Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13120 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13120 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15297/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN RAGIONE_SOCIALE E CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 621/2021 depositata il 22/03/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti dell’ odierno ricorrente, sulla base di due fatture, di cui la prima, portante il n. 547 del 2011, per euro 48.820,00, che l’opponente aveva saldato prima della notifica del decreto ingiuntivo; e la seconda, portante il n. 212 del 2012, per euro 28.760,00, quale saldo lavori a seguito di collaudo. Nel giudizio di opposizione si è dato atto che la prima fattura era stata pagata e che il credito portato nella seconda fattura non era esigibile al momento dell’emissione del decreto ingiuntivo poiché i certificati di collaudo non erano stati consegnati all’opponente, sebbene redatti in precedenza. Di conseguenza il Tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo opposto poiché la prima fattura era già stata pagata e la condizione per il pagamento della seconda era maturata solo dopo l’emissione del decreto ingiuntivo, riconoscendo però la sussistenza del credito portato nella seconda fattura, ma senza emettere condanna in quanto, nelle more, la somma era stata corrisposta dal terzo pignorato.
Il primo giudice ha quindi compensato le spese ‘attesa la reciproca soccombenza parziale’ e ha condannato la società ricorrente in monitorio, d’ufficio, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. alla somma di euro 2.000,00 per avere tenuto una condotta non improntata ai criteri di buona fede e correttezza, avendo ottenuto un decreto ingiuntivo per somme già pagate dalla debitrice o comunque non esigibili. La società RAGIONE_SOCIALE ha interposto gravame, che la Corte d’appello ha accolto, rilevando che non poteva essere pronunciata condanna ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., una volta che erano state compensate le spese di lite e che, in ogni caso, le
spese erano state mal regolate, poiché il pagamento del debito portato dalla prima fattura era avvenuto dopo l’emissione del decreto ingiuntivo e dopo che la creditrice lo aveva tramesso per la notifica all’ufficiale giudiziario, sicché al momento dell’emissione del decreto ingiuntivo il debito non era stato estinto; per quanto riguarda la seconda fattura, la Corte di merito ha osservato che i certificati di collaudo erano stati consegnati il 14 aprile 2012, e cioè dopo l’emissione del decreto ingiuntivo, ma prima della notifica dello stesso. Ha quindi riformato la sentenza impugnata, eliminando la condanna ex art.96 c.p.c. e condannando il RAGIONE_SOCIALE al pagamento di due terzi delle spese processuali di primo grado e per intero delle spese del giudizio di secondo grado.
Averso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE affidandosi a cinque motivi. La società RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
RITENUTO CHE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione, ex art 360 n. 3 c.p.c., di norme di diritto, in relazione all’art 132 c.p.c.. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata ha contraddittoriamente affermato che il pagamento della prima fattura era avvenuto dopo l’emissione del decreto ingiuntivo ma prima della notificazione, salvo, poi, riconoscere che la notifica del decreto ingiuntivo era avvenuta in data 23 aprile 2012. Osserva che è pacifico che il pagamento era avvenuto in data 18 aprile 2012, e quindi prima della notificazione del decreto ingiuntivo, avvenuta in data 23 aprile 2012.
1.2. -Con il secondo motivo del ricorso si lamenta, ex art 360 n.3 c.p.c., la violazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 149 e 633 c.p.c.. Il ricorrente deduce che ha errato la Corte
d’appello a ritenere che il debito fosse stato estinto dopo la notifica del decreto ingiuntivo, in quanto il debitore aveva ricevuto la notifica del decreto ingiuntivo effettuata a mezzo posta il 23 aprile 2012, quando aveva già -da cinque giorni -estinto il debito. Secondo il ricorrente, ciò renderebbe evidente la manifesta malafede della controparte, che nel giudizio di opposizione aveva precisato le proprie conclusioni chiedendo di confermare integralmente in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto, comprensivo anche delle somme portate dalla prima fattura, già saldate ed inesigibili.
-I motivi possono esaminarsi congiuntamente perché connessi e sono inammissibili.
La parte ricorrente non si confronta compiutamente con le ragioni decisorie della sentenza impugnata, ove si rileva che il pagamento della prima fattura era avvenuto il 18 aprile 2012, cioè dopo l’emissione del decreto ingiuntivo e dopo che la ricorrente lo aveva consegnato per la notifica all’ufficiale giudiziario, in data 16 aprile 2012. Già solo per questa ragione non appare pertinente il riferimento alla circostanza che il debitore avesse ricevuto la notifica dell’ingiunzione il 23 aprile 2012, ossia dopo il pagamento, poiché la questione esaminata dalla Corte distrettuale non è la sussistenza del credito portato nella prima fattura al momento del perfezionamento della notifica, ma se la ricorrente avesse agito secondo i parametri della buona fede e correttezza, e a tal fine il giudice d’appello ha dato rilevanza al momento in cui la parte ha agito in monitorio e consegnato all’ufficiale giudiziario il decreto ingiuntivo per la notifica; fino a quel momento (16 aprile 2012), pacificamente, il pagamento della prima fattura non era ancora avvenuto. La Corte d’appello, infatti, non ha affermato che il debito era stato estinto prima della notificazione, ma che non era estinto al momento dell’emissione del decreto ingiuntivo, né al
momento della consegna del predetto decreto all’ufficiale giudiziario per la notifica, sicché non è dato rinvenire nel suesposto ragionamento decisorio alcuna contraddittorietà.
2.1. -Inoltre, non risulta idoneamente censurata la primaria argomentazione spesa dalla Corte di merito, idonea a sorreggere la decisione, secondo cui l’esito del giudizio di primo grado escludeva di per sé che si potesse fare luogo a condanna per lite temeraria. Il Tribunale aveva verificato che il credito portato dalla prima fattura era stato pagato, nei termini sopra riportati, ma che sussisteva il credito di cui alla seconda fattura, per il quale non era stata emessa condanna solo perché la pretesa era stata soddisfatta, a seguito di esecuzione forzata, nel corso del giudizio. Sulla scorta di queste considerazioni, il Tribunale aveva ritenuto la reciproca soccombenza e quindi compensato interamente le spese di giudizio e, ciò nonostante, pronunciato condanna ex art 96 c.p.c., così cadendo in errore sui presupposti per la applicazione della norma, correttamente interpretata, invece, dalla Corte d’appello.
2.2. -Il testo dell’art. 96 c.p.c. è chiaro nel disporre che la condanna al risarcimento dei danni per lite temeraria, di cui al comma primo, è una statuizione che si aggiunge alla condanna alle spese di giudizio. La norma prevede, infatti, che in caso di malafede, il giudice condanna la parte soccombente ‘oltre che alle spese, al risarcimento dei danni’ . In coerenza con la lettera della norma, si è consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio che non può farsi luogo all’applicazione dell’art. 96 comma I c.p.c. quando non sussista il requisito della totale soccombenza, per essersi verificata soccombenza reciproca (v. Cass. n. 3035 del 2/03/2001; Cass., n. 21590 del 12/04/ 2009; Cass. n. 7409 del 14/04/2016; Cass. n. 24158 del 13/10/2017; Cass. 19/10/2020, n.22647). E’ stato altresì affermato che la compensazione delle
spese costituisce sicuro indice di non temerarietà della lite (Cass. 17/10/2017, n.24409; Cass. 09/12/2019, n. 32090). Questa specificazione del principio può trovare applicazione anche per le ragioni di compensazione, previste dall’art 92 c.p.c. nella sua attuale formulazione, diverse dalla reciproca soccombenza, ossia la novità della questione sottoposta all’esame del giudice, il repentino mutamento di giurisprudenza ovvero la sussistenza gravi ed eccezionali ragioni nei termini esplicitati da Corte Cost. n. 77/2018, poiché esse costituiscono fatti incompatibili con la malafede, vale a dire con la consapevolezza (o colpevole ignoranza) di avere torto.
La Corte di merito, in conformità a questi principi, ha rilevato che il primo giudice aveva fatto cattiva applicazione dell’art. 96 c.p.c., poiché aveva affermato, al tempo stesso, la reciproca soccombenza e la temerarietà della lite. Questa ragione decisoria non è compiutamente ed efficacemente censurata dalla parte, la quale si limita ad affermare, apoditticamente ed erroneamente, che la malafede potesse evincersi dall’avere il creditore insistito anche nella domanda in cui la parte -vittoriosa per l’altra domanda -si era rivelata soccombente.
3. -Con il terzo motivo del ricorso si lamenta, ex art 360 n. 3 c.p.c., la violazione di norme di diritto, in relazione all’art 633 c.p.c.. Il ricorrente, con riferimento alla seconda fattura e ai certificati di collaudo, osserva che ha errato la Corte d’appello a ritenere che il decreto ingiuntivo si potesse emettere, poiché detti certificati di collaudo erano stati consegnati soltanto dopo l’emissione del decreto ingiuntivo, cioè in data 14 aprile 2012; inoltre deduce che, come aveva dimostrato l’esame testimoniale, alla data del 23 aprile 2012, momento di perfezionamento della notificazione del decreto ingiuntivo, il collaudo era ancora in corso.
4. -Il motivo è inammissibile.
Ferme restando le considerazioni sopra espresse, anche in questo caso il motivo non si confronta con la ragione decisoria. La Corte d’appello, infatti, non ha affermato che fosse legittima l’emissione del decreto ingiuntivo in assenza della consegna dei certificati di collaudo, ma si è limitata a rilevare che, nel momento in cui è stata proposta l’opposizione, l’opponente COGNOME era ben a conoscenza del fatto che i certificati erano stati consegnati ed era maturata la condizione del pagamento.
5. -Con il quarto motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione di norme di diritto con riferimento all’art. 92 c.c.. La Corte d’appello avrebbe erroneamente annullato la sentenza di primo grado nella parte in cui si compensavano le spese processuali, non riconoscendo che il decreto ingiuntivo era affetto da un vizio originario, così violando manifestamente l’art. 92 c. p.c., mentre avrebbe dovuto confermare le statuizioni sull’addebito delle spese di lite applicando il principio della soccombenza virtuale. Rileva il ricorrente che, in palese malafede, la controparte aveva visto ridurre la propria domanda in sede di opposizione, e ciò nonostante avesse chiesto di confermare integralmente in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto
5.1. -Il motivo è infondato.
La Corte d’appello di Catania ha considerato che l’opposizione era stata proposta nel momento in cui era già maturata la condizione per il pagamento della seconda fattura e che, per quanto attiene alla prima fattura, il decreto ingiuntivo era stato richiesto, ottenuto e consegnato per la notifica in buona fede, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, vale a dire ancor prima ancora di avere contezza del pagamento (parziale). Inoltre la Corte ha anche valutato la circostanza che l’opponente aveva proposto una eccezione di incompetenza infondata, dalla quale la controparte si era dovuta difendere. Sulla scorta di queste
considerazioni, la Corte di merito ha diversamente valutato la soccombenza e ritenuto non sussistenti i presupposti per una compensazione integrale delle spese, limitandola, per il giudizio di primo grado, ad un terzo. Deve qui ricordarsi che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n. 30592/2017; Cass. n. 14459/2021).
6. -Con il quinto motivo del ricorso si lamenta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 96 c.p.c., per avere la Corte di merito revocato la condanna al pagamento della somma di euro 2.000,00 ex art 96 c.p.c.. Il ricorrente deduce che la citata norma richiede la malafede o colpa grave della parte soccombente, che in questo caso si evidenzia in quanto la controparte aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo per somme già in parte pagate e in ogni caso non esigibili al momento della proposizione del ricorso monitorio.
6.1. -Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha valutato il comportamento di entrambe le parti, adeguatamente esponendo le ragioni del proprio convincimento sulla assenza di mala fede e sulle ragioni per le quali non poteva applicarsi l’art 96 c.p.c.. Oltre a richiamare le considerazioni che precedono, deve qui ricordarsi che l’accertamento della responsabilità aggravata rientra nei compiti del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass. 04/03/2022, n.7222).
Ne consegue che il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2500,00 per compensi e in euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/04/2024.