Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14805 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14805 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21829/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato presso l ‘ avvocato COGNOME NOME COGNOME -indirizzo PEC: EMAILitche lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FI NANZE, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 2271/20232 depositata il 07/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME aveva domandato nel 2009 il riconoscimento di un indennizzo per l’irragionevole durata di un processo amministrativo svoltosi avanti al TAR (anni 1997/1999) e poi al Consiglio di Stato e concluso con sentenza n.6303 del 13.5.2008; l’istanza era stata presentata avanti alla Corte d’Appello di Catanzaro che, con sentenza del 14.10.2010, aveva declinato la propria competenza indicando come territorialmente competente la Corte d’Appello di Salerno; riassunto il giudizio, la Corte d’Appello di Salerno aveva respinto l’istanza per difetto di legittimazione passiva del Ministero convenuto, essendo stata la notificazione effettuata al Ministero della Giustizia invece che al Ministero dell’Economia e delle Finanze; la pronuncia era stata cassata con rinvio alla stessa Corte d’Appello, indicata nel dispositivo della sentenza della Corte di Cassazione n.3266/2014 come Corte d’Appello di Catanzaro invece che di Salerno; riassunto il processo avanti alla Corte d’Appello di Salerno, questa aveva dichiarato inammissibile la riassunzione perché effettuata avanti a giudice diverso da quello indicato dalla Corte di legittimità; era seguito un nuovo ricorso, esitato nella cassazione della sentenza con correzione dell’errore di indicazione della Corte d’Appello di rinvio.
Riassunto ritualmente il giudizio, la Corte d’Appello di Salerno esaminava nel merito il ricorso per equa riparazione e lo respingeva, ravvisando la temerarietà del giudizio presupposto.
La Corte salernitana osservava che: – il COGNOME aveva agito per ottenere dal Comune di Corigliano Calabro il pagamento di somme di denaro asseritamente dovute a saldo di prestazioni effettuate nell’ambito di un servizio saltuario prestato a favore dell’Ente; -il giudizio avanti al TAR si era concluso in un termine ragionevole, pari a 2 anni, con pronuncia di rigetto della domanda per assenza
di prova sugli elementi costitutivi della stessa, non avendo nemmeno specificato il ricorrente il numero delle giornate lavorative delle quali pretendeva il ristoro; -risultava pertanto evidente la temerarietà, quantomeno sopravvenuta, dell’iniziativa, dato che la domanda non avrebbe potuto essere diversamente valutata dal TAR; -il comportamento gravemente colposo del COGNOME era emerso in maniera ancora più chiara in sede di appello, nel cui ambito COGNOME aveva insistito nella pretesa azionata affermando che, in base al principio dell’inversione dell’onere della prova, le ragioni del ricorrente avrebbero dovuto essere date per dimostrate, ottenendo ancora una volta una pronuncia di rigetto; se anche inizialmente NOME COGNOME non fosse stato consapevole della pretestuosità della sua iniziativa, avrebbe dovuto e potuto rendersene conto quantomeno al termine del giudizio di primo grado; -essendo stati rispettati per il giudizio avanti al TAR i termini di ragionevole durata, avrebbe dovuto essere considerato solo il periodo di pendenza avanti al Consiglio di Stato che, però, non poteva essere suscettibile di tutela indennitaria per la manifesta inconsistenza delle censure in sede di gravame e quindi per lite temeraria, con chiaro abuso dello strumento processuale. Avverso questo decreto della Corte d’Appello di Salerno propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a due motivi.
Resiste con controricorso il Ministero della Economia e delle Finanze.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di appello il ricorrente denunzia la violazione dell’art.360 comma 1 n.3 e 5 c.p.c. in relazione agli art.6 CEDU, 2 legge n.89/2001, 24 e 101 Cost., 96 c.p.c. -errata valutazione in ordine alla sussistenza nella specie di circostanze idonee ad escludere la presunzione di sofferenza e disagio per la protrazione del processo oltre il limite di durata ragionevole. Inapplicabilità alla vicenda dell’art.2 comma 2 quinquies lett.a) della l. n.89/2001.
Il ricorrente, dolendosi della ritenuta temerarietà del giudizio presupposto, rileva che all’epoca di presentazione del ricorso originante il procedimento, in data 8.4.2009, l’art.2 quinquies lett.a) l. n.89/2001 non era stato ancora introdotto e non sarebbe quindi applicabile; in ogni caso, nel merito, non sarebbe ipotizzabile né l’abuso del processo nè la lite temeraria nel perseguire in appello le proprie ragioni negate in primo grado, anche se con definitivo esito negativo; NOME COGNOME non avrebbe artatamente tenuto in piedi il giudizio per ottenere il ristoro ex l. n.89/2001.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
E’ vero che, all’epoca di introduzione del presente procedimento ex l. n.89/2001 non era ancora intervenuta la riforma operata dal DL n.83/2012, convertito nella l. n.134/2012, che ha, tra l’altro, aggiunto all’art.2 il comma 2 quinquies lett.a), definito infine nel testo attuale a seguito della l. n.208/2015: non si applica quindi il testo attuale della disposizione richiamata, che esclude il diritto all’indennizzo per chi ha agito o resistito in giudizio consapevole dell’infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dei casi di cui all’art.96 c.p.c.
Non è però all’art.2 co 2 quinquies lett.a) cit. che la Corte d’Appello di Salerno fa riferimento per negare il diritto di NOME COGNOME all’indennizzo. La Corte di merito richiama infatti l’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione che già prima della modifica normativa richiamata escludeva il diritto all’indennizzo a fronte della dimostrazione della temerarietà della lite presupposta: detto orientamento interpretativo si era consolidato prima non solo dell’intervento legislativo del 2015, ma anche dell’intervento legislativo del 2012 introduttivo del comma 2 quinquies dellart.2 cit.
Si richiamano, tra le tante, Cass. n.28592/2011 -‘ In caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001
spetta a tutti i soggetti che ne siano parti, indipendentemente dal fatto che essi siano risultati vittoriosi o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni coinvolte nel processo, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio in difetto di una condizione soggettiva di incertezza; …’; Cass. n.10500/2011 -‘ In tema di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, spetta indipendentemente dall’esito del processo presupposto, ad eccezione del caso in cui il soccombente, consapevole dell’inconsistenza delle proprie istanze, abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza e, dunque, elidendosi il presupposto dello stato di disagio e sofferenza; …’; Cass. n.18780/2010 -‘ In tema di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui all’art.2 della legge n.89 del 2001 spetta indipendentemente dall’esito del processo presupposto, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia proposto una lite temeraria. …’ -.
I profili di critica che il ricorrente rivolge al provvedimento della Corte d’Appello di Salerno, presupponenti l’asserita applicazione di disposizioni normative introdotte dopo la proposizione del ricorso ex l. n.89/2001, non colgono pertanto la ratio decidendi del decreto impugnato e sotto tale profilo la censura si rivela inammissibile (sulla sorte del motivo che non coglie la ratio decidendi, v. tra le tante, Cass. n. 19989/2017): la Corte di merito ha infatti chiarito che, a prescindere dall’art. 2 co 2 quinquies l. n.89/2001, l’esclusione del diritto all’equa riparazione di NOME COGNOME per temerarietà della lite presupposta e per abuso dello strumento processuale valutati con riferimento alle caratteristiche specifiche del caso , si fonda sull’interpretazione della giurisprudenza di
legittimità già consolidata, preesistente alle modifiche normative richiamate, in ordine all’individuazione delle ragioni di carattere soggettivo ostative al riconoscimento dell’indennizzo.
Per il reso, la censura è infondata laddove il ricorrente contrasta pure le considerazioni sulla cui base la Corte d’Appello di Salerno ha fondato le valutazioni di temerarietà della lite e di abuso del processo, lamentando l’errata considerazione della sussistenza di circostanze idonee ad escludere la presunzione di sofferenza e disagio per il protrarsi del processo oltre il limite di durata ragionevole. Il ricorrente richiama il disposto dell’art.360 n.5 c.p.c. ma non individua il fatto omesso, decisivo e discusso tra le parti, supportando le critiche rivolte alle valutazioni della Corte di merito con l’inserimento nel ricorso dell’atto di appello proposto avanti al Consiglio di Stato.
Il motivo si risolve in sostanza in una critica al giudizio di temerarietà del processo presupposto e di abuso dello strumento processuale espresso con apprezzamento adeguatamente motivato (v. decreto pag. 3), e tale valutazione non è sindacabile sede di legittimità perché conseguenza delle attività di interpretazione e di valutazione proprie del giudice di merito (cfr., per tutte, Cass. n.7222/2022 in tema di lite temeraria e responsabilità processuale aggravata).
Con il secondo motivo di critica NOME COGNOME lamenta di essere stato condannato a pagare le spese della precedente fase di cassazione, con pronuncia che considera contraria alla corretta applicazione del principio di soccombenza.
Il motivo è infondato.
Le spese del giudizio si imputano tenendo conto del suo esito complessivo, con il limite dell’impossibilità di condanna al pagamento anche di una sola porzione di esse a carico della parte totalmente vittoriosa nel merito: non viola pertanto il disposto degli art.91-92 c.p.c. la condanna al pagamento delle spese processuali
della fase del giudizio di cassazione, posta a carico della parte vittoriosa all’esito di quella fase ma soccombente all’esito del giudizio di rinvio -cfr., in proposito, Cass. n.32906/2022, secondo la quale ‘ In tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte ‘; cfr. Cass. n. 9448/2023-.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha applicato la regola della soccombenza rapportata all’esito globale della lite e nessun vittorioso è stato condannato, quindi il vizio denunziato non ricorre. In conclusione, il ricorso va respinto con inevitabile aggravio di spese per la parte soccombente
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi € 1.500, 00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio della