Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18077 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18077 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13836-2023 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 814/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 01/07/2022 R.G.N. 142/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
02/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Catania, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 28476 del 2019), ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro
Oggetto
Rapporto lavoro privato
R.G.N. 13836/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 02/04/2025
CC
concluso tra RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME il 29.6.2002 e la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro sin dall’1.7.2002 ed ha condannato la società alla riammissione in servizio della dipendente e al pagamento dell’indennità risarcitoria, di cui all’art. 32, L. 183 del 2010, liquidata in misura pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Si è costituito quale nuovo difensore della ricorrente l’avv. NOME COGNOME che, con la memoria deposi tata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., ha rinunciato al terzo motivo di ricorso. Anche RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
RAGIOONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 414, 434 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di condanna della società al pagamento delle retribuzioni per il periodo successivo alla conversione del rapporto (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.). 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, legge 183 del 2010 e dell’art. 2909 c.c. in relazione al consolidato principio di diritto per cui il datore di lavoro è tenuto a pagare al lavoratore le retribuzioni dalla data della sentenza che dispone la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per effetto della accertata nullità del termine; inoltre, vizio di omessa motivazione o motivazione apparente con conseguente nullità
della sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.).
2.1. I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per connessione logica, sono inammissibili.
L’attuale ricorrente denuncia l’omessa pronuncia sulla domanda di condanna della società al pagamento delle retribuzioni per il periodo successivo alla conversione del rapporto ma non allega e non documenta di avere formulato e coltivato tale domanda (non nel ricorso introduttivo di primo grado che risale al 2007, ad epoca quindi anteriore all’entrata in vigore della legge 183 del 2010, ma) nel corso del giudizio di primo grado, definito con sentenza del tribunale di Ragusa n. 89/2014, attraverso una integrazione della domanda originaria per effetto dello ius superveniens di cui alla legge 183 del 2010; non allega e non documenta di avere coltivato tale domanda nel giudizio di appello (definito con sentenza n. 468/2017 e con condanna al ripristino del rapporto e al pagamento dell’indennità risarcitoria) e in sede di legittimità, ove pure la lavoratrice ha proposto ricorso incidentale fondato su altre ragioni. Secondo le stesse allegazioni della ricorrente, la domanda in oggetto è stata formulata solo con il ricorso in riassunzione (trascritto per estratto a p. 7 del ricorso in cassazione).
È vero che l’obbligo di pagare le retribuzioni, per il periodo successivo alla sentenza che dichiara la nullità del termine e ripristina in iure il rapporto di lavoro, deriva dalla legge ma ciò non esclude la necessaria proposizione di una domanda, corredata dalla deduzione di mancato ripristino in fatto del rapporto per causa della società e di avvenuta messa in mora della stessa su iniziativa del lavoratore.
Il mancato rispetto delle prescrizioni imposte dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c. impedisce di configurare il vizio di omessa pronuncia e anche quello di violazione di legge da parte della Corte di rinvio poiché entrambi presuppongo una domanda ritualmente proposta nei precedenti gradi di giudizio.
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, legge 183 del 2010, dell’art. 8, legge 604 del 1966 e dell’art. 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione illogica o apparente e ancora omesso esame di un fatto rilevante ai fini del giudizio con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.). Si censura la liquidazione dell’indennità risarcitoria in misura pari a t re mensilità in quanto eseguita avendo riguardo alla condotta della lavoratrice e non della società e con risultato arbitrario, iniquo e discriminatorio. Il motivo è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, avendo la difesa della ricorrente rinunciato ad esso con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c., dell’art. 4, comma 1, del DM n. 55/14, nel testo modificato dal DM n.37/18, in riferimento alla liquidazione dei compensi in misura inferiore rispetto sia alla nota spese che ai minimi tariffari inderogabili (calcolati in riferimento allo scaglione 52.000,01 260.000,00), nonché vizio di omessa motivazione con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione alla riduzione della nota spese (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.).
Il motivo è infondato. La Corte di rinvio ha liquidato le spese di lite applicando il D.M. n. 140/12 per il primo grado definito con
sentenza dell’11.3.2014 e il D.M. n. 55/2014 (in vigore dal 2.4.2014) per gli altri gradi e fasi, così uniformandosi al principio secondo cui, nella liquidazione delle spese del giudizio, devono applicarsi le tariffe in base alla normativa vigente al tempo in cui l’attività processuale stessa è stata compiuta (Cass. n. 17577 del 2018); ha fatto riferimento allo lo scaglione (da 26.000,01 a 52.000,00) relativo alle cause di valore indeterminabile con complessità bassa ed ha applicato i minimi tariffari. La censura oggetto del motivo in esame è formulata sul presupposto di applicazione alla controversia dello scaglione superiore (da 52.000,01 a 260.000,00), cioè sul presupposto di una valutazione di complessità della controversia a cui il giudice del merito non era in alcun modo vincolato – dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. n. 12093/2018; Cass. n. 13809/2017; Cass., n. 18190/2015) e che ha evidentemente disatteso, ove peraltro si consideri che il giudizio in esame non presenta caratteri di complessità né per l’oggetto né per le questioni giuridiche trattate, inserendosi piuttosto in un contenzioso cosiddetto seriale.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 5, comma 6, del D.M. n. 55/14, nonché vizio di motivazione apparente e perplessa, con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione alla riduzione della nota spese (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.) e in riferimento allo scaglione 26.000,01 – 52.000,00.
Il motivo è inammissibile poiché non si confronta con la decisione impugnata che, in riferimento al primo grado di giudizio, ha fatto utilizzato i valori di cui al D.M. 140/2012, applicandoli correttamente, là dove la denuncia di violazione dei
minimi tariffari è formulata avendo riguardo ai valori di cui al D.M. 55/2014.
6. Con il sesto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 91, 92, 112 c.p.c., dell’art. 75 disp. att. c.p.c., degli artt. 2,11 e 27 del DM n. 55/14, nonché vizio di omessa pronuncia e omessa motivazione con conseguente nullità della s entenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per la liquidazione delle spese documentate relative ai giudizi di primo e secondo grado in misura inferiore rispetto ai giustificativi prodotti senza individuazione delle voci di spesa non rimborsate né specificazione delle ragioni del mancato rimborso.
Il motivo è inammissibile poiché la parte ricorrente non allega e non documenta di aver depositato dinanzi alla Corte di rinvio la documentazione concernente le voci di spesa (ulteriori rispetto a quelle riconosciute) di cui assume la mancata liquidazione.
Il motivo è infondato nella parte in cui censura il mancato rimborso del contributo unificato versato per il ricorso incidentale in cassazione. Al riguardo, deve osservarsi che il ricorso incidentale proposto dalla Arena (avente ad oggetto il quantum della indennità ex art. 32, della legge 183 del 2010, liquidata dalla prima Corte d’appello in tre mensilità) è stato dichiarato assorbito in cassazione (per tale ragione si è escluso il raddoppio del contributo medesimo); nel giudizio di rinvio, la lavoratrice è rimasta soccombente sulla pretesa di una indennità più elevata, che è stata invece parametrata sempre a tre mensilità della retribuzione globale di fatto. Poiché, in sede di rinvio, la lavoratrice non è risultata vittoriosa sulla questione già oggetto del ricorso incidentale, assorbito in sede di legittimità, non ha fondamento la pretesa di rimborso del contributo unificato a tal fine versato.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 2 aprile 2025