Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7342 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 7342 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9587/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME e COGNOME già elettivamente domiciliati presso lo studio legale del primo ed ora domiciliati per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di entrambi;
-controricorrenti- nonché contro
per rinuncia di due riunite opposizioni (ex 617 e 619 c.p.c. a pignoramento ex 2929 bis c.c.) – Impugnazione della statuizione sulle spese processuali.
Ad. pu. 12 marzo 2025
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata della quale è domiciliato per legge;
-controricorrente-
avverso l’ORDINANZA del TRIBUNALE di REGGIO EMILIA n. 1552/2021 depositata il 27/10/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere COGNOME
udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale nella persona del Sostituto NOME COGNOME che, richiamate le conclusioni scritte, ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo;
uditi l’Avvocato NOME COGNOME quale Difensore della società ricorrente, e l’Avvocato NOME COGNOME quale Difensore del resistente Camponovo, i quali hanno concluso insistendo nell’accoglimento delle rispettive richieste.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Reggio Emilia – pronunciandosi nella causa civile iscritta al n. r.g. 1552/2021 (cui era riunita la causa civile iscritta al n. r.g. 2687/2021), promossa da Intesa Sanpaolo s.p.a. nei confronti di NOME COGNOME e della di lui madre NOME COGNOME nonché nei confronti di NOME COGNOME a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 25/10/2022, il successivo 27 ottobre ha emesso ordinanza con la quale ha dichiarato l’estinzione dei processi riuniti (sul presupposto che Intesa Sanpaolo, parte opponente, aveva rinunciato agli atti e la rinuncia era stata accettata dai convenuti opposti) e, dato atto che tra le parti non vi era accordo in ordine alla regolamentazione delle spese processuali, dando applicazione all’art. 306 ultimo comma c.p.c., ha condannato Intesa Sanpaolo, parte opponente, alla rifusione delle spese di lite, quantificandole in euro 72 mila, oltre accessori per ciascuna delle due parti convenute.
Avverso la suddetta ordinanza Intesa Sanpaolo ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 111 comma 7 Cost., articolando due motivi.
Hanno resistito con distinti controricorsi il COGNOME e la COGNOME, nonché il COGNOME, che hanno preliminarmente eccepito la inammissibilità del ricorso, non avendo il provvedimento impugnato (che si limita a disporre sulle sole spese legali) contenuto decisorio.
Per l’udienza pubblica del 19 dicembre 2014 il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo.
La trattazione del ricorso è stata rinviata d’ufficio all’odierna udienza pubblica, per la quale il Procuratore Generale ha depositato nota con la quale si è riportato alle già rassegnate conclusioni.
I Difensori delle parti hanno depositato memorie insistendo nell’accoglimento delle rispettive conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’eccezione di inammissibilità, sollevata da entrambe le parti resistenti non è fondata.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare di recente (Cass. n. 32771/2021) che: <>. In particolare, in quell’occasione il ricorso è stato reputato
l’unico mezzo di impugnazione esperibile in un caso in cui questa avesse ad oggetto – proprio come nella specie – esclusivamente la liquidazione, non anche l’imputazione di esse ad una delle parti ovvero la loro mancata compensazione.
Occorre qui ribadire che la pronuncia ex art. 306, quarto comma, seconda parte, c.p.c., che quantifica l’importo delle spese di lite a carico del rinunciante agli atti del giudizio, è una pronuncia autonoma e, in quanto tale, ha un proprio, autonomo, regime di impugnazione, che, per previsione di legge, non è l’appello, ma è il ricorso straordinario per cassazione.
Nella specie, il tribunale, con il provvedimento impugnato, ha provveduto alla liquidazione delle spese a carico della parte rinunziante, ai sensi dell’art. 306, comma 4, c.p.c., in mancanza di diverso accordo delle parti stesse, ed il presente ricorso ha ad oggetto esclusivamente la suddetta liquidazione, non l’imputazione di esse ad una delle parti ovvero la loro mancata compensazione.
D’altronde, in via dirimente può osservarsi che l’ordinanza impugnata conclude comunque, quand’anche sulle spese, un giudizio che va definito quale parentesi cognitiva dell’espropriazione immobiliare, disciplinata dagli artt. 512 e 617 c.p.c.: sicché unico mezzo di impugnazione possibile del provvedimento che lo ha definito è, pur sempre e come per ogni opposizione agli atti esecutivi, appunto il ricorso per cassazione.
In definitiva, il mezzo di impugnazione è stato correttamente individuato dall’istituto ricorrente.
Nella ordinanza impugnata il Tribunale di Reggio Emilia ha condannato Intesa Sanpaolo alla rifusione delle spese processuali in favore delle controparti, liquidandole nella misura sopra indicata, sulla base della seguente motivazione:
<>
Intesa Sanpaolo articola in ricorso due motivi.
3.1. Con il primo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., <>.
Sottolinea che l’ordinanza impugnata non fornisce le ragioni della decisione oggettivamente comprensibili in merito: a) alla valutazione effettuata in relazione all’attività effettivamente svolta nei due giudizi riuniti ante riunione (che il Tribunale di Reggio Emilia non menziona neppure); b) alla valutazione effettuata ‘delle attività effettivamente svolte a seguito della riunione’ (che pure il Tribunale di Reggio Emilia non indica); c) allo scaglione applicato per il calcolo dei compensi liquidati post riunione dei giudizi; d) alla mancata indicazione della
misura dei compensi applicati tra i minimi e massimi tariffari dei due scaglioni individuati e del terzo che avrebbe dovuto individuare.
3.2. Con il secondo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. <> e, precisamente, nella parte in cui il Tribunale, per l’attività svolta nel giudizio di Opposizione di Terzo, ha applicato lo scaglione tariffario ‘oltre € 8.000.000,00’ (senza peraltro indicare per quale ragione ha applicato tale scaglione), mentre, tenuto conto del combinato disposto di cui agli artt. 619, 15 e 17 c.p.c, avrebbe dovuto essere determinato pari ad euro 731.758,00>>.
Osserva che – poiché la dichiarazione di valore della causa ad opera della parte ha rilievo solo ai fini fiscali (non anche ai fini della liquidazione delle spese di lite) – il valore, da Intesa Sanpaolo dichiarato nell’atto introduttivo dell’opposizione di terzo, non rilevava nel giudizio di liquidazione delle spese di lite, con la conseguenza che <>.
Sostiene che il Tribunale di Reggio Emilia avrebbe dovuto liquidare le spese di lite dei giudizi riuniti ante e post riunione, a carico di Intesa Sanpaolo: (i) assegnando il corretto valore all’opposizione di terzo ai sensi degli artt. 15 e 17 c.p.c. e collocandolo nello scaglione da € 520.000,01 a € 1.000.000,00 previsto all’allegato 1, tabella 2, D.M. 10 marzo 2014, n. 55; (ii) applicando i parametri minimi di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 applicati dal Tribunale di Reggio Emilia (a quanto è dato comprendere), (iii) applicando ai giudizi riuniti post
riunione lo scaglione più elevato, dato dallo scaglione dell’opposizione di terzo da € 520.000,01 a € 1.000.000,00.
In definitiva, secondo parte ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto liquidare compensi non superiori ad € 16.051,00, in ciascuno dei rapporti processuale tra ISP e i signori NOME COGNOME e NOME COGNOME e tra ISP e il signor NOME COGNOME.
Il ricorso – che, invero, somministra a questa Corte gli elementi minimi indispensabili per la risoluzione delle questioni ad essa sottoposte – è fondato.
4.1. Parzialmente fondato è il primo motivo.
In primo luogo, va ribadito il principio di diritto (affermato, tra le altre, da Cass. n. 27295/2022, n. 15860/2014 e n. 15954/2006) per cui il provvedimento discrezionale di riunione di più cause – e la conseguente, congiunta trattazione delle stesse – lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni, di modo che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise, mentre la liquidazione delle spese giudiziali va operata in relazione a ciascun giudizio, atteso che solo in riferimento alle singole domande è possibile accertare la soccombenza, non potendo essere coinvolti in quest’ultima soggetti che non sono parti in causa.
In conformità a detto principio, il Tribunale ha correttamente affermato che, in caso di riunione di più cause, la liquidazione dei compensi per l’attività svolta, prima della riunione, deve essere separatamente liquidata per ciascuna causa in relazione all’attività prestata in ciascuna di esse.
Ciò posto, vero è che, secondo l’indirizzo costante di questa Corte (cfr. tra le tante Cass. n. 89/2021, n. 2386/2017, n. 26608/2017, n. 29606/2017), in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d. m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo
un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili (o, tra quelli, almeno il secondo) con apposita motivazione, la quale è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi, affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo. Pertanto, l’obbligo di motivazione sussiste esclusivamente in caso di superamento dei valori minimi e/o dei valori massimi della tariffa, ma non in caso di liquidazione di importi che comunque si mantengono al di sotto dei limiti massimi e al di sopra di quelli minimi.
Senonché, in conformità al generale principio dell’obbligo di motivazione, da ogni provvedimento deve potersi evincere il percorso argomentativo sulla base del quale il giudice ha formato il proprio convincimento; non essendo consentito lasciare all’interprete di integrare ex post la motivazione con ipotesi o congetture soggettive.
Orbene, nel caso di specie nel provvedimento impugnato non vi è alcuna indicazione delle voci di compenso liquidate in ciascuna delle cause riunite, come pure non è indicato lo specifico criterio in base al quale la liquidazione è avvenuta per la fase successiva alla riunione. In particolare, non sono chiaramente indicati lo scaglione applicato e l’attività professionale svolta dopo la riunione da ciascuna delle parti delle cause originarie, circostanza questa che non dà contezza che nella specie siano stati rispettati i minimi o i massimi tariffari dello scaglione corretto (e, quindi, fosse o no necessaria la motivazione specifica ulteriore richiesta in caso di superamento di detti limiti).
Per tale ragione, l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di merito perché colmi il suddetto deficit motivazionale. In particolare, il giudice di rinvio dovrà procedere a nuova liquidazione delle spese, indicando: a) l’attività processuale rispettivamente ed effettivamente svolta dalle parti vittoriose nelle fasi dei due giudizi ante riunione; b) l’attività processuale rispettivamente ed effettivamente
svolta dalle parti vittoriose nelle fasi dei due giudizi occorse post riunione; c) lo scaglione applicato all’attività svolta nei giudizi riuniti post riunione; d) la misura dei compensi applicata, tra i minimi e i massimi tariffari, per ciascuno dei due giudizi ante riunione e del giudizio post riunione.
4.2. Fondato è anche il secondo motivo, che involge censure relative alla sola opposizione ex art. 619 c.p.c. (cioè, ad una sola delle due cause riunite).
In primo luogo, va ribadito il principio (affermato da Cass. n. 18732/2015) per cui l’indicazione del valore della causa, riportata in calce all’atto introduttivo del giudizio per la determinazione del contributo unificato dovuto per legge, ha finalità esclusivamente fiscale. La dichiarazione di valore della controversia ad opera dell’attore, quindi, non soltanto non obbliga il giudice di merito di applicare lo scaglione determinato dal valore dichiarato, ma neppure lo esonera dal dovere di accertare il valore stesso al fine di determinare l’importo delle spese di lite da porre a carico delle parti, in generale, e del rinunciante ai sensi dell’art. 306, quarto comma, seconda parte, c.p.c. Pertanto, non rileva a tali fini che la stessa società ricorrente abbia indicato il valore di causa (per il quale ha anche dichiarato di pagare il relativo contributo unificato) in oltre 32 milioni di euro.
Ciò posto, occorre richiamare l’art. 17 c.p.c., in base al quale, nelle opposizioni all’esecuzione proposte ai sensi dell’art. 619 c.p.c. da terzi che pretendono avere la proprietà o altro diritto reale sulla res pignorata, il valore della lite si determina <>.
Come di recente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 3846/2023, che richiama Cass. n. 1340/2000, n. 68/1994, n. 5123/1979 e n. 715/1963), in considerazione del thema decidendum delle controversie ex art. 619 c.p.c. (legittima assoggettabilità ad espropriazione dei beni pignorati), l’espressione <> va intesa riferita (non al credito per cui si procede, criterio che regola, in virtù del medesimo art. 17 c.p.c., il valore delle cause di opposizione all’esecuzione, ma) all’equivalente monetario del diritto aggredito in via esecutiva.
Come è noto, tale principio è del tutto differente da quello enunciato in tema di opposizione agli atti esecutivi.
Al riguardo, sempre di recente, questa Corte ha precisato (Cass. n. 35878/2022 in fattispecie nella quale è stata confermata la sentenza di merito che aveva individuato lo scaglione di valore rilevante, ai fini della liquidazione delle spese, in relazione al prezzo di aggiudicazione del bene pignorato, sul presupposto che l’opposizione ex art. 617 c.p.c. fosse volta alla caducazione della vendita; cfr. altresì Cass. n. 38370/2021) che: <>
Dando applicazione dei suddetti principi al caso di specie, il giudice di merito avrebbe dovuto parametrare i compensi professionali dovuti alla parte virtualmente vittoriosa nell’opposizione di terzo in base allo scaglione tariffario pertinente al valore dell’immobile pignorato. Questo andrà desunto, a seconda delle peculiarità del caso, dagli elementi che le parti vorranno sottoporre al giudice del rinvio, non
potendo, qui e ora, questa Corte valutare quale di quelli sia il più pertinente alla fattispecie in esame. Non può, quindi, qui stabilirsi se a tal fine sia necessario riferirsi al prezzo di cessione dei c.d. RAGIONE_SOCIALE Botti (pari ad € 1.000.000,00: doc. 39 Opposizione agli Atti Esecutivi ISP e pag. 2, riga 21, doc. 25.F.ISP), oppure al valore di offerta minima all’asta stabilito dal perito (di € 810.000,00; pag. 4, doc. 24.F.ISP), oppure al valore base d’asta immobiliare stimato degli stessi immobili (di € 1.080.000,00, pagg. 4 e 51, doc. 24.F.ISP), oppure ancora, in assenza di significativi elementi probatori, al criterio di cui all’art. 15, primo comma c.p.c. (in base al quale il <>).
Per le ragioni che precedono, l’ordinanza impugnata deve essere cassata: con rinvio al Tribunale di Reggio Emilia, nella persona di diverso magistrato, perché, tenuto conto dei principi sopra richiamati, proceda a nuova regolamentazione delle spese processuali nelle cause riunite. Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte:
accoglie il ricorso; e, per l’effetto:
cassa l’ordinanza impugnata in relazione alle censure accolte e
rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Reggio Emilia, in persona di diverso magistrato;
Così deciso in Roma, in data 12 marzo 2025, nella camera di