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Liquidazione spese legali: il compenso non può essere simbolico

Una condomina, pur vincendo la causa contro il condominio per l’annullamento di una delibera, si vedeva liquidare spese legali irrisorie. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso su questo punto, stabilendo che la liquidazione delle spese legali non può scendere a un livello meramente simbolico, in quanto ciò violerebbe il decoro della professione forense. La Corte ha cassato la sentenza e rinviato alla Corte d’Appello per una nuova e più equa determinazione del compenso.

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Liquidazione spese legali: un compenso simbolico è inammissibile

La corretta liquidazione delle spese legali rappresenta un aspetto cruciale per la tutela dei diritti e per il riconoscimento del lavoro svolto dal professionista. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il compenso dell’avvocato non può essere ridotto a una cifra meramente simbolica, poiché ciò contrasta con il decoro della professione. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti di causa

Il caso trae origine da una controversia condominiale. Una proprietaria impugnava con successo alcune delibere assembleari, ottenendone l’annullamento da parte del Tribunale. Nonostante la vittoria nel merito, la condomina non era soddisfatta di alcuni aspetti della sentenza di primo grado e decideva di proporre appello. I motivi del gravame riguardavano principalmente questioni accessorie ma significative: la presunta falsità della firma sulla procura del legale del condominio, la richiesta di cancellazione di frasi offensive contenute negli atti avversari e, soprattutto, l’importo delle spese legali liquidate a suo favore, ritenuto eccessivamente basso (€ 1.050,00) rispetto al valore della causa (circa € 36.000,00).

La decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello respingeva quasi integralmente il gravame della condomina. Pur ordinando la cancellazione della frase ritenuta offensiva, confermava la decisione del Tribunale sugli altri punti, inclusa la misura del compenso legale, e condannava l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio. Insoddisfatta, la proprietaria ricorreva per Cassazione.

L’analisi della Cassazione sulla liquidazione delle spese legali

La Suprema Corte ha esaminato i quattro motivi di ricorso presentati dalla condomina, accogliendone solo uno, ma quello decisivo sulla liquidazione delle spese legali.

1. Compenso per la fase decisionale: Il primo motivo, con cui si contestava il compenso al legale avversario per la fase decisionale nonostante il deposito tardivo delle conclusioni, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha chiarito che tale compenso remunera un’ampia gamma di attività (studio degli atti, discussione, etc.) e non solo il deposito degli scritti.
2. Frasi offensive: Anche il secondo motivo, relativo alla mancata condanna al risarcimento per le frasi offensive, è stato ritenuto inammissibile, in quanto la valutazione su tali aspetti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.
3. Querela di falso: Il quarto motivo, riguardante le spese per la querela di falso, è stato giudicato inammissibile poiché non si era mai giunti a una sentenza su quel procedimento incidentale.
4. Misura del compenso: Il terzo motivo, fulcro della decisione, è stato invece accolto. La ricorrente lamentava che l’importo di € 1.050,00 fosse sproporzionato per difetto rispetto ai parametri ministeriali e al valore della causa. La Cassazione ha condiviso questa doglianza.

Le motivazioni

La Corte ha affermato che la liquidazione delle spese processuali disposta dal Tribunale risultava sensibilmente inferiore persino alla metà dei minimi tariffari previsti dal D.M. n. 55/2014. Una simile quantificazione, secondo gli Ermellini, oltrepassa i limiti della discrezionalità del giudice e viola l’articolo 2233 del Codice Civile. Tale norma, infatti, preclude al giudice di liquidare somme “praticamente simboliche”, poiché non consone al “decoro della professione”. Il giudice ha il potere di personalizzare la liquidazione in base alla complessità del caso, ma non può spingersi fino al punto di mortificare il valore e la dignità dell’attività professionale svolta dal legale.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello limitatamente al punto sulla liquidazione delle spese legali del primo grado. Il caso è stato rinviato a una diversa sezione della Corte d’Appello di Genova, che dovrà procedere a una nuova liquidazione, attenendosi al principio per cui il compenso dell’avvocato, pur potendo essere adeguato alle specificità della causa, non può mai essere ridotto a una cifra irrisoria e simbolica che leda il decoro della professione forense.

Un avvocato ha diritto al compenso per la fase decisionale anche se deposita in ritardo le comparse conclusionali?
Sì. Secondo la Corte, il compenso per la fase decisionale è correlato a un’ampia serie di attività (precisazione delle conclusioni, esame degli atti, discussione, etc.) e non solo al deposito degli scritti. Pertanto, va liquidato anche se le comparse conclusionali sono state depositate tardivamente o non depositate affatto.

La valutazione del giudice sulla cancellazione di frasi offensive è sindacabile in Cassazione?
No. La Corte ha ribadito che il provvedimento di cancellazione di espressioni sconvenienti od offensive ha contenuto di puro merito e rientra nel potere discrezionale del giudice. Pertanto, la relativa decisione non può essere contestata in sede di legittimità.

Può un giudice liquidare un compenso legale che sia puramente simbolico e molto al di sotto dei minimi tariffari?
No. La Corte ha stabilito che una liquidazione di spese legali sensibilmente inferiore anche alla metà dei minimi tariffari è illegittima. Tale quantificazione viola l’art. 2233 c.c., che vieta la liquidazione di somme “praticamente simboliche” in quanto non consone al decoro della professione legale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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