Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34470 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34470 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5636/2023 R.G. proposto da : COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in GROSSETO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1738/2022 depositata il 12/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME davanti al Tribunale di Grosseto, domandando l’accertamento del loro diritto di proprietà esclusiva sulla terrazza posta a copertura del primo piano del fabbricato comune.
Nella resistenza dei convenuti, il giudice adito dichiarava l’intervenuto acquisto, per usucapione, in favore degli attori, della terrazza posta a copertura dell’immobile censito al catasto del Comune di Roccastrada al foglio 128, particella 56/4, ma la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n.650 del 9 aprile 2015, in totale riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
A seguito del ricorso di costoro, questa Suprema Corte, con ordinanza n. 24435 del 17 ottobre 2017, accoglieva il primo motivo di ricorso, rigettando il secondo e rinviando il processo alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.
In particolare, la Corte di legittimità ricordava il principio secondo cui i diritti reali si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non in base al titolo che ne costituisce la fonte, onde l’allegazione nel corso del giudizio di rivendicazione, sia in primo grado che in appello, di un titolo diverso rispetto a quello posto originariamente a fondamento della domanda rappresenta soltanto una integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione che non è
configurabile come domanda nuova, né come rinunzia alla valutazione del diverso titolo in precedenza dedotto. Affermava altresì che erroneamente i giudici di secondo grado avevano ritenuto necessaria l’impugnazione in via incidentale da parte degli appellati in ordine al “rigetto” della domanda di acquisto della proprietà del terrazzo a titolo derivativo . Infatti, ‘ avendo gli appellati vittoriosi riproposto in appello la loro deduzione di essere proprietari della terrazza di copertura anche in forza di titolo derivativo (mortis causa dall’originario unico proprietario, che se ne era riservata la proprietà), la Corte territoriale avrebbe dovuto, una volta escluso l’acquisto a titolo di usucapione (riconosciuto invece dal Tribunale), valutare l’allegazione del titolo diverso, senza richiedere, sul punto, la proposizione di appello incidentale da parte degli appellati ‘.
Con sentenza n. 1738 del 12 agosto 2022 l a Corte d’ appello di Firenze, quale giudice di rinvio, rigettava la domanda del COGNOME e della COGNOME. Osservava all’uopo che , pur essendo l’onere probatorio attenuato – trattandosi di azione di accertamento della proprietà -una volta motivatamente esclusa la rilevanza dei dati catastali, sulla base delle conclusioni del CTU officiato, era mancata da parte degli attori perfino l’indicazione dell’atto che avrebbe disposto il trasferimento della terrazza in loro favore. La Corte di rinvio ha poi condannato i soccombenti attori al pagamento delle spese dei vari gradi di giudizio.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi.
Hanno depositato tempestivo controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
A seguito della proposta ex art. 380 bis c.p.c., i ricorrenti, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione della causa, che è stata portata alla discussione della camera di consiglio, nel corso dell’odierna udienza.
I ricorrenti hanno depositato memoria nei termini di legge.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il g iudizio ai sensi dell’art. 380 -bis. c.p.c., atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sezioni Unite sentenza n. 9611 del 10 aprile 2024). Il cons. COGNOME autore della proposta ex art. 380 bis cpc, può quindi far parte del Collegio giudicante.
Parimenti, non sussiste alcuna incompatibilità del Presidente dr. NOMECOGNOME già componente del Collegio che aveva annullato la precedente sentenza della Corte d’appello di Firenze.
Infatti, il collegio che giudichi del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (Sez. 3, n. 1542 del 25 gennaio 2021; Sez. 3, n. 14655 del 18 luglio 2016).
Con la prima doglianza, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 191, 195, 196, 394 c.p.c. e art. 2712 c.c., nonché alla nullità della C.T.U. ed all’ erronea declaratoria di inammissibilità della documentazione prodotta da parte appellante in allegato alla seconda comparsa conclusionale.
Per un verso, il C.T.U. non solo avrebbe omesso di depositare l’elaborato nel rispetto dei termini di cui all’art. 195 c.p.c., ma avrebbe, altresì, omesso di trasmettere la bozza e di comunicare, al consulente di parte, le date di prosecuzione delle operazioni peritali. Per altro verso, si sarebbero verificati i
presupposti richiesti dalla giurisprudenza per ottenere – nel giudizio di rinvio -la possibilità di introdurre nuovi documenti.
Il motivo è infondato.
Sotto il primo profilo, la nullità della consulenza tecnica d’ufficio – ivi compresa quella dovuta all’eventuale ampliamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – è soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., avendo carattere di nullità relativa, e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata (Sez. 3, n. 15747 del 15 giugno 2018; Sez. U., n. 3086 del 1° febbraio 2022; Sez. 3, n. 2251 del 31 gennaio 2013).
Nella specie, i ricorrenti non hanno dimostrato di aver tempestivamente eccepito i vizi della consulenza tecnica dedotti dinanzi a questa Corte (omessa trasmissione della bozza dell’elaborato, omessa comunicazione ai CTP delle date di rinvio delle operazioni peritali, tardività del deposito della versione conclusiva della consulenza), sicché le invocate anomalie processuali della C.T.U. debbono comunque reputarsi sanate.
Né può ritenersi sufficiente ad integrare l’eccezione di nullità della CTU l’aver rilevato il ‘ fatuo, volutamente errato ed infruttuoso contenuto della CTU ‘ (cfr. ricorso pagg. 9 e 14), perché, come è evidente, l’ eccezione di nullità deve essere corroborata in maniera puntuale ed argomentata e quindi deve contenere il riferimento alle violazioni commesse in sede di operazioni peritali).
Sotto il secondo profilo, la sentenza impugnata ha affermato : ‘ Deve essere dichiarata l’inammissibilità della documentazione (scheda di accertamento n. 20148949 del 23/10/1939; scheda di accertamento e classamento del 21/10/1952) prodotta da parte attrice in allegato alla propria comparsa conclusionale, stante la sua palese tardività. Invero, a prescindere dal fatto che tale scritto difensivo non può essere utilizzato per introdurre nel processo nuovi documenti (avendo soltanto la funzione di illustrare le conclusioni già presentate, cfr. ex plurimis Cassazione Civile, sentenza del 29.7.2002, n. 11175), giova considerare come tale produzione si ponga in contrasto anche con il carattere
‘chiuso’ del presente giudizio di rinvio , in cui le parti sono obbligate a riproporre la controversia negli stessi termini e nello stesso stato d’istruzione anteriore alla sentenza cassata, senza possibilità di dedurre prove ed eccezioni nuove ‘ .
La Corte d’appello ha dunque utilizzato una doppia ratio decidendi , giacché ha posto in luce sia la tardività della produzione (allegata alla comparsa conclusionale), sia l’inammissibilità della stessa nell’ambito del giudizio di rinvio.
I ricorrenti hanno censurato solo la seconda ratio . Orbene, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse ” rationes decidendi “, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ” ratio decidendi ” non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (Sez. 3, n. 13880 del 6 luglio 2020).
Attraverso la seconda censura, il COGNOME e la COGNOME allegano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 61, 62, 115, 116 c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe errato sia nell’affermare che dalla ‘disamina proprio delle risultanze catastali, è da escludere che le stesse depongano a favore della proprietà esclusiva degli attori’ , sia nel considerare che sarebbero stati gli stessi convenuti ad ammettere pacificamente il diritto di proprietà degli appellanti sulla terrazza, negando solo la esclusività di tale diritto.
Conseguentemente, una volta pacifico che NOME COGNOME era proprietario del terreno nonché costruttore del locale e relativa terrazza di copertura, la fattispecie avrebbe dovuto essere inquadrata nell’ambito dell’accessione, ex art. 934 cod. civ.
Il motivo è infondato.
Il dato oggettivo processuale posto in luce dalla Corte d’appello ed emerso in esito all’esame, a partire dal 1952, degli atti cronologicamente succedutisi, è che l’odierna parte ricorrente non è stata in grado ‘ di indicare sulla base di quale disposizione pattizia il bene per cui è causa sarebbe pervenuto nella sua sfera dominicale ‘ (pag. 9). Con tale argomento evitano di confrontarsi i ricorrenti,
sicché la censura si risolve in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte del giudice di appello.
Invero, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020). Tali principi non sono stati osservati dai ricorrenti.
Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, la denuncia di un error in iudicando , per violazione di norme di diritto sostanziale, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimità di effettuare, una verifica in ordine alla correttezza giuridica della decisione ed alla sufficienza e logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata (Sez. 1, n. 24856 del 22 novembre 2006) . E’ dunque escluso un accesso diretto agli atti da parte di questa Suprema Corte.
E’ allora opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice
di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
In punto di diritto, occorre aggiungere che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
Con il terzo mezzo di impugnazione, infine, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 394, 112 c.p.c., art. 75 disp. att. c.p.c.., per erronea liquidazione delle spese processuali.
Il giudice del rinvio avrebbe condannato il COGNOME e la COGNOME alle spese anche del giudizio di cassazione, laddove le controparti avevano richiesto, per esso, la compensazione, ed avrebbe altresì quantificato la condanna nei precedenti gradi di merito, in misura superiore a quanto domandato ex adverso . Tale errore concreterebbe il vizio di ultra-petizione (ex art. 112 c.p.c.), in quanto la sentenza impugnata, nel liquidare le spese, non avrebbe appunto tenuto conto delle stesse richieste avversarie.
Il motivo, a differenza degli altri, è fondato.
Risulta da quanto testualmente riportato in ricorso a pag. 23 -nel pieno rispetto del principio di autosufficienza -che, con la comparsa di costituzione e risposta,
depositata nel giudizio di rinvio, gli odierni controricorrenti avevano domandato la compensazione delle spese di lite per il giudizio di cassazione e la conferma di quanto liquidato in prime cure (€ 1.500,00 oltre accessori) ed in appello (€ 3.200 oltre accessori), limitando dunque la domanda rispetto ai suddetti giudizi.
Così precisate le richieste in ordine alla liquidazione delle spese, la Corte territoriale ha attribuito somme ben maggiori e quindi è incorsa nel denunziato vizio di ultrapetizione.
Non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la sentenza va pertanto cassata senza rinvio in relazione al motivo accolto e la causa va decisa nel merito ex art. 384 comma 2 cpc.
Pertanto, le spese del giudizio di primo e secondo grado di merito vanno liquidate nella misura precisata nella comparsa di costituzione in riassunzione (rispettivamente, €. 1.500,00 oltre accessori ed €. 3.200,00 oltre accessori), mentre quelle del precedente giudizio di legittimità vanno compensate.
L’esito del giudizio comporta la compensazione delle spese del giudizio di rinvio e del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta i restanti; cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, pronunziando nel merito, in parziale riforma della sentenza impugnata, liquida per il primo grado di giudizio l’importo di € 1.500 ,00 (mille/500) oltre accessori, per il secondo grado l’importo di € 3.200 ,00 oltre accessori e compensa fra le parti le spese del precedente giudizio di cassazione; compensa altresì le spese del giudizio di rinvio e del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2024.