Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1517 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1517 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
SENTENZA
sul ricorso 35212 – 2018 proposto da:
NOMECOGNOMENOME COGNOME , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso giusta procura allegata al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’area legale territoriale centro, rappresentata e difesa da ll’ avv.
NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 11099/2018 del Tribunale di Roma, pubblicata il 1/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/06/2023 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso ; lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 29/9/2016, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Roma, Poste Italiane s.p.a., chiedendone la condanna al rimborso della somma di Euro 176,75, pagata per l’imposta di registro nella procedura esecutiva esperita nei confronti della convenuta.
Con sentenza 11604/2017, il Giudice di Pace condannò la Poste Italiane s.p.a. al pagamento della somma richiesta e al rimborso delle spese che liquidò in Euro 100,00.
COGNOME propose appello soltanto avverso la statuizione sul le spese, lamentando la non adeguatezza della liquidazione dei compensi.
In accoglimento dell’eccezione della Poste Italiane, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 11099/2018, pubblicata in data 1/6/21018, dichiarò l’appello inammissibile ex art. 339 cod. proc. civ. II e III comma, perché le norme sulle tariffe non sono «norme sul procedimento» e «il potere di liquidare equitativamente anche le spese è coerente con il potere di decidere secondo equità il merito della controversia».
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a tre motivi. Poste Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, rubricato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., intestato come difetto di motivazione per motivazione apparente e sintetizzato quale vizio di omesso esame di fatto decisivo, NOME COGNOME ha lamentato che la sentenza non avrebbe dato «alcun conto del motivo per cui la sentenza impugnata rientrerebbe nella categoria delle pronunce inimpugnabili»: in particolare, nel primo capoverso della motivazione della sentenza sarebbe riportato «un principio inesistente nel diritto vivente» e nel secondo capoverso sarebbe stata unicamente trascritto l’art . 339 comma III cod. proc. civ. «senza dare alcun conto» del motivo per cui la sentenza del Giudice di pace non fosse appellabile.
1.1. Il motivo è infondato. Per principio consolidato, la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (tra le tante, Cass. Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020; Sez. 6 – 5, n. 19956 del 10/08/2017; Sez. 5, n. 871 del 15/01/2009): nella specie, invece, una motivazione sulla non appellabilità della sentenza è stata resa laddove il Tribunale ha rimarcato che le norme con cui sono fissati gli onorari e i diritti di avvocato e procuratore «non sono includibili tra le norme processuali», che, in conseguenza, la censura formulata avverso la sentenza pronunciata secondo equità non
era ricompresa nell’ipotesi prevista dall’art. 339 comma III cod. proc. civ. e che, pertanto, la pronuncia non era impugnabile con l’appello .
D’altro canto, riprova della sussistenza di una motivazione è nella formulazione del secondo motivo con cui il ricorrente ha prospettato una violazione di legge, vizio evidentemente non configurabile laddove manchi del tutto un ragionamento decisorio.
Infine, neppure è stato prospettato quale sia il fatto decisivo non esaminato, come invece enunciato nella sintesi della censura.
Con il secondo motivo di ricorso, articolato in due profili, COGNOME ha sostenuto, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ. , la violazione dell’art. 113 comma II cod. proc. civ. e dell’art. 339 comma III cod. proc. civ., perché il Tribunale avrebbe erroneamente escluso tra i principi regolatori della materia la disciplina delle spese processuali, senza considerare che l’art. 113 cod. proc. civ. implica proprio che anche nel giudizio di equità il Giudice di pace sia tenuto, nella liquidazione delle spese, a rispettare l’interpretazione resa dalla Corte Cost., nella sentenza n. 206/2004, del testo previgente dell’art. 113 cod. proc. civ.; sarebbero stati violati i minimi tariffari e il richiamo a Cass. 13219/2010 sarebbe inconferente perché relativo alla ricorribilità per cassazione, secondo la formulazione dell’art. dell’art.339 III comma cod. proc. civ. precedente a quella introdotta dall’art. 1 d.lgs. n. 40 del 2/2/2006.
2.1 Il motivo è infondato.
Il Giudice di pace ha deciso su una domanda il cui valore, ex art. 14 cod. proc. civ., era di Euro 176,00; in conseguenza, la sua sentenza è stata resa in applicazione del secondo comma dell’art. 113 cod. proc. civ. ed perciò è stata pronunciata secondo equità: per interpretazione consolidata di questa Corte, infatti, le sentenze del Giudice di pace rese in controversie di valore non superiore a millecento euro sono da considerare sempre pronunciate secondo equità per testuale
disposizione normativa, anche se il giudicante abbia applicato una norma di legge ritenuta corrispondente all’equità, ovvero abbia espressamente menzionato norme di diritto senza alcun riferimento all’equità, dovendosi, in tale ultima ipotesi, presumere implicita la corrispondenza, sic et simpliciter , della norma giuridica applicata alla regola di equità (così, da ultimo, Sez. 2, n. 769 del 19/01/2021).
La Corte cost., con sentenza 6 luglio 2004, n. 206 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma secondo dell’art. 113 cod. proc. civ. «nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia»; ha, tuttavia, pure escluso che risulti irragionevole questa scelta legislativa di riservare il giudizio di equità -nei termini costituzionalmente corretti suindicati -alle sole controversie cosiddette bagatellari ; l’esclusione da siffatto giudizio delle controversie, pur rientranti nei medesimi limiti di valore, attribuite ratione materiae ad altro giudice, è stato invece ritenuto mero riflesso della disciplina della competenza, caratterizzata da ampia discrezionalità legislativa.
Ciò posto, secondo l’art. 339 III comma cod. proc. civ., la sentenza del giudice di pace, pronunciata a norma del citato art. 113, comma secondo, cod. proc. civ., è appellabile esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.
Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha escluso l’appellabilità della sentenza del Giudice di pace proprio perché le norme tariffarie hanno natura sostanziale e non costituiscono «norme sul procedimento» né «principi regolatori della materia» ed ha quindi aggiunto, citando la sentenza della Sez. 3 di questa Corte n. 13219 del 31/05/2010, che «sarebbe incongruo ritenere che il giudice di pace debba decidere secondo equità la controversia giudiziale e non possa,
poi, regolarsi secondo equità anche nella quantificazione delle spese processuali relative allo stesso processo.»
Invero, quanto all’appellabilità della statuizione sulle spese sotto il profilo del quantum delle spese che devono essere liquidate in favore della parte vincitrice ed a carico di quella soccombente, per interpretazione consolidata di questa Corte, le deliberazioni del Consiglio nazionale forense che stabiliscono i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali) sono norme di carattere sostanziale e non processuale (Sez. 3, Sentenza n. 10965 del 11/05/2006; Sez. 3, Sentenza n. 13219 del 31/05/2010).
Questo principio è stato recentemente ribadito come regola consolidata, fondante l’evidenza decisoria , anche n ell’ordinanza n. 1108 del 14/01/2022, resa dalla Sez. 6-2 di questa Corte, richiamata dal Pubblico ministero nelle sue conclusioni.
A ciò si aggiunga , quanto all’utilizzo dell’equità nella liquidazione delle spese, che, in disparte la considerazione espressa sul punto nella motivazione della sentenza impugnata in riferimento alla pronuncia della Sezione terza di questa Corte n. 13219 del 2010, il comma IV dell’art. 91 cod. proc. civ. nella formulazione introdotta dall’art. 13 del d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, conv., con modif., in l. 17 febbraio 2012, n. 10, applicabile alla fattispecie ratione temporis , prevede proprio che nelle cause previste dall’articolo 82, primo comma -cioè nelle cause dinanzi al Giudice di pace di valore non eccedente millecento euro – le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possano superare il valore della domanda.
Questo quarto comma dell’art. 91 ha superato il vaglio di costituzionalità della Corte Costituzionale: nella sentenza n.157 del 2014, la Corte ha rimarcato che il legislatore ha esercitato la propria discrezionalità in tema di norme processuali in termini assolutamente
ragionevoli poiché le cause coinvolte sono esclusivamente quelle devolute alla giurisdizione equitativa del giudice di pace; le eventuali difficoltà nel reperimento di un difensore che adegui l’importo del proprio onorario a quello del valore della lite si risolve in un mero inconveniente di fatto; il principio del bilanciamento dei valori di pari rilievo costituzionale rende il diritto di difesa cedevole a fronte del valore del giusto processo. Inoltre, le snelle e semplici cause di competenza del giudice di pace, decidibili secondo equità, non possono essere comparate con le cause devolute alla competenza del Tribunale ordinario».
Può ribadirsi, allora, che l’art. 91 rileva ai fini dell’appellabilità ex 339 III comma cod. proc. civ. soltanto quanto alla ripartizione dell’onere delle spese secondo il principio di soccombenza, ma non in riferimento al quantum .
Deve, infine, evidentemente escludersi che le tariffe professionali che stabiliscono i parametri di liquidazione giudiziale dei compensi rientrino nei «principi regolatori della materia» la cui violazione avrebbe consentito l’appello della pronuncia secondo equità, perché questi ultimi sono invece da intendersi come le linee essenziali della disciplina giuridica soltanto del rapporto dedotto in causa (Cass. Sez. 3, n. 9986 del 24/11/1994).
Queste considerazioni non incidono a priori sulla portata del principio del l’adeguatezza del compenso alla natura dell’opera e al decoro della professione, ma escludono soltanto che la questione del l’operatività o non di questo principio potesse essere esaminata in un doppio grado di merito invece di essere direttamente devoluta, secondo quanto prescritto dall’art. 339 comma terzo cod. proc. civ., alla cognizione di questa Corte con impugnazione di legittimità.
Le stesse considerazioni, d’altro canto, escludono invece sia la necessità di rimettere la questione della non appellabilità del quantum
delle spese alla Sezioni Unite della Corte, non risultando alcun contrasto di giurisprudenza sul punto , sia l’evidenza di un dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 339 comma terzo cod. proc. civ., perché, per costante orientamento del Giudice delle leggi, il doppio grado di giurisdizione di merito non è assistito da copertura costituzionale (cfr., tra le tante, Corte cost. n. 199/2017, con numerosi richiami; Corte cost. n. 243/2014) e può, perciò, essere bilanciato dal legislatore con il principio di pari rango della ragionevole durata del giusto processo.
La sentenza impugnata ha, pertanto, correttamente applicato i principi in materia, dichiarando inammissibile l’appello avverso la pronuncia del Giudice di pace.
Con il terzo motivo, rubricato in riferimento ai n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cpc, il ricorrente ha quindi rappresentato, anche in questa sede, la «erroneità della liquidazione delle spese da parte del Giudice di pace» (così, sinteticamente, nella rubrica), evidenziando l’incongruenza dell’importo liquidato rispetto all’attività difensiva svolta.
Il motivo è inammissibile perché non conferente rispetto alla ratio del provvedimento qui impugnato, atteso che il Tribunale non ha rigettato l’appello e, dunque, non ne ha valutato la fondatezza in merito, ma lo ha dichiarato inammissibile per non essere stato previsto dal legislatore, nella fattispecie esaminata, il doppio grado di merito.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore delle Poste Italiane s.p.a., liquidate in dispositivo in relazione al valore della controversia.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore delle Poste Italiane s.p.a., liquidandole in Euro 330,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda