Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8568 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 8568 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25173-2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 25173/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 21/02/2024
CC
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE;
– intimate –
avverso la sentenza n. 908/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/02/2018 R.G.N. 5286/2014; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
1. NOME COGNOME premesso di avere prestato attività lavorativa alle dipendenze dell’RAGIONE_SOCIALE dal 13 aprile 2005 al 30 giugno 2008 con le mansioni di ausiliario specializzato e orario di 36 ore settimanali, in forza di plurimi contratti di somministrazione (e relative proroghe), prima per il tramite di RAGIONE_SOCIALE, e, successivamente, tramite RAGIONE_SOCIALE, deduceva la nullità di tali contratti per difetto di causa e di forma ai sensi dell’art. 21 d.lgs. n. 276/2003, nonché per violazione del d.lgs. n. 368/2001 (in particolare in ordine al superamento del limite temporale dei 36 mesi di cui all’art. 4 bis, introdotto dall’art. 1 L. 247/2007) e dell’art. 36 d.lgs. 151/2001; chiedeva al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, previa declaratoria di nullità o illegittimità dei contratti in questione, che fosse accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra lui e l’RAGIONE_SOCIALE fin dall’origine con ripristino dello stesso e condanna alla corresponsione, anche a titolo risarcitorio,
della somma pari alle mensilità spettanti dal dì della messa in mora all’effettivo ripristino, o, in via subordinata, il pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 32 legge n. 183/2010.
Il Tribunale, in accoglimento dell’eccezione di decadenza , formulata ex art. 32 legge n. 183/2010 dall’A.O ., rigettava il ricorso, mentre la Corte d’appello, adita dal lavoratore, accoglieva in parte il gravame e, in riforma dell’impugnata sentenza, condannava l’A.O. al ristoro del danno in misura pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; la Corte territoriale dichiarava altresì improcedibile l’appello nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e inammissibile quello proposto contro RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, la Corte territoriale rilevava che l’atto d’appello non risultava notificato a RAGIONE_SOCIALE, tant’è che il difensore dell’appellante, all’udienza del 14.9.2017, aveva dichiarato di rinunciare al gravame nei confronti della società in menzione, donde la declaratoria, in parte qua , di improcedibilità dell’appello.
Parte ricorrente non aveva rassegnato conclusioni nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, sicché, non potendo ravvisarsi un litisconsorzio necessario tra utilizzatore della prestazione e soggetto interposto, come evidenziato dal primo giudice con statuizione non attinta da censure , v’era stata formazione del giudicato e inammissibilità dell’appello proposto contro tale società.
Nel resto, e con riferimento alla sola RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, l’appello era (per la Corte d’appello) fondato, perché nella specie, in cui l’impugnativa stragiudiziale era intervenuta il 13.12.2011 e quella giudiziale in data 30.12.2011, entro il termine di cui all’art. 32 legge n. 183/2010, nessuna decadenza si era verificata; nel merito, esclusa la possibilità di trasformazione del rapporto in rapporto a tempo
indeterminato nei confronti delle P.A., la Corte di merito rilevava che l’RAGIONE_SOCIALE non ave va provato, in relazione all’adibizione con plurimi contratti e per oltre tre anni del lavoratore come ausiliario presso l’Ospedale di RAGIONE_SOCIALE, le ragioni temporanee che giustificavano la somministrazione a termine, sicché ne derivavano le conseguenze risarcitorie ex art. 32 legge n. 183/2010.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE con due motivi illustrati da memoria, cui si oppone con controricorso NOME COGNOME, mentre RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE restano intimate.
Considerato che:
La RAGIONE_SOCIALE articola i seguenti due motivi di ricorso:
«Violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c od. proc. civ. con riferimento all’art. 360 n . 3 e n. 4 cod. proc. civ. in relazione alla violazione del principio del litisconsorzio necessario sia processuale che sostanziale -apparente motivazione su fatti decisivi della controversia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. -interesse ad agire del ricorrente ex art. 100 cod. proc. civ. con riferimento all’art. 360 n . 3 cod. proc. civ.»;
secondo la ricorrente, il COGNOME aveva formulato in primo grado domande nei confronti delle società somministratrici, sicché i) la RAGIONE_SOCIALE era litisconsorte processuale e sostanziale nella controversia, per cui la mancata notifica dell’appello nei suoi confronti si riflette ex art. 331 cod. proc. civ. in termini di nullità della sentenza, senza che a ciò potesse ostare la rinuncia all’appello verso tale società; ii) l’affermazione della Corte territoriale in ordine all’assenza di domande verso RAGIONE_SOCIALE integrava, inoltre, un vizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per motivazione apparente, contrastata dalle evidenze
documentali, che l’A.O. aveva interesse comunque a censurare stante, appunto, l’originaria domanda in solidarietà di danni verso tutte le convenute;
«Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ in relazione all’art. 360 n . 3 e n. 4 cod. proc. civ -ulteriori motivi di apparente motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ – interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. con riferimento all’art. 360 n . 3 cod. proc. civ.»;
secondo la ricorrente, era irrilevante l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in merito all’insussistenza di un litisconsorzio necessario tra utilizzatrice e soggetti interposti perché nella specie il COGNOME aveva proposto in primo grado domande (di nullità e risarcimento del danno) nei confronti di entrambe le società somministratrici, talché sussisteva una violazione non solo del l’art. 331 cod. proc. civ ma anche del l’art. 112 cod. proc. civ per omessa pronuncia;
entrambi i motivi (che per connessione logica e giuridica possono essere esaminati congiuntamente) non sono accoglibili;
nella sentenza di primo grado, il Tribunale, richiamando la decisione delle Sez. U. di questa Corte n. 14897/2002, rileva: «in via preliminare si osserva che parte ricorrente sostanzialmente non ha rassegnato conclusioni nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Invero l’art. 27 funziona come norma processuale, formulata dal punto di vista del lavoratore e dell’azione civile che può esercitare, sancendo che, in caso di contratto di somministrazione, privo dei requisiti formali o sostanziali previsti dagli artt. 20 e 21, il lavoratore ha il diritto potestativo di richiedere la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore, con effetto ex tunc , ossia dall’inizio del rapporto di lavoro. La natura precipuamente processuale della norma emerge altresì dalla espressa previsione della possibilità per il lavoratore di ‘notificare il ricorso
giudiziario’ anche solo all’utilizzatore, così risolvendosi i contrasti interpretativi sorti con riferimento alla legge n. 1369/1960 e facendo proprio l’orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, circa la insussistenza di un litisconsorzio necessario tra utilizzatore della prestazione e soggetto interposto»;
2.1 di ciò si dà puntualmente atto nella sentenza d’appello, avverso la quale l ‘A.O. ricorrente muove una prima censura sul piano della violazione dell’art. 331 cod. proc. civ. che non può trovare ingresso in questa sede;
l’art. 331 cod. proc. civ., disciplinante il litisconsorzio nelle fasi di gravame, si applica non solo alle fattispecie in cui la necessità del litisconsorzio in primo grado derivi da ragioni di ordine sostanziale, qui inesistenti ex art. 27 d.lgs. n. 276/2003 (v. pag. 11 dello stesso ricorso per cassazione dove l’A.O. conviene sulla non configurabilità di un litisconsorzio sostanziale), ma anche a quelle di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione e tanto al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (vd. Cass. 29/03/2019 n. 8790).
2.2 La ragioni che presiedono all’osservanza della norma processuale sono pertanto a tutela di principi di ordine generale sul giudicato e la sua formazione e di coloro che dopo aver partecipato in primo grado al giudizio nel concreto atteggiarsi del rapporto dedotto in lite, in quanto non chiamati nel giudizio di appello, si trovino a essere pregiudicati nelle loro posizioni di contro ai principi di concentrazione ed utile svolgimento del giudizio.
2.3 Ma siffatto interesse, destinato a valere anche rispetto alle parti che abbiano partecipato al giudizio di appello senza poter ivi coltivare la domanda proposta in primo grado rispetto al contraddittore, terzo chiamato, resta integrato là dove le prime restino svantaggiate dalla mancata partecipazione di quel terzo nel loro interesse sostanziale, o pretesa al bene della vita coltivato in giudizio. L’interesse in questione, che la parte può far valere rispetto al terzo che abbia partecipato al giudizio di primo grado e non sia stato chiamato dal giudice di appello ad integrare il contraddittorio, è quello (si noti) all’ottenimento di una pronuncia di merito a sé favorevole (Cass. Sez. 3, 13/02/2023, n. 4303; Cass., Sez. 1, 07/02/2020, n. 2966);
senonché, l’A.O. nessuna pronuncia di merito potrebbe qui conseguire nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, come pure nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, e questo perché l’accertamento contenuto nella pronuncia di primo grado in ordine all’assenza di domande contro tali società, non specificamente impugnato da alcuno, è divenuto irretrattabile nel processo per via del giudicato interno;
3.1 tanto basta per far ritenere inammissibile anche l’ulteriore censura di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., la quale tiene anch’essa a presupposto la formulazione – negata dal primo giudice con dictum su cui si è formato il giudicato interno – di domande verso RAGIONE_SOCIALE, su cui la Corte territoriale non si sarebbe in concreto pronunciata;
conclusivamente, il ricorso non si appalesa meritevole di accoglimento, anche laddove prospetta un vizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., atteso che la censura, là dove è formulata ai sensi di tale disposizione, non è all’evidenza conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5, come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese sostenute dal controricorrente che liquida in € 5.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024.