Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21668 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21668 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3795/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
nonché
NOME BEATRICE;
-intimata – avverso la sentenza n. 1245/2022 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 30/11/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
Dopo lungo contenzioso venne definitivamente accertato che la società RAGIONE_SOCIALE deteneva senza averne titolo un complesso immobiliare di proprietà, per successione paterna, di NOME COGNOME COGNOME di Parma e, al 50%, di NOME COGNOME, seconda moglie del padre.
Sulla base di una tale premessa la COGNOME chiamò in giudizio la RAGIONE_SOCIALE perché, dichiarato che la convenuta deteneva ‘sine titulo’ gli immobili, fosse condannata alla restituzione, nonché al pagamento delle somme indebitamente percepite sfruttando l’occupazione, nonché, infine, a corrispondere l’indennità d’occupazione.
La convenuta, costituitasi, non negò di non avere la titolarità dei beni, ma formulò domanda riconvenzionale d’acquisto per usucapione.
La COGNOME aderì alla domanda riconvenzionale.
Il Tribunale accolse la domanda riconvenzionale.
La Corte d’appello di Genova, adita dalla soccombente attrice, con sentenza non definitiva, accolta l’impugnazione, in riforma della statuizione di primo grado, rigettò la domanda riconvenzionale e condannò la società convenuta a restituire gli immobili. La causa venne rimessa in istruttoria in ordine alla determinazione del danno a titolo di mancato godimento.
Con la sentenza definitiva la medesima Corte condannò la società appellata a pagare alla COGNOME la somma di € 66.922,35, corrispondente alla quota del 50%.
La società semplice RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso entrambe le sentenze d’appello sulla base di quattro motivi,
avversati da NOME COGNOME COGNOME di Parma con controricorso.
Il Consigliere delegato della Sezione propose definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso. Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 5 giugno 2024. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 102, co. 1, cod. proc. civ., assumendo che l’attrice, avendo chiamato in giudizio solo l’esponente e non anche la comproprietaria pro-indiviso NOME COGNOME, aveva violato l’integrità del contraddittorio in causa non scindibile.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 102, co. 2, cod. proc. civ., poiché, a suo dire, l’attrice, <> della COGNOME, aveva notificato a costei l’originaria citazione, la comparsa di risposta e il verbale di prima udienza, contenente il provvedimento del Giudice, senza, tuttavia, formulare conclusioni.
Entrambi i motivi sono manifestamente infondati, non sussistendo il prospettato litisconsorzio necessario.
Si è già avuto modo di condivisamente affermare che in materia di comunione nei diritti reali, la domanda di risarcimento danni da fatto illecito del terzo (nella specie, realizzazione di manufatto abusivo sul fondo confinante) esperita da uno dei comproprietari, pur riguardando anche gli altri non richiede l’integrazione necessaria del contraddittorio trattandosi di azione a tutela della proprietà comune, non implicante l’accertamento della
titolarità del proprio o dell’altrui diritto di proprietà (Sez. 3, n. 29506, 14/11/2019, Rv. 655832 -01; ma già, Cass. n. 24/1963).
Analogamente quanto all’azione di rivendicazione (anche se qui, si trattò d’azione d’accertamento della proprietà, la soluzione non muta): l’azione di rivendicazione, non inerendo ad un rapporto giuridico plurisoggettivo unico ed inscindibile e non tendendo ad una pronuncia con effetti costitutivi, non introduce un’ipotesi di litisconsorzio necessario, con la conseguenza che essa può essere esercitata da uno solo o da taluni dei comproprietari (Sez. 2, n. 6697, 10/05/2002, Rv. 554287 -01; conf. Cass. 685/2011).
10. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. assumendo che la sentenza impugnata aveva accolto <> e, quindi, la domanda non era riproponibile nel successivo giudizio.
10.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La rinuncia a cui si fa riferimento, sulla base di quanto affermato dalla stessa ricorrente (pagg. 5 e 6), investì la domanda di divisione giudiziaria, che non poteva coltivarsi nei confronti della NOME, che comproprietaria non era e in assenza della vera comproprietaria (la COGNOME), siccome aveva anticipato con ordinanza il Giudice.
11. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 102, co 1, 88 e 96 cod. proc. civ., anche in relazione al n. 5 dell’art. 360, assumendo che la Corte di merito aveva omesso di esaminare la <>.
11.1. Il motivo è palesemente inammissibile.
Deve richiamarsi quanto già precisato a riguardo del ‘gemello’ secondo motivo.
A volere prescindere da ogni altra considerazione, l’omesso esame non sarebbe stato, in ogni caso, qui configurabile, non vertendosi in ipotesi di mancata considerazione di un fatto storicodocumentale, avente carattere di decisività, bensì di rivendicazione di un diverso apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass. n. 18886/2023).
Poiché, per evidente errore materiale la proposta di definizione anticipata non ha preso in esame il terzo e il quarto motivo non risulta essersi avverato il presupposto per applicare il terzo e quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., richiamati dall’ultimo comma dell’art. 380 bis cod. pro. civ. Non può, invero, reputarsi che il provvedimento collegiale odierno sia conforme alla proposta, non avendo, per l’anzidetta ragione, il proponente esaminato gli anzidetti due motivi.
Appare utile sul punto enunciare il seguente principio di diritto: ‘ non deve farsi luogo alla sanzione processuale di cui all’ultimo comma dell’art. 380 bis cod. proc. civ. laddove la definizione collegiale del ricorso prescinda del tutto dalla proposta di definizione anticipata, come nel caso in cui, a fronte d’una proposta di rigetto o d’inammissibilità nel merito, il ricorso venga dichiarato improcedibile o inammissibile ab origine, oppure, come nel caso in esame, venga rigettato prendendo in esame motivi non vagliati in sede di proposta ‘.
Nel complesso il ricorso merita rigetto. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
14. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 5 giugno