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Liquidazione spese legali: limiti inderogabili

Una società di ingegneria ha agito in arbitrato contro un’Amministrazione pubblica per inadempimenti contrattuali. L’Amministrazione ha contestato la competenza arbitrale ma ha poi partecipato a trattative, portando gli arbitri a ritenerla rinunciata. La Corte di Cassazione, investita della questione, ha respinto il ricorso dell’Amministrazione ma ha accolto quello della società, cassando la sentenza d’appello per errata liquidazione spese legali. La Corte ha stabilito che i minimi tariffari previsti dal D.M. 37/2018 sono inderogabili e il giudice non può scendere al di sotto di tale soglia.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Liquidazione spese legali: la Cassazione fissa paletti invalicabili

La corretta liquidazione delle spese legali rappresenta un momento cruciale a chiusura di ogni contenzioso. Non si tratta solo di una questione economica, ma di un principio di equità e di tutela della professione forense. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza un principio fondamentale: i minimi tariffari stabiliti dalla legge non sono negoziabili e il giudice non può scendere al di sotto di tale soglia. Analizziamo una vicenda complessa, che da un appalto per beni culturali è arrivata fino al massimo organo di giustizia, proprio su questo punto.

I Fatti del Caso

La controversia nasce dall’esecuzione di una convenzione tra un’importante società di ingegneria e un’Amministrazione pubblica per la realizzazione di interventi di restauro su beni culturali di grande rilevanza. La società, lamentando gravi inadempimenti da parte dell’Amministrazione che avevano causato ingenti danni, decideva di avviare un procedimento arbitrale per ottenere il pagamento di circa 37 milioni di euro.

Fin da subito, l’Amministrazione pubblica eccepiva l’incompetenza del collegio arbitrale. Tuttavia, nel corso del giudizio, le parti avviavano delle trattative per una definizione bonaria della lite. L’Amministrazione, tramite un suo funzionario delegato, formulava in udienza una proposta transattiva che riconosceva parzialmente il debito. La società attrice accettava la proposta, rinunciando alle ulteriori pretese.

Il collegio arbitrale, interpretando il comportamento dell’Amministrazione come una rinuncia implicita all’eccezione di incompetenza, emetteva un lodo condannando l’ente pubblico al pagamento di oltre 11 milioni di euro. L’Amministrazione impugnava il lodo davanti alla Corte d’Appello, che però rigettava il gravame. La questione giungeva così in Cassazione con due ricorsi contrapposti: quello dell’Amministrazione e quello della società, che contestava la liquidazione delle spese legali operata dalla Corte d’Appello.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Liquidazione Spese Legali

La Suprema Corte ha esaminato entrambi i ricorsi, giungendo a conclusioni diverse.

Da un lato, ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Amministrazione. I giudici hanno chiarito che valutare se il comportamento processuale (la partecipazione alle trattative e il riconoscimento del debito) costituisse o meno una rinuncia all’eccezione di incompetenza era un accertamento di fatto. Tale valutazione, essendo stata compiuta in modo logico e motivato dalla Corte d’Appello, non poteva essere riesaminata in sede di legittimità, dove il controllo è limitato alla violazione di legge.

L’esito è stato opposto per il ricorso della società, incentrato sulla liquidazione delle spese legali. La Corte d’Appello aveva condannato l’Amministrazione al pagamento di soli 13.500 euro di compensi professionali, una cifra notevolmente inferiore ai minimi tariffari previsti per una causa di quel valore (oltre 11 milioni di euro). La società ricorrente ha dimostrato che, applicando i parametri ministeriali, l’importo minimo sarebbe dovuto essere di quasi 40.000 euro.

Su questo punto, la Cassazione ha accolto pienamente le doglianze, cassando con rinvio la sentenza d’appello.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte è di estrema importanza perché fa chiarezza sull’evoluzione normativa in materia di compensi professionali. Il punto nodale è la modifica introdotta dal D.M. n. 37 del 2018 all’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014.

La versione originaria della norma prevedeva che i parametri medi potessero essere diminuiti, “di regola”, fino al 50%. L’espressione “di regola” lasciava al giudice un margine di discrezionalità per scendere, in casi eccezionali, anche al di sotto di tale limite.

La nuova formulazione, invece, stabilisce che i valori medi possono essere diminuiti “in ogni caso non oltre il 50%”. L’eliminazione dell’inciso “di regola” e l’introduzione della locuzione “in ogni caso” sanciscono l’inderogabilità assoluta di tale limite minimo. Il giudice, pertanto, non ha più la facoltà di liquidare compensi inferiori al 50% dei valori medi tabellari.

La Corte ha stabilito che questa nuova e più stringente disciplina si applica a tutte le liquidazioni giudiziali successive alla sua entrata in vigore, anche se l’attività professionale era iniziata in precedenza. Poiché la Corte d’Appello ha liquidato le spese ben al di sotto di questa soglia invalicabile, la sua decisione è viziata da violazione di legge e deve essere annullata.

Conclusioni

L’ordinanza in commento offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, ribadisce che il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito e non può rivalutare le ricostruzioni dei fatti operate dai giudici precedenti, se adeguatamente motivate. In secondo luogo, e con maggiore impatto pratico, consolida il principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari nella liquidazione delle spese legali secondo la normativa vigente. Questa decisione rafforza la tutela della professione forense, garantendo che il compenso per l’attività svolta non possa essere ridotto al di sotto di un limite considerato equo dal legislatore e assicurando maggiore certezza e prevedibilità alle parti in causa.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione sulla liquidazione delle spese legali?
La Corte ha annullato la decisione perché la Corte d’Appello aveva liquidato un importo inferiore ai limiti minimi inderogabili stabiliti dal D.M. n. 37 del 2018, che non consente di diminuire i compensi oltre il 50% dei valori medi di riferimento.

La partecipazione a una trattativa durante un arbitrato può essere interpretata come rinuncia a un’eccezione di incompetenza?
Sì, secondo la ricostruzione dei giudici di merito. La Corte d’Appello ha ritenuto che il comportamento dell’Amministrazione pubblica, che ha negoziato e riconosciuto parzialmente il debito, costituisse una rinuncia implicita all’eccezione di incompetenza precedentemente sollevata. La Cassazione ha confermato che questa è una valutazione di fatto, non sindacabile in sede di legittimità.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nel giudicare l’impugnazione di un lodo arbitrale?
La Corte di Cassazione non giudica direttamente il lodo, ma la sentenza della Corte d’Appello che ha deciso sull’impugnazione del lodo. Il suo compito è verificare che la sentenza d’appello sia conforme alla legge e adeguatamente motivata, senza poter riesaminare direttamente i fatti accertati dagli arbitri o dalla Corte d’Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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