Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18027 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18027 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14896-2022 proposto da:
NOMECOGNOMENOMECOGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 838/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/01/2022 R.G.N. 937/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
R.G.N. 14896/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 02/04/2025
CC
La Corte d’appello di Milano, giudicando in sede di rinvio a seguito dell’ordinanza n. 13054/2020 di questa Corte di cassazione, in parziale riforma della sentenza n. 167/ 2006 del tribunale di Lodi, ha condannato Poste Italiane RAGIONE_SOCIALE a corrispondere a COGNOME Stefano, a titolo di indennità ex articolo 32, comma 5, legge 183/2010, una somma corrispondente a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori condannando COGNOME Stefano a restituire a Poste Italiane quanto percepito in eccedenza a titolo risarcitorio in esecuzione della sentenza di primo grado, ad eccezione delle somme ricevute a titolo di retribuzione dalla data della sentenza di primo grado al ripristino del rapporto.
Ha inoltre compensato tra le parti nella misura di un quarto le spese di tutti i giudizi con la condanna di Poste Italiane a rifondere al COGNOME gli altri tre quarti liquidati in complessivi € 10.650, oltre accessori e con distrazione a favore dei difensori antistatari.
In relazione alle spese del giudizio la Corte ha applicato a fini liquidatori i criteri prima previsti dal Dm 8/4/2004, n. 127, dal D.M. n. 140/2012 e poi previsti dal D.M. 10/3/2014 n. 55 nonché dal Dm 8/3/2018 n. 37, tenendo conto del valore della controversia, del suo grado di complessità nonché dell’assenza di attività istruttoria, ed ha così disposto la condanna al pagamento delle seguenti somme: € 1000 per il giudizio di primo grado innanzi al tribunale di Lodi; € 1200 per la corrispondente fase d i appello; € 2700 per il primo giudizio di cassazione; € 3000 per il primo giudizio di rinvio; € 2700 per il secondo giudizio di cassazione e infine € 2500 per il secondo giudizio di rinvio.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Stefano con cinque motivi di ricorso ai quali ha resistito Poste Italiane con controricorso. Sono state depositate memorie
prima dell’udienza; per la lavoratrice si è costituto un nuovo difensore in sostituzione del precedente deceduto. Il collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni previsto dalla legge.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 112, 336, 392, 414 e 433 CPC (art. 360 nn.3 e 4 CPC): omessa pronuncia in relazione sia alla richiesta di quantificare l’ammontare dell’ultima retribuzione, nonchè in via gradata vizio di motivazione con nullità della sentenza ex art. 132 co.2 n.4 e 118 di sp. att. CPC; la Corte di appello ha omesso di pronunciare sulla retribuzione globale di fatto, pur essendo insorto contrasto tra le parti (€ 1.593,32 o € 1.467,22 ). Inoltre aveva omesso di chiarire se le restituzioni a carico del lavoratore andassero effettuate al lordo o al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali e fiscali (come richiesto dal lavoratore in sede di rinvio).
1.1. Il motivo è infondato. L’omessa pronuncia denunciata non sussiste posto che dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito si evince inequivocabilmente che la somma dovuta al lavoratore è quella indicata dalla lavoratrice nelle conclusioni riportate dalla Corte nella sentenza di appello. La Corte ha invero precisato che la parte aveva chiesto nelle proprie conclusioni la condanna di Poste a riliquid are l’indennità risarcitoria ‘in misura non inferiore a 6 mensilità del l’ultima retribuzione globale di fatto pari ad € 1.593,32’; ed ha poi condannato Poste Italiane spa al pagamento di una somma corrispondente a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Deve quindi sostenersi, in mancanza di contrari elementi di giudizio, che i giudici di merito abbiano fatto coerente
riferimento all”importo indicato nella domanda trascritta in apertura della sentenza e di cui hanno disposto l’accoglimento. Neppure integra omissione di pronuncia l’implicito obbligo di restituzione al netto delle ritenute, previdenziali, assistenziali e fiscali che deve ritenersi insito nella condanna pronunciata a restituire quanto percepito in eccedenza a titolo risarcitorio in esecuzione della sentenza di primo grado.
2.- Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 91, 112, 324, 336, 371 e 384 co.2 CPC e dell’art. 2909 CC (art,360 nn.3 e 4 c.p.c. ): in relazione alla modifica della statuizione della Corte di appello che aveva condannato la società alla rifusione delle spese di lite relative ai giudizi di primo e secondo grado e del primo giudizio di rinvio- vizio di extra petizione e di eccesso di potere giurisdizionale.
1.1. Il secondo motivo è infondato.
L’ordinanza n. 13054/2020 con cui questa Corte ha cassato la sentenza di rinvio ha comportato l’eliminazione integrale della sentenza anche in relazione alle spese, a cui si estende inevitabilmente l’effetto caducatorio della pronuncia di legittimità.
Pertanto l’ordinanza n.13054/2020 aveva rimesso al giudice del rinvio il compito di valutare la liquidazione delle spese per l’intero giudizio e la Corte di appello poteva riliquidare le spese di tutti i gradi. E dunque essa ha valutato come legittima la compensazione afferente il primo giudizio di legittimità, già operata nella sentenza di appello n. 2023/2017, ed inoltre ha legittimamente operato la liquidazione di tutte le spese degli altri giudizi con compensazione di un quarto.
3.Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 co.2 c.p.c. in quanto la compensazione delle spese di lite è stata disposta sulla base di una inesistente soccombenza reciproca. Vizio di motivazione
illogica con nullità della sentenza ai sensi degli artt. 132 co.2 n.
4 e 118 disp. att. CPC;
Il motivo è privo di fondamento. Anzitutto deve rilevarsi che se è vero che l’esito del giudizio sia stato complessivamente a favore del lavoratore, esisteva però reciproca soccombenza sia pure riferita unitariamente all’esito finale della lite a seguito dell’intervento dello ius superveniens di cui all’art. 32 l. n. 183/2010, tanto che all’esito dell’impugnata sentenza è stata disposta la restituzione di una parte dell’importo che il lavoratore aveva percepito in precedenza.
Quindi la Corte ha valutato correttamente le ‘ fondate e prevalenti ragioni’ del lavoratore ed ha correttamente riconosciuto una soccombenza reciproca sussistendo i presupposti per la compensazione parziale di tutti i gradi per ¼,, proprio in virtù della soccombenza parziale.
4.- Col quarto motivo si deduce violazione degli artt. 91,115,116 e 75 disp. att. CPC , del DM N.140/12, dell’art. 5 DM n.127/04 e dell’art. 4, comam 5 DM n.55/14, nonchè vizio di omessa motivazione con conseguente nullità della sentenza ai sensi degli artt. 132 co.2 n.4 e 118 disp. att. c.p.c. in relazione alla riduzione e/o eliminazione di voci della nota spesa, anche in relazione al fatto che non risponde al vero che il giudizio fosse caratterizzato dalla assenza di attività istruttoria.
5.- Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 c.p.c., 24 della legge 704/42, quattro, comma 1 del D.M. numero 55/14, come modificato dal Dm n. 37/18 in quanto gli onorari, i diritti e i compensi relativi ai giudizi di primo, secondo grado, del primo giudizio di legittimità e del primo giudizio di rinvio sono stati liquidati al di sotto dei minimi inderogabili previsti dai tariffari di detti decreti in relazione allo scaglione di valori indicati nella nota spese, nonché in via gradata vizio di omessa motivazione o di
motivazione assente sulle ragioni della liquidazione dei compensi al di sotto dei minimi, con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 132, numero quattro e 118 disp.att. CPC (articolo 360, numeri 3 e 4 CPC ) per violazione del minimo inderogabile previsto dalle norme riportate in epigrafe.
I motivi quarto e quinto possono esaminarsi unitariamente per connessione e vanno dichiarati inammissibili.
Ed invero intervenendo sulla stessa materia, questa Corte (Cass. n.27569/2020) ha chiarito che qualora si contesti la liquidazione con cui il giudice di merito ha proceduto ad una liquidazione globale delle spese – senza mettere la parte interessata in grado di controllare se abbia rispettato i limiti delle relative tabelle e di poter denunciare specifiche violazioni della legge o delle tariffe – ai fini dell’impugnazione deve pur sempre ricorrere un interesse giuridicamente tutelato in favore della parte; nel senso che questa deve poter conseguire una concreta utilità e poter rimuovere un danno effettivo e non limitarsi alla declamazione di teoriche esigenze di esattezza giuridica, con la conseguenza che è inammissibile, per carenza d’interesse, una impugnazione in cui la parte vittoriosa non provi specificamente il pregiudizio subito per la liquidazione globale, siccome attributiva di una somma inferiore ai minimi inderogabili (Cass. 8 marzo 2007 n. 5318).
E, ai fini della specificità del motivo, si è affermato il consequenziale principio secondo cui ‘ il superamento da parte del giudice dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio in iudicando e pertanto, per l’ammissibilità della censura, è necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità
senza dover espletare una inammissibile indagine sugli atti di causa (Cass. 25/2/2020, n. 4990, che richiama Cass. n. 270 del 11/1/2016; Cass. n. 10409 del 20/5/2016; Cass. n. 22983 del 29/10/2014; Cass. n. 3651 del 16/2/2007).
I motivi di ricorso non soddisfano questa esigenza, perché se è vero che la ricorrente ha denunciato la liquidazione globale delle spese giudiziali, trascrivendo la nota spese e riportando le singole voci liquidabili per diritti ed onorari o per compensi professionali, è altrettanto vero che ella lo ha fatto tenendo conto di un erroneo parametro di riferimento, ovvero considerando, per il primo e secondo grado del giudizio, il valore da 51.700,01 a 103.300,00 (ex D.M. n. 127/04) e, per il giudizio di cassaz ione e il giudizio di rinvio, il valore da € 52.000 a € 260.000 (ex D.M. 5572014).
Ora, l’art. 6, comma 5, del D.M. n. 127/2004, prevede quanto segue: ‘5. Per le cause di valore indeterminabile, gli onorari minimi sono quelli previsti per le cause di valore da €25.900,01 a €51.700,00, mentre gli onorari massimi sono quelli previsti per l e cause di valore da €51.700,01 a €103.300,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia; qualora le cause siano di particolare importanza per l’oggetto, per le questioni giuridiche trattate, per la rilevanza degli effetti e dei risultati utili di qualsiasi natura, anche di carattere non patrimoniale, gli onorari possono essere liquidati fino al limite massimo previsto per le cause di valore fino a €516.500,00’.
Alla luce della su trascritta disposizione, è evidente che la ricorrente ha articolato la sua censura procedendo ad una liquidazione dei compensi sulla base dei valori massimi, ovvero sulla base di una valutazione di complessità della controversia, alla quale il giudice del merito non era in alcun modo vincolato – dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita
motivazione (Cass. n. 12093/2018; Cass. n. 13809/2017; Cass., n. 18190/2015) – e che ha evidentemente disatteso, ove peraltro si consideri che il giudizio in esame non presenta caratteri di complessità né per l’oggetto né per le questioni giuridiche trattate, inserendosi piuttosto in un contenzioso cosiddetto seriale.
Per contro, la ricorrente non ha adeguatamente dedotto la violazione dei minimi tariffari in relazione al corretto “scaglione” compreso tra € 25.900,01 e €51.700,00, quale presupposto indispensabile per consentire di apprezzare la decisività della censura (Cass. 10/2/2015, n. 2532; e su fattispecie pressoché sovrapponibile, Cass. n. 36948/2021).
In mancanza di una puntuale indicazione in tal senso, che avrebbe dovuto essere contenuta nel ricorso, la censura non può essere accolta, dovendosi confermare il principio più volte enunciato secondo cui la parte la quale intende impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci e degli importi considerati, necessaria per consentire il controllo in sede di legittimità (cfr. tra le tante Cass. n. 5607 del 23 giugno 1997 e n. 9763 del 18 novembre 1994).
Le stesse considerazioni valgono con riguardo al giudizio di cassazione e al giudizio in sede di rinvio, in cui la determinazione dei compensi è stata effettuata in relazione allo scaglione compreso tra € 52.000,01 e € 260.000,00′, laddove il DM. n. 55/201 4, all’art. 5, comma 6, così prevede: « Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000,00 e non superiore a euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia ‘. E va altresì precisato che, in base alle tabelle del
decreto, questo range di valori comprende in realtà due fasce tariffarie distinte (da 26.000 a 52.000 e da 52.000 a 260.000). Ora, rispetto al valore minimo previsto per le cause di bassa complessità (ossia da 26.000 € a 52.000 € ), la ricorrente nulla ha specificato sul se e come si sia prodotta la violazione delle tariffe.
Anche in tal caso, e per le considerazioni su svolte, la scelta del giudice di merito di ritenere la causa di complessità bassa non è sindacabile in questa sede, né implica un obbligo di specifica motivazione, e ciò determina anche l’inammissibilità del mo tivo di ricorso con il quale si censura la sentenza sotto il profilo dell’assenza o del difetto di motivazione.
6.- In base alle svolte argomentazioni il ricorso deve essere complessivamente rigettato; le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 2.4.2025
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME