Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1716 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1716 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10194/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
INDIRIZZO E INDIRIZZO IN GENOVA, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 402/2019 depositata il 20/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 402/2019 della Corte d’appello di Genova depositata il 20 marzo 2019.
Resiste con controricorso il Condominio INDIRIZZO e INDIRIZZO.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4quater , e 380 bis.1 c.p.c. La ricorrente ha depositato memoria.
La Corte d’appello di Genova ha respinto il gravame avanzato da NOME COGNOME contro la sentenza resa in data 7 maggio 2014 dal Tribunale di Genova, ha ordinato la cancellazione di una frase, ex art. 89 c.p.c., adoperata nelle difese del convenuto INDIRIZZO e INDIRIZZO, ed ha condannato l’appellante COGNOME al pagamento delle spese processuali del giudizio di appello, pari ad € 3.800, di cui € 1.900,00 per la fase decisionale, oltre accessori.
La sentenza di primo grado aveva visto, in realtà, accolte le domande ex art. 1137 c.c. avanzate dalla condomina NOME, con annullamento delle delibere approvate dall’assemblea del convenuto condominio in data 5 novembre 2010. L’attrice aveva tuttavia spiegato appello quanto alla declaratoria di inammissibilità della domanda di condanna delle spese legali e di risarcimento dei danni formulata nei confronti dell’AVV_NOTAIO, procuratore costituitosi per il Condominio INDIRIZZO e INDIRIZZO, sul presupposto della falsità della firma dell’amministratore condominiale autenticata dal difensore nella comparsa di risposta. La COGNOME aveva altresì appellato la pronuncia del Tribunale quanto alla declaratoria di inammissibilità della cancellazione delle frasi offensive ex art. 89 c.p.c. e di condanna di risarcimento del danno morale, e quanto alla
insufficiente liquidazione delle spese di lite (nella specie, di € 1.050,00 per compensi).
4. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 190, 152, 352, 91 c.p.c. Si assume che l’appellato Condominio non avesse alcun diritto a vedersi accordato un compenso di € 1.900,00 per la ‘fase decisionale’, in quanto l’AVV_NOTAIO COGNOME aveva ‘ omesso di depositare telematicamente la comparsa conclusionale del Condominio appellato entro il termine perentorio fissato per il giorno 19/11/2018’, avendo a tanto provveduto soltanto ‘in data 26/11/2018 e cioè oltre il termine perentorio concesso all’udienza del 18/09/2018 di scadenza’.
4.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360-bis n. 1 c.p.c. Secondo costante orientamento di questa Corte, il compenso per la fase decisionale, ai sensi dell’art. 4, comma 5, lett. d) del d.m. n. 55 del 2014, è correlato ad un’ampia serie di attività, tra cui le precisazioni delle conclusioni e l’esame di quelle delle altre parti, la discussione orale, la redazione e il deposito delle note spese, l’esame e la registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio e, in generale, tutte le attività successive alla decisione non attinenti già all’eventuale procedimento esecutivo, sicché esso va liquidato dal giudice anche qualora non siano state depositate (o siano state depositate tardivamente) le comparse conclusionali e le memorie di replica (Cass. n. 5289 del 2023; n. 28881 del 2022).
5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 89 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Questo motivo si sviluppa da pagina 16 a pagina 27 del ricorso ed affronta più punti promiscuamente: provando ad operarne una sintesi, agli effetti del canone di specificità imposto dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., il secondo motivo tocca: la ‘condanna di parte appellante delle spese del grado di giudizio’; il
rigetto sia dell’istanza di cancellazione dell’espressione offensiva ‘l’ultima … sparata è rappresentata dell’impugnazione della ‘delibera’ …’, sia della la domanda di risarcimento dei danni di cui all’art. 89, comma 2, c.p.c., confermando integralmente la sentenza di primo grado; l’aver ritenuto che ‘il motivo di cancellazione della frase offensiva rappresentasse una decisione accessoria e non principale’ ; il ‘riflesso diretto in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio’ dell’accoglimento della domanda di cancellazione; la ritenuta ‘tardività’ della istanza di cancellazione.
5.1. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360-bis n. 1, c.p.c.
Il provvedimento di cancellazione delle espressioni sconvenienti od offensive riveste una funzione meramente ordinatoria, avente rilievo esclusivamente entro l’ambito del rapporto endoprocesusuale tra le parti, ed ha contenuto di puro merito, sicché della relativa contestazione non può farsi questione dinanzi al giudice di legittimità (tra le tante, Cass. n. 27935 del 2020; n. 10517 del 2017). Non è quindi ammissibile il ricorso in questa sede avverso le determinazioni sul punto assunte dai giudici del merito. Parimenti, l’apprezzamento dell’avvenuto superamento dei limiti di correttezza entro cui va contenuta l’esplicazione della difesa, ai fini dell’emanazione della condanna risarcitoria ex art. 89 c.p.c., integra esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità.
Infine, il principio della soccombenza, che regge la regolamentazione delle spese processuali, non può essere ricollegato anche all’esito di domande marginali e estranee alla materia del contendere, come quella riguardante la cancellazione di frasi ingiuriose (cfr. Cass. n. 736 del 1973).
6. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., 2233 c.c. e del D.M. n. 55/2014, quanto al rigetto del motivo di appello circa la misura della condanna delle spese di lite del primo grado di giudizio liquidate in favore dell’attrice in € 1.050,00 per compensi. La Corte d’appello ha sostenuto che ‘ la liquidazione nella misura indicata nel dispositivo è stata opportunamente motivata dal Giudice di primo grado nello stesso dispositivo, ‘tenuto conto della natura e complessità della controversia’. Dunque, la liquidazione è stata fatta valutando, in effetti, la lineare semplicità della soluzione di merito, risolta senza alcuna problematica di diritto, ma semplicemente dalla dichiarazione dell’Ufficiale Postale il quale ha ammesso di non aver consegnato la raccomandata munita di ricevuta di ritorno, e di non aver ammesso nella cassetta l’obbligatorio avviso che avrebbe consentito alla destinataria il ritiro in posta. Comportamento che ha provato il mancato ricevimento dell’avviso senza colpa dell’appellante ma al tempo stesso ha provato anche la mancanza di colpa da parte dell’amministratore che ha spedito per tempo la raccomandata, facendo normale affidamento sulla dovuta diligenza delle RAGIONE_SOCIALE, in questo caso mancata’.
La ricorrente allega che il valore della causa era pari ad € 36.715,00, alla luce dell’importo delle delibere impugnate. Tale valore è stato condiviso dalla stessa sentenza d’appello per liquidare le spese del grado.
La liquidazione delle spese processuali disposta dal Tribunale di Genova, sia pure in base al d.m. n. 55/2014, prima della modifica operata dal d.m. n. 37/2018, allorché era perciò consentito il superamento dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione, risultava comunque sensibilmente inferiore anche alla metà dei minimi stessi, pur applicata la riduzione massima in ragione
della speciale semplicità dell’affare, oltrepassando perciò altresì il limite dell’art. 2233, comma 2, c.c. (il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione).
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, 183, 221 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo, con riguardo alla parte della sentenza in cui la Corte di appello di Genova ha statuito che le spese di causa relative alla fase intermedia di proposizione della querela di falso in via incidentale non fosse meritevole di accoglimento. In particolare, i giudici di appello hanno affermato di condividere ‘la motivazione, giuridicamente fondata, contenuta nella sentenza gravata relativa all’inammissibilità della domanda di condanna in proprio dell’AVV_NOTAIO per le spese di causa relative alla querela di falso. Non avendo depositato la memoria n. 1 ex art. 183 1 c., parte attrice ha congelato le proprie conclusioni a quelle contenute nell’atto di citazione rendendo inammissibili altre domande non accettate da controparte’, sostenendo che ‘deve ritenersi che la fase della verifica dell’autenticità del documento non sia neppure iniziata, con conseguente impossibilità di distinguere le spese del normale procedimento da quelle dell’eventuale procedimento di verificazione, appunto mai iniziato’.
7.1. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., per carenza di specifica riferibilità della censura alla sentenza impugnata e dunque di idoneità della stessa a provocarne la cassazione.
La ricorrente trae le mosse dalla ‘domanda specifica di porre a carico del difensore del Condominio convenuto tutte le spese e/o esborsi che la Sig.ra COGNOME ha sostenuto per la nota vicenda incidentale’. Si sostiene che ‘n on corrisponde, pertanto, al vero la parte
motivazionale resa dalla Corte di Appello di Genova per la quale parte attrice avrebbe ritenuta superflua la fase processuale relativa alla querela di falso della procura alle liti apposta a margine della comparsa di costituzione e risposta, perché sino a quando la medesima parte convenuta, comparendo all’udienza del 07/07/2011, non avesse dichiarato l’inutilizzabilità del documento (così come era verosimile che facesse e poi in effetti ha fatto), l’interpello alla parte che aveva prodotto in giudizio quel documento era atto dovuto da parte del Giudice Istruttore. La fase di cui alla proposizione della querela di falso è, pertanto, iniziata ai sensi dell’art. 221 e ss. c.p.c. contrariamente alle affermazioni statuite dalla Corte territoriale. Ne consegue che le spese inerenti tale fase vanno riconosciute dovute alla Sig.ra COGNOME. Nel merito, si osserva che l’attribuzione della paternità della sottoscrizione da parte dell’AVV_NOTAIO all’amministratore COGNOME NOME, a margine della comparsa di costituzione e risposta, anziché a colui che aveva realmente sottoscritto quella specifica (e non diversa e non altra) procura alle liti e cioè altra persona fisica (tale COGNOME NOME, amministratore di altro ente), appare certamente il risultato di uno scambio di persona ovvero di procure con tutte le conseguenze del caso previste ex lege’. 7.2. Il quarto motivo è inammissibile in quanto una autonoma liquidazione delle spese del procedimento incidentale di querela di falso può postularsi sempre che vi sia stata una sentenza che abbia deciso su di essa, così che tale liquidazione sia giustificata, in base al principio di causalità, per tutte quelle attività comunque strumentali alla definizione del procedimento incidentale.
D’altro canto, una condanna del difensore a pagare le spese del giudizio vi può essere nel caso di azione (o impugnazione) promossa dall’AVV_NOTAIO “senza” effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli abbia dichiarato di agire nel giudizio o
nella fase di giudizio di che trattasi (come nelle ipotesi di procura ad litem inesistente, o falsa, o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quelli per il quale l’atto è speso). Solo se il giudice accerta la mancanza della procura, a soccombere sulla questione pregiudiziale, che è l’unica questione in base alla quale viene definito il procedimento con la declaratoria di nullità o di inammissibilità, è proprio e soltanto l’AVV_NOTAIO che ha sottoscritto e fatto notificare l’atto introduttivo del giudizio -e che, nei confronti del giudice e delle controparti, afferma di essere munito di procura -, e non certo il soggetto da lui nominato (che, se non ha conferito la procura, nulla può avere affermato in proposito).
In questo giudizio, non vi è stata alcuna sentenza che abbia deciso su un procedimento incidentale di querela, che perciò giustifichi una autonoma liquidazione delle spese rispetto a quella operata per il giudizio principale di merito. Così, non vi è stata alcuna sentenza che abbia accertato la mancanza della procura alle liti rilasciata dal convenuto Condominio al difensore con cui era costituito e dichiarato la nullità del processo. È noto, del resto, che il difetto della procura del convenuto – a differenza di quella dell’attore – non incide sulla regolarità del contraddittorio in quanto da esso non dipende la valida costituzione del rapporto processuale e rileva unicamente ove la non rituale presenza del convenuto nel processo abbia recato pregiudizio all’attore (Cass. n. 9596 del 2001; n. 24308 del 2015).
8. Va pertanto accolto il terzo motivo di ricorso, mentre sono da dichiarare inammissibili i restanti motivi. La sentenza impugnata va quindi cassata limitatamente alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che liquiderà le spese del processo di primo grado uniformandosi ai rilievi svolti e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione