Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6861 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6861 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19166/2021 R.G. proposto da :
VOX NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME quali eredi di COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE in forza di procure speciali allegate in calce al ricorso;
COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE in forza di procura speciale allegata in calce al ricorso;
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE in forza di procure speciali allegate in calce al ricorso
– ricorrenti
–
della liquidazione del patrimonio ex art. 14quinquies l. 3/2012
Ud.26/02/2025 CC
RAGIONE_SOCIALE, SOVVENZIONI ed ASSISTENZA tra i DIPENDENTI del COMUNE di BARI
– intimata
–
avverso il decreto del Tribunale di Bari n. 4526/2021 depositato il 4/6/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bari, con decreto ex art. 14quinquies l. 3/2012 in data 23 febbraio 2021, dichiarava aperta la procedura di liquidazione del patrimonio della Cassa di Previdenza, Sovvenzioni e Assistenza fra i dipendenti del Comune di Bari (di seguito, per brevità, Cassa).
Il medesimo Tribunale, in composizione collegiale, rigettava il reclamo presentato da alcuni dipendenti in servizio del Comune di Bari, da alcuni ex dipendenti del medesimo Comune e da alcuni ex iscritti alla Cassa e creditori della stessa.
In particolare, riteneva -dopo aver premesso che era ben ipotizzabile che l’attività istituzionale di previdenza e assistenza, correlata all’interesse pubblico di assicurare simili prestazioni sociali a particolari categorie di lavoratori, potesse essere svolta da enti previdenziali privatizzati, sottoposti a vigilanza in ragione del loro rilievo – che gli indici richiamati dai reclamanti a sostegno della natura pubblica della Cassa non fossero dirimenti, dovendosi qualificare la stessa non come una società in house , bensì quale associazione non riconosciuta le cui peculiari previsioni statutarie (laddove attribuivano il ruolo di presidente e legale rappresentante della Cassa al sindaco del Comune di Bari, prevedevano la sottoposizione del bilancio di previsione e del conto consuntivo alle determinazioni definitive del consiglio comunale e il coinvolgimento della giunta municipale nell’iter di approvazione di eventuali
modifiche statutarie) trovavano giustificazione nell’interesse dell’amministrazione locale al corretto svolgimento dei suoi compiti. Rilevava, di conseguenza, che l’esclusione della natura pubblica della Cassa comportava l’inapplicabilità dell’art. 244 d. lgs. 267/2000, disciplinante il dissesto finanziario di Province e Comuni.
Aggiungeva che la previsione residuale dell’art. 30 dello statuto (risalente al 1924) di applicabilità della legge comunale e provinciale e relativo regolamento per quanto non previsto non poteva giustificare una deroga della successiva disciplina del dissesto degli enti locali, sia perché costituiva una normativa sopravvenuta che avrebbe dovuto essere recepita nel regolamento pattizio, sia perché la previsione risultava generica nel suo richiamo alle leggi comunali e provinciali, sia perché la normativa sul dissesto e il risanamento finanziario prevede oneri pubblici insuscettibili di estensione oltre i limiti di legge.
Negava, inoltre, l’applicabilità del d. lgs. 509/1994 in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, dato che nel caso di specie veniva in rilievo di una forma di previdenza e assistenza facoltativa e integrativa di quella obbligatoria.
Giudicava, infine, -tenuto conto che: i) le prime difficoltà economiche della Cassa si erano manifestate nel periodo 2012 -2016 in ragione dello sbilancio fra quanto versato dagli iscritti e quanto conseguito al termine del servizio, del blocco del turn over e della scelta dei nuovi assunti di non iscriversi; ii) queste criticità non erano state seguite da alcuna modifica statutaria atta a garantire il riequilibrio economico-finanziario; iii) il Comune di Bari aveva sospeso le erogazioni a seguito dei rilievi della Corte dei Conti, che aveva evidenziato l’insussistenza di un valido titolo giustificativo e prospettato un possibile danno erariale; iv) il contenzioso promosso dai soci per l’accertamento del diritto alla sospensione delle ritenute e alla restituzione delle somme erogate si era concluso in larga parte
con esito favorevole per i soci -che la sospensione e il mancato recupero dei crediti non fosse sorretto da intenti fraudolenti e dissipatori.
I ricorrenti in epigrafe indicati, tutti creditori della Cassa per esservi stati iscritti per almeno tre anni e non più soci della stessa a seguito della cessazione del loro rapporto di lavoro con il Comune di Bari, hanno proposto ricorso per la cassazione di tale decreto, depositato in data 4 giugno 2021, prospettando cinque motivi di doglianza.
La Cassa intimata non ha svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7, comma 2, lett. a), e 14ter , comma 1, l. 3/2012, in relazione agli artt. 244 e ss. d. lgs. 267/2000, in quanto la Cassa doveva essere considerata un soggetto di diritto pubblico in house al Comune di Bari, essendo dotata di propria personalità giuridica e sottoposta al dominio del Comune di Bari (il cui sindaco ne è il presidente e legale rappresentante, convoca e presiede il consiglio di amministrazione e l’assemblea dei soci, determina le materie da portare in consiglio di amministrazione, vigila sull’esecuzione delle deliberazioni e firma gli ordinativi di incasso e i mandati di pagamento, il cui consiglio comunale approva il bilancio di gestione, il conto consuntivo e le eventuali modifiche dello statuto e nomina due dei tre membri del collegio dei revisori e la cui tesoreria svolge il servizio di cassa e custodia dei valori).
Questa natura comportava l’applicazione della disciplina sul dissesto finanziario regolata dagli artt. 244 e ss. d. lgs. 267/2000 o dall’art. 2 d. lgs. 509/1994 e, di conseguenza, rendeva inammissibile la procedura di liquidazione del patrimonio prevista dal combinato
disposto degli artt. 14ter , comma 1, e 7, comma 2, lett. a), l. 3/2012, dato che il debitore era soggetto a una procedura concorsuale diversa.
Il motivo risulta nel suo complesso inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U. 32608/2019), anche facendo richiamo alla giurisprudenza amministrativa (v. Cons. Stato 2660/2015), hanno avuto modo di precisare che la nozione di ente pubblico nell’attuale assetto ordinamentale non può ritenersi fissa e immutevole: il riconoscimento a un determinato soggetto della natura pubblicistica a certi fini non ne implica automaticamente l’int egrale sottoposizione alla disciplina valevole in generale per la pubblica amministrazione; ” al contrario, l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico; si ammette … senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica “.
Nel caso di specie il tribunale ha constatato che la Cassa, i cui soci sono soltanto i suoi dipendenti, ha ‘ gestione autonoma, patrimonio ed amministrazione distinta e separata dal patrimonio e dall’amministrazione del Comune ‘ (pag. 11), ha sottolineato che la stessa provvede ai suoi fini, mediante quote di partecipazione a carico dei dipendenti iscritti, ed ha spiegato che le attribuzioni statutarie a sindaco, giunta e consiglio comunale non mutano la natura privata dell’ente e trovavano giustificazione ‘ n ell’interesse dell’amministrazione locale al corretto svolgimento dei relativi compiti ‘.
Da questa autonomia di gestione, amministrazione e patrimonio il tribunale ha fatto discendere l’alterità soggettiva della Cassa rispetto all’amministrazione municipale, mantenendo i due enti – quello pubblico territoriale e quello privato -distinti sul piano giuridico-
formale ed escludendo, di conseguenza, l’applicabilità della disciplina del dissesto finanziario di Province e Comuni alla Cassa.
Ora, l’accertamento degli elementi da cui trarre la deduzione circa la natura pubblica o meno di un ente è questione di fatto affidata al sindacato del giudice di merito, non rivedibile in questa sede di legittimità; ne discende che la critica mossa alle conseguenze in iure tratte dal tribunale non può travalicare i confini dell’accertamento dei fatti, come, invece, mira a fare il motivo in esame, laddove sostiene che gli indici richiamati all’interno del reclamo, piuttosto che essere qualificati come non dirimenti, andassero meglio intesi come dimostrativi di una sottoposizione a dominanza pubblica.
Infine, il mezzo in esame non si preoccupa di contestare con la dovuta specificità gli argomenti offerti dal collegio di merito in ordine, da un lato, al fatto che la previsione dell’art. 30 dello statuto di applicabilità della legge comunale e provinciale non può comportare una deroga alla disciplina -adottata in epoca successiva – del dissesto degli enti locali, dall’altro all’inapplicabilità al caso di specie delle disposizioni del d. lgs. 509/1994.
Le doglianze sollevate a questo proposito sono inammissibili, perché l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’ esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata.
6.1 Il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14quinquies , comma 1, l. 3/2012, perché il tribunale ha ritenuto ammissibile la procedura liquidatoria prevista da tale norma pur in presenza di atti in frode ai creditori compiuti negli ultimi cinque anni. In particolare, il tribunale, a fronte della sospensione del prelievo dei contributi dai dipendenti comunali iscritti alla Cassa, dell’implementazione della debitoria attraverso il riconoscimento di
crediti in favore degli iscritti, del mancato inserimento in bilancio del credito vantato nei confronti degli iscritti che avevano ottenuto il rimborso dal Comune di Bari di parte dei contributi alla Cassa trattenuti dall’amministrazione municipale e dell’ inerzia nel recupero di tutti i crediti vantati nei confronti degli iscritti e di terzi (fra cui il Comune di Bari), che non erano stati neppure appostati in bilancio come crediti da recuperare, doveva ravvisare il ricorrere di atti in frode ai creditori che avevano recato un pregiudizio ai reclamanti in termini di riduzione dell’attivo e incremento del passivo.
6.2 Il quarto motivo prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 112, 132, comma 2, n. 4, e 161 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., a causa del carattere apparente o perplesso della motivazione; in particolare, non sarebbe individuabile il percorso logico-argomentativo in forza del quale il tribunale ha ritenuto che, data la sussistenza di alcuni fatti denunziati (sbilancio tra quanto versato dagli iscritti e quanto conseguito dagli stessi al termine del servizio; blocco del turn over a causa della scelta dei nuovi assunti di non iscriversi alla Cassa; mancato riequilibrio finanziario; sospensione delle erogazioni, in favore della Cassa, da parte del Comune di Bari, in ragione di rilievi in proposito formulati dalla Corte dei Conti; soccombenza della Cassa nei giudizi proposti dagli iscritti, tendenti a ottenere l’ordine di sospensione delle ritenute e la restituzione dei contributi in favore degli attori, vittoriosi), in tesi idonei ad escludere l’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni ex art. 14quinquies l. n. 3/12, sarebbe stato inutile indagare sull’esistenza di altri fatti, deponenti in senso contrario (costituiti: i) dalla sospensione del prelievo dei contributi dai dipendenti comunali iscritti alla Cassa; ii) dall’implementazione della debitoria, a seguito del riconoscimento di crediti in favore degli iscritti; iii) dal mancato inserimento in bilancio del credito nei confronti degli iscritti ammessi al rimborso, da parte del Comune di
Bari, di parte dei contributi, trattenuti dallo stesso Comune; iv) dalla mancata attivazione delle tutele per il recupero di tutti i crediti vantati nei confronti degli iscritti e dei terzi in genere, Comune di Bari in primis ).
I motivi, da esaminare congiuntamente in ragione del rapporto di connessione che li unisce, risultano l’uno (il secondo) in parte infondato, in parte inammissibile, l’altro (il quarto) infondato.
7.1 Il procedimento concorsuale di liquidazione del patrimonio del debitore previsto dagli artt. 14ter e ss. l. 3/2012 è funzionale a realizzare il massimo soddisfacimento per i creditori, prescinde dal consenso dei medesimi e non risponde a finalità di risanamento.
Il requisito dell’assenza di atti di frode negli ultimi cinque anni previsto dall’art. 14 -quinques , comma 1, l. 3/2012 (secondo cui ‘ i deve essere letto alla
luce di una simile natura della procedura.
Ne discende, da un lato, l’irrilevanza della giurisprudenza di questa Corte formatasi in materia di concordato preventivo e con riferimento al disposto dell’art. 173 l. fall. (secondo cui rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione alla procedura i fatti taciuti nella loro materialità ovvero esposti in maniera non adeguata e compiuta, aventi valenza anche solo potenzialmente decettiva nei confronti dei creditori, a prescindere dal concreto pregiudizio loro arrecato; Cass. 25458/2019), dall’altro la necessità di focalizzare l’attenzione, piuttosto che sul processo formativo del consenso dei creditori, su ll’esisten za di atti in grado di pregiudicare il loro massimo soddisfacimento.
Il tribunale si è posto correttamente in questa prospettiva di indagine laddove, una volta analizzate le cause dell’indebitamento, ha ricondotto la nozione di atti in frode ad ‘ intenti fraudolenti e dissipatori ‘ (pag. 14), facendo uso di un’endiadi che allude,
correttamente, ad atti finalizzati a compromettere la miglior soddisfazione del ceto creditorio e capaci, nel contempo, di produrre tale effetto.
7.2 Il giudice di merito ha ritenuto (a pag. 13) che la documentazione versata in atti dalla Cassa, che illustrava l’evoluzione della situazione di dissesto dell’ente, inducesse a ritenere infondata la doglianza con cui si allegavano, quali atti in frode, le circostanze di cui il quarto motivo qui in esame lamenta la mancata considerazione senza una chiara indicazione delle ragioni esplicative di una simile scelta.
Il tenore del provvedimento impugnato -laddove ricorda le prime difficoltà economiche incontrate dalla Cassa (legate allo sbilancio fra quanto versato e quanto conseguito, al blocco del turn over e alla scelta dei nuovi assunti di non iscriversi alla cassa), quindi evidenzia il mancato intervento di una modifica statutaria capace di porre rimedio a tali criticità e infine sottolinea come le stesse si fossero aggravate a seguito della sospensione delle erogazioni del Comune di Bari (in ragione dei rilievi d ella Corte dei Conti) e dell’esito del contenzioso instaurato dai soci nei confronti della Cassa per l’accertamento del diritto alla sospensione delle ritenute e la restituzione delle somme erogate (concluso nella gran parte dei casi con esito favorevole) -spiega chiaramente che il dissesto era stato provocato dalla sovrapposizione di molteplici situazioni, interne ed esterne, di diversa natura a cui la Cassa aveva fatto fronte con condotte nel loro complesso non sorrette da ‘ intenti fraudolenti e dissipatori ‘, quindi non riconducibili alla condizione ostativa prevista dall’art. 14 -quinques , comma 1, l. 3/2012.
Nessun vizio di motivazione può, perciò, essere predicato, perché il giudice di merito, dopo aver espressamente elencato gli atti di frode addotti dai reclamanti, ha ritenuto, con una motivazione che rappresenta l’iter logico seguito per arrivare alla deci sione e rende così percepibile il suo fondamento, che l’intera condotta della Cassa al cospetto di una situazione complessa e aggravatasi nel tempo
costituisse una reazione necessitata che non aveva assunto simili caratteristiche.
7.3 Appartiene, infine, al merito della controversia la valutazione circa il fatto che la condotta tenuta dalla Cassa non fosse stata sorretta da ‘ intenti fraudolenti e dissipatori ‘.
Al riguardo è sufficiente far richiamo al principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’ intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
Il terzo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 101, 104 e 111, comma 2, Cost., e 51, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., perché il presidente del collegio e relatore, pur avendo conosciuto della questione sulla natura giuridica dell’intimata nell’emettere il decreto di nomina dei liquidatori della Cassa, che era stato richiesto sul presupposto che la stessa costituisse un soggetto di diritto privato qualificabile come associazione non riconosciuta, non si è astenuto nella decisione del reclamo.
L’inosservanza dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51, n. 1, cod. proc. civ. determina la nullità del provvedimento emesso solo ove il componente dell’organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa che lo ponga nella qualità di parte del procedimento; in ogni altra ipotesi, invece, la violazione di tale
obbligo assume rilievo come mero motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di fare valere il vizio in sede di impugnazione quale motivo di nullità del provvedimento (cfr. Cass. 2270/2019, Cass. 21094/2017, Cass., Sez. U., 1545/2017).
La doglianza in esame risulta così inammissibile, dato che non assume che alcuna istanza di ricusazione sia mai stata presentata per le ragioni dedotte in questa sede.
10. Il quinto motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 Cost. e 13, comma 1quater , D.P.R. 115/2002, in quanto il tribunale ha erroneamente ritenuto che il procedimento di reclamo avverso il decreto di apertura della liquidazione, introdotto ai sensi degli artt. 14quinquies , comma 1, e 10, comma 6, l. 3/2012, sia un procedimento d’impugnazione piuttosto che un procedimento a contraddittorio differito, dopo una prima fase inaudita altera parte , all’esito del quale, quindi, non era possibile condannare il soccombente al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato.
11. Il motivo non è fondato.
Per tutto quanto sopra esposto il ricorso deve essere respinto.
La mancata costituzione in questa sede della Cassa intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 26 febbraio 2025.