Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29034 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29034 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
NOME COGNOME, sostenendo di aver subito un demansionamento da parte della RAGIONE_SOCIALE presso la quale era impiegata, ha adito il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, chiedendo il risarcimento del danno per il mancato impiego in mansioni confacenti alle capacità lavorative acquisite.
Il giudice di prime cure ha accolto il ricorso, condannando l’Amministrazione al risarcimento del danno per il demansionamento subito da giugno 2007 a maggio 2016, pari al 30% della retribuzione globale di fatto, senza però quantificarne il preciso ammontare.
La dipendente si è quindi nuovamente rivolta al medesimo Tribunale, chiedendo la determinazione della somma spettante a tale titolo, da lei quantificata in € 61.690,31.
Con sentenza n. 369/2023, il Tribunale ha accolto parzialmente la domanda, liquidando il risarcimento nella minor somma di € 7 .037,67 indicata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nella sua memoria di costituzione.
La Corte di appello di Napoli ha accolto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso tale sentenza ed ha condannato la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 61.690,31 a titolo di risarcimento del danno in favore della medesima
Diversamente da quanto affermato dal Tribunale (secondo cui la COGNOME aveva lavorato come stagionale nei soli mesi indicati dalla comunità RAGIONE_SOCIALE e solo dal 2007 al 2010), ha ritenuto che il rapporto di lavoro si fosse svolto a tempo indeterminato per l’intero periodo 2007 al 2016, e che ad esso andasse rapportato il risarcimento; ha considerato corretta la quantificazione proposta dalla lavoratrice sulla base del criterio indicato dal Tribunale con la sentenza n. 1387/2016 ed ha contestualmente condannato la PRAGIONE_SOCIALEA. al risarcimento ex art. 96, comma 1, cod. proc. civ.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
A seguito di formulazione della proposta di definizione ai sensi dell’art. 380-bis, primo comma, cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE ha presentato istanza di decisione ai sensi dell’art. 380 -bis , secondo comma, cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso denuncia omesso e/o contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
La Corte territoriale avrebbe omesso esaminare le eccezioni della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di verificare in concreto il contenuto delle buste paga ed avrebbe erroneamente recepito la quantificazione del danno effettuata dalla lavoratrice.
La dipendente si sarebbe infatti limitata ad applicare la percentuale del 30% indicata nella prima sentenza sul totale della retribuzione corrisposta, senza considerare che da essa andavano esclusi alcuni emolumenti non contabilizzati a fini retributivi ( i c.d. ‘emolumenti sociali’ ).
Non vi sarebbe inoltre coincidenza tra gli emolumenti lordi corrisposti e quelli riportati nelle buste paga mensili per quanto attiene al periodo in cui la COGNOME aveva svolto il servizio antincendio boschivo, e non si sarebbe compreso quali di essi erano stati presi in esame dalla Corte territoriale.
Assume la ricorrente che una più prudente ed attenta valutazione della controversia avrebbe comportato l’espletamento di una CTU contabile, richiesta da entrambe le parti in causa in primo grado con i rispettivi atti ed addirittura reiterata dalla stessa appellante con il gravame.
2. La censura è inammissibile.
L’omesso esame di eccezioni, richieste istruttorie o documenti non rientra nel paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico naturalistico, la cui esistenza risulti dagli atti
processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, avente carattere decisivo (Cass. n. 13024/2022 e Cass. n. 14082/2017).
Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla condanna ex art. 96 cod. proc. civ.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente qualificato come colpa grave la condotta difensiva della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che si era limitata ad allegare un documento ufficiale da cui risultava che la COGNOME aveva svolto attività lavorativa di carattere stagionale ed aveva percepito i relativi emolumenti.
La censura è inammissibile, in quanto non coglie il decisum .
La sentenza impugnata non ha infatti ritenuto la colpa grave della RAGIONE_SOCIALE per il solo fatto che la medesima ha depositato l’attestazione degli emolumenti corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE per il servizio antincendio boschivo per gli anni dal 2007 al 2010, ma ha rilevato che la RAGIONE_SOCIALE ha utilizzato tale documentazione parziale per sostenere una falsa ricostruzione del rapporto, di cui non poteva ignorare la tipologia, nella sua qualità di datore di lavoro.
Ha infatti evidenziato che il servizio antincendio boschivo svolto dalla RAGIONE_SOCIALE nel periodo estivo si affiancava all’attività ordinaria svolta dalla lavoratrice, assunta a tempo indeterminato dal 3.3.2003 ed inquadrata nel livello V Spec. Super OTI, come risultava dalle buste paga, dall’estratto contributivo e dal certificato di servizio del 2008.
Questa Corte ha peraltro chiarito che l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, ovvero del difetto della normale prudenza, implica un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 327/2010; Cass. n. 19298/2016; Cass. n. 5250 del 2018; Cass. n. 5558/2022 e Cass. n. 13315/2025).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Considerato che il giudizio viene definito in conformità alla proposta, ai sensi dell’art. 380 bis , ultimo comma, cod. proc. civ., ed in continuità con quanto già affermato dalle Sezioni Unite con le recenti decisioni n. 27433/2023 e n. 27195/2023, trovano applicazione il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 cod. proc. civ.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge , da distrarsi in favore dell’AVV_NOTAIO;
condanna l’ente ricorrente al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della controparte ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. e lo condanna altresì al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME