violazione della distanza legale dal confine, chiedendone la demolizione, oltre al risarcimento dei danni subiti, per ben 19 anni, per la diminuzione di aria e luce, e per la veduta in tal modo costituita, in violazione della distanza legale, poiché la terrazza consentiva di affacciarsi sui vani al primo piano della loro villetta, mentre ciò non era consentito dall’originario balconcino.
Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME NOME, che chiedeva il rigetto delle domande avversarie, sostenendo che le opere erano state realizzate ben 19 anni e 6 mesi prima, senza alcuna contestazione, e che il muro posto in prossimità del confine era situato al piano interrato, e doveva quindi ritenersi sottratto all’obbligo di rispetto della distanza dal confine.
Il Tribunale di Bergamo, espletata CTU, con la sentenza n. 2177/2017 del 25.7.2017, condannava COGNOME NOME ad arretrare il muro in cemento armato realizzato a confine con la proprietà degli attori sino alla distanza di 5 metri dal confine, prescritta dall’art. 45 del PGT in vigore nel Comune di Cavernago, nonché al risarcimento dei danni, quantificati in € 10.000,00, provocati agli attori, che avevano dovuto sopportare l’introspezione dalla terrazza lunga cinque metri sui loro vani del primo piano, oltre al pagamento delle spese processuali e di CTU.
Appellava la sentenza di primo grado la COGNOME, ribadendo la tesi che il muro contestato fosse completamente interrato, e quindi non soggetto al rispetto delle distanze legali in base alla previsione dell’art. 30 delle norme tecniche di attuazione del PRG del Comune di Cavernago, dovendosi tener conto del piano di campagna esistente prima dei lavori di scavo compiuti dal costruttore del complesso edilizio delle villette a schiera, e del fatto che il costruttore stesso aveva derogato alla distanza legale di cinque metri dal confine, con la costruzione del balconcino sul lato posteriore della sua villetta a distanza inferiore, e dovendosi escludere dal computo dell’altezza del muro, il parapetto della sovrastante terrazza. Parte appellante lamentava, inoltre, che il danno fosse stato considerato in re ipsa per il solo fatto che fosse stata violata la distanza legale, senza tener conto delle ragioni che avevano indotto gli attori a tollerare per lungo tempo il manufatto in contestazione, decidendosi ad agire in giudizio, a seguito di un alterco con la vicina, solo nell’imminenza della maturazione dell’usucapione.
La Corte d’Appello di Brescia, nella resistenza degli originari attori, dopo avere in via provvisoria sospeso con ordinanza l’esecutività della sentenza di primo grado, con la sentenza n. 36/2021 del 18.11.2020/20.1.2021, rigettava l’appello e condannava COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
In particolare la sentenza della Corte d’Appello, pur riconoscendo che l’altezza della costruzione andava calcolata partendo dal livello naturale del terreno esistente prima delle attività di scavo compiute dal costruttore, ribadiva che il manufatto composto dal muro e dalla sovrastante terrazza non poteva considerarsi interrato, neppure secondo la previsione dell’invocato art. 30 delle norme tecniche di attuazione del Comune di Cavernago, ed era quindi soggetto alla distanza legale dal confine di 5 metri prevista dall’art. 45 del PGT, distanza che non poteva ritenersi derogata dalla costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia per effetto della realizzazione, da parte del costruttore del complesso, del balconcino del lato posteriore della villetta della COGNOME ad una distanza dal confine inferiore a cinque metri, che non poteva legittimare altre costruzioni di manufatti sopravvenute a distanza inferiore a cinque metri dal confine. La Corte d’Appello, infine, confermava la condanna al risarcimento danni di € 10.000,00 richiamando la giurisprudenza di questa Corte, che in materia di violazione di distanze legali tra costruzioni, riteneva che l’imposizione illecita di una servitù a carico del fondo determinasse automaticamente una limitazione del relativo godimento da parte del proprietario, che si traduceva in una riduzione temporanea del valore della proprietà, con conseguente danno in re ipsa (Cass. 31.8.2018 n. 21501).
Avverso tale sentenza, asseritamente notificata il 22.1.2021, ha proposto ricorso a questa Corte, notificato a COGNOME NOME e COGNOME NOME il 22.3.2021, COGNOME NOME, affidandosi a tre motivi, e resistono COGNOME NOME e COGNOME NOME con controricorso notificato il 3.5.2021.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 177 cod. civ. e 102 c.p.c..
Si duole la ricorrente che la sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, sia stata pronunciata a contraddittorio non integro e sia quindi affetta da nullità, presentando un vizio rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass. n. 8825/2007), derivante dal fatto che il villino a schiera comprensivo del muro realizzato in prossimità del confine con la proprietà degli originari attori ed il sovrastante terrazzo erano oggetto di comunione legale fin dal 1984 da parte del coniuge di COGNOME NOME, COGNOME NOME, che non ha partecipato al giudizio e non può quindi vedere lesi i suoi diritti di comproprietario dalla sentenza conclusiva dello stesso, che ha ordinato la demolizione del muro e del sovrastante terrazzo per violazione della distanza legale di cinque metri dal confine. Sottolinea infatti la ricorrente, richiamando la sentenza n. 1238 del 23.1.2015 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che ove non fosse garantita la partecipazione al processo di COGNOME NOME, la sentenza impugnata sarebbe inutiliter data, non potendosi demolire i manufatti realizzati in violazione della distanza legale per la sola quota ideale di pertinenza della COGNOME. Assume la ricorrente che nella concessione edilizia del Comune di Cavernago del 21.1.1995 e relativo progetto, allegati come documento 2 all’originario atto di citazione, ed in particolare nella tavola progettuale n. 1 datata 5.9.1994 del AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO, parte integrante della concessione, il mappale 452 del foglio 7 (poi divenuto mappale 728) sul quale insistono i manufatti contestati (villetta ed autorimessa), erano chiaramente individuati come di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che erano quindi comproprietari anche al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado (2.12.2014).
2) Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, che ha viziato l’intero processo e che va rilevata anche per la prima volta in sede di legittimità, imponendo l’annullamento delle sentenze emesse ed il rinvio al giudice di prime cure a norma dell’art. 383 comma 3° c.p.c. (in tal senso Cass. sez. un. 16.2.2009 n.3678; Cass. 7.2.2016 n. 25130).
La ricorrente aggiunge poi che l’art. 372 c.p.c. consente la produzione nel giudizio di legittimità di nuovi documenti oltre che inerenti all’ammissibilità del ricorso, o del controricorso, anche in ordine alla nullità della sentenza impugnata, che può dipendere sia dai vizi propri dell’atto per mancanza di requisiti essenziali di forma o di sostanza, sia da vizi radicali del procedimento, che sfociano nella nullità derivata della sentenza impugnata (in tal senso Cass. n. 9942/2004), e deposita quindi, a supporto della comproprietà del fondo sul quale sorgono i manufatti in contestazione, la visura catastale per soggetto sul nominativo di NOME COGNOME e l’atto di provenienza della proprietà in capo ai coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME (atto del AVV_NOTAIO del 19.6.1984, rep. n. 176588).
I primi due motivi della ricorrente, entrambi relativi alla violazione del principio del litisconsorzio necessario, determinante la nullità della sentenza impugnata e di quella di primo grado per la mancata partecipazione al giudizio del comproprietario dei manufatti oggetto dell’ordine di demolizione, COGNOME NOME, vanno esaminati congiuntamente e devono ritenersi fondati.
Pur non essendo stato rappresentato dalla COGNOME nei due precedenti gradi di giudizio, anche COGNOME NOME era comproprietario del foglio 7, mappale 452, poi divenuto mappale 728, sul quale sorgono i manufatti dei quali è stata ordinata la demolizione, e doveva quindi partecipare quale litisconsorte
necessario al giudizio fin dal primo grado, e tale circostanza già emergeva dagli atti del fascicolo di primo grado.
Nella planimetria allegata alla concessione edilizia del Comune di Cavernago del 21.1.1995 e relativo progetto (doc. 2 allegato alla citazione iniziale e 3 allegato al ricorso), infatti, COGNOME NOME e COGNOME NOME erano indicati come comproprietari della villetta e dell’autorimessa ubicate sulla suindicata particella, né risulta in alcun modo che la condizione proprietaria di esse sia mutata successivamente.
Questa verifica, se compiuta tempestivamente dai giudici di merito, avrebbe comportato la regolarizzazione del contraddittorio.
La violazione del principio del contraddittorio, rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità quando la relativa prova risulti già dagli atti acquisiti nel giudizio di merito e sulla questione non si sia formato il giudicato (vedi in tal senso Cass. 2.12.2022 n. 35457; Cass. 28.4.2016 n. 8468; Cass. 21.8.2017 n. 20213; Cass. n. 9902/2010; Cass. 1.4.2008 n. 8441; Cass. n. 7669/2001), porterebbe alla pronuncia di una sentenza inutiliter data, e quindi ineseguibile, anche per le parti ritualmente evocate nel giudizio (Cass. 22.9.2004 n. 19004; Cass. 29.12.2001 n.29792; Cass. sez. un. 27.2.1992 n. 2427), competendo poi al litisconsorte necessario pretermesso anche l’opposizione di terzo ex art. 404 comma primo c.p.c.
Con specifico riferimento all’ordine di demolizione di un manufatto rivolto solo ad alcuni dei comproprietari dello stesso, la sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione del 23.1.2015 n. 1238, e già prima la sentenza delle stesse sezioni unite del 23.4.2009 n.9660, hanno evidenziato che la demolizione non potrebbe essere eseguita senza incidere anche sulla quota del comproprietario pretermesso, trattandosi di un’azione reale inerente ad un rapporto ab origine complesso ed unitario dal lato passivo (vedi in tal senso Cass. n. 3925/2016; Cass. n. 9902/2010; Cass. n. 5545/2005;
Cass. n.7669/2001; Cass. n. 5603/2001), ed é per questo motivo che il vizio sarebbe rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità.
La ravvisata violazione del contraddittorio necessario, emergente già dagli atti del giudizio di merito, rende superfluo disquisire sulla ammissibilità ex art. 372 cpc della produzione documentale in questa sede ed implica inesorabilmente la nullità delle sentenze di primo e di secondo grado con rinvio al giudice di primo grado ex art. 383 comma 3° c.p.c. (vedi in tal senso Cass. n. 904/2023; Cass. n.8040/2019; Cass. sez. un. n.17952/2007).
L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso fa ritenere assorbito il terzo motivo di ricorso, col quale in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., si è lamentata l’omessa pronuncia, con violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’eccezione che era stata sollevata dalla COGNOME in ordine alla necessità di escludere dal computo dell’altezza del muro contestato, quella del parapetto della sovrastante terrazza.
Il giudice di rinvio (Tribunale di Bergamo in diversa composizione soggettiva) dovrà provvedere, previa rituale instaurazione del contraddittorio, anche sulle spese dei vari gradi di giudizio, tenendo conto anche della circostanza che solo in sede di legittimità è stata lamentata la violazione del principio del contraddittorio necessario.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, dichiara la nullità delle sentenze n.2177/2017 del 25.7.2017 del Tribunale di Bergamo, e n. 36/2021 del 18.11.2020/20.1.2021 della Corte d’Appello di Brescia, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia al Tribunale di Bergamo in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese processuali dei vari gradi di giudizio.